Genere: Art-Rock,
Avant-pop
Simili: Radiohead, Arcade Fire, Alt-J,
Sigur Ròs, Neu!, Talk Talk, Spiritualized, Wolf Parade, Mogwai
Voto Microby: 8.5
Preferite: Free In The Knowledge, Pana-Vision,
Waving A White Flag
Perché questo disco non è a nome Radiohead? E’ infatti del
tutto evidente che il suono è immediatamente identificabile con la band di
Oxford, a differenza dei progetti solisti di Thom Yorke/Atoms For
Peace e Jonny Greenwood, caratterizzati da soluzioni sonore che si
discostavano nettamente dalla band-madre. The
Smile non rappresenta quindi l’opportunità di comporre e incidere qualcosa
di completamente diverso, né di pubblicare materiale rimasto negli archivi del
gruppo, chè le canzoni sono tutte (eccetto la conclusiva Skrting On The Surface) di conio recente. Che sia un segno di
rispetto nei confronti del pur eccellente batterista titolare, Phil Selway, qui
sostituito da Tom Skinner, alle pelli nel combo neo-jazz Sons of Kemet? Di fatto,
ancora una volta l’essenza dei Radiohead si conferma la coppia Yorke/Greenwood,
che con A Light For Attracting Attention
non traccia una linea di continuità con l’eccellente A Moon Shaped Pool (2016) né col più avventuroso ma poco riuscito The King of Limbs (2011). Piuttosto,
similmente a quanto realizzato dagli Arcade Fire con l’ultimo WE (2022), siamo di fronte ad un album
eterogeneo alla Hail To The Thief
(2003), che non inventa nulla ma riesce sapientemente a compendiare i suoni
esplorati dai Radiohead dagli esordi ad oggi. Quasi filologicamente, la prima
parte del disco richiama l’adrenalina degli anni ’90 dei nostri, aperti dal
debutto con Pablo Honey (1993),
ancora in area britpop, e conclusi col capolavoro disperato, angolare e
paranoico di OK Computer (1997). I
brani più ossessivi e spigolosi del nuovo album (sebbene ascritto a The Smile) hanno più un sapore motorik/math-rock che britpop, ma la
medesima oscurità, ansia, amarezza, esasperazione post-punk. La seconda parte
del lavoro appartiene ai Radiohead (oops!) più liquidi e d’atmosfera, figli di Kid A (2000) e Amnesiac (2001), in cui chitarra, pianoforte ed elettronica
delicata si intrecciano ad esprimere malinconia, disagio, tensione ed
inquietudine come da manifesto dei Radiohead del nuovo millennio. La dimensione
emotiva del falsetto ansiogeno di Thom Yorke viene amplificata dalle
orchestrazioni di Jonny Greenwood, ormai maestro di colonne sonore alla corte
di Paul Thomas Anderson (e non solo), e Tom Skinner alle pelli regala ritmiche
ed armonie che mutano di brano in brano (scuola King Crimson avant-prog). E’ in
questa seconda parte che si esprimono i capolavori, le ballate per pianoforte,
elettronica inquieta, crescendo orchestrali ed ombreggiature ritmiche che
richiamano i fasti di Pyramid Song, Fake
Plastic Trees, Exit Music, 2+2=5, e molte altre gemme nel carniere degli
oxfordiani. Alla fine, la domanda iniziale risulta pleonastica: Yorke e
Greenwood ribadiscono di essere tra i musicisti più influenti del nuovo
millennio, e noi siamo di fronte ad un grande album di una grande band. Che
promette meraviglie nei cinque concerti italiani dal 14 al 20 luglio (Milano,
Ferrara, Macerata, Roma, Taormina).
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