Genere: Classic rock/Hard rock ‘70
Simili: Deep Purple
Voto Microby: 7.7
Preferite: Written In My Soul, Feel The End,
The Record Turns
Ho un debole per questi maturi ragazzacci bresciani: a
partire dalla ragione sociale così cinematografica (Cohen Bros), per seguire
con lo splendido artwork delle
copertine, ma soprattutto con la passione che trasuda dai loro lavori.
Totalmente disinteressato ai suoni dei millennials,
al terzo disco il combo camuno prosegue il percorso a ritroso nella musica rock (iniziato citando, in
italiano, gli anni ’90 di Timoria ma anche di Pearl Jam) per approdare con
l’ultima fatica al classic rock/hard rock degli anni ’70, la golden age della musica rock, influenza già in parte esperita
nell’album precedente. Per farlo i West Fargo hanno abbandonato con brillanti
risultati la lingua di Dante per quella di Shakespeare, e inciso nove brani di
appassionata qualità. Il profilo del lavoro non si adagia, come da archetipo
del genere, solo sui vibranti riff e gli infuocati incisi della chitarra
elettrica di Roberto Roncalli, ma si accende anche grazie alla batteria
propulsiva di Matteo Zelaschi, al basso pulsante di Domenico Ducoli, alla
grande estensione vocale di Davide Balzarini ed all’ordito delle tastiere di
Pierluigi Capretti, che ha certamente ben assimilato la lezione di Jon Lord
(Deep Purple) ma anche dei synth analogici alla Baba O’Riley (The Who). Così se il riferimento immediato di
scrittura ed esecuzione è l’hard rock dei seventies (ben lontano dalle
influenze hard blues dei Led Zeppelin e dal doom dei Black Sabbath, ed invece
più simile ai Purple meno prog e più recenti), il risultato finale è assolutamente
raccomandato agli appassionati del classic rock chitarristico dei ’70. Ad
essere pignoli in un disco che non ha fillers,
la tensione si abbassa nel paio di brani in cui la voce solista viene affidata
all’ugola di Capretti, ben impostata ma priva dell’estensione e soprattutto del
pathos del titolare Balzarini. Come da tradizione della band, l’album si
completa con una bonus track musicalmente
non adesa al contesto, se non che si tratta di un’alternate version acustica di un brano affidato in chiusura
all’interpretazione di Silvia Ducoli, figlia del bassista Domenico. Buona
fortuna anche a lei!
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