Slick Steve and the Gangsters. Un nome che già da solo evoca tutte le sonorità rock'n'roll classiche. Chi ieri sera ha deciso di andare al Micca Club di Roma pur conoscendo questa giovane band solo da Youtube e siti simili sapeva cosa aspettarsi. E in parte il quartetto bresciano ha confermato in pieno le aspettative, snocciolando per più di due ore una serie di classici, tipo "These boots are made for walking", più alcuni pezzi originali. Energia esplosiva, virtuosismo tecnico al di sopra della media e grandissima capacità di tenere la scena, non solo per l'eccezionale istrionismo del front man. Ma l'aspetto sorprendente e trascinante della serata è stata proprio la performance di Slick Steve, un personaggio un po' cantante (e che cantante!), un po' giocoliere, prestigiatore, equilibrista e agitatore di folle. Uno che ha saputo incredibilmente mischiare le due (tre? quattro?) passioni della propria vita mettendole al servizio di una band coi fiocchi. Con un po' più di tempo e coraggio per proporre più materiale originale che vada oltre le cover di evergreen - e qualcosa ieri sera si è già sentito - questi quattro ragazzi si ritaglieranno sicuramente un posto più che degno nel panorama rock italiano.
domenica 24 febbraio 2013
giovedì 21 febbraio 2013
Recensioni al volo. Kim Edgar, Fiction Family, Biffy Clyro, Devon Allman
Kim Edgar - The Ornate Lie (2012)
Tra le code di ascolti del 2012 devo ricordare questa giovane pianista e cantautrice scozzese, già facente parte dei The Burns Unit, le cui melodie folk-rock cristalline e gentili e la cui voce elegante, che ricorda quella di Annie Haslam (Renaissance), sono un raggio di luce in questo periodo così teso e preoccupato. Voto ★★★★
Fiction Family - Reunion (2013)
Progetto parallelo di Sean Watkins (Nickel Creek) e Jon Foreman (Switchfoot), fondono la loro impronta folk-rock e bluegrass con una ispirazione quasi psych-pop. Energia, espressione, passione, in un'atmosfera acustica stripped-down. Voto ★★★1/2
Biffy Clyro - Opposites (2013)
Trio scozzese, sono ottimi interpreti di una bella miscela di progressive, hard rock ed alternative rock. Molto celebri soprattutto per le loro performances dal vivo, sono arrivati al sesto album senza avere avuto un vero e proprio successo almeno fino al precedente Only Revolutions del 2009. Sicuramente non un capolavoro, ma in ogni caso un buon album, ricco di carica e di ballate rock come non se ne sentivano da tempo. Voto ★★★1/2
Devon Allman - Turquoise (2013)
Figlio di Gregg Allman e membro di due band (Honeytribe e Royal Southern Brotherhood) è al suo primo album da solista. Non deve essere facile portare il suo cognome e l'ombra di suo padre appare sempre, nel bene e nel male, come l'aria che ha respirato e i suoi che ha ascoltato per tutta la sua vita. Ne esce un buon album blues-rock venato di influenze Southern, solido come una roccia ma con una tecnica semplice e raffinata. Voto ★★★★
Tra le code di ascolti del 2012 devo ricordare questa giovane pianista e cantautrice scozzese, già facente parte dei The Burns Unit, le cui melodie folk-rock cristalline e gentili e la cui voce elegante, che ricorda quella di Annie Haslam (Renaissance), sono un raggio di luce in questo periodo così teso e preoccupato. Voto ★★★★
Fiction Family - Reunion (2013)
Progetto parallelo di Sean Watkins (Nickel Creek) e Jon Foreman (Switchfoot), fondono la loro impronta folk-rock e bluegrass con una ispirazione quasi psych-pop. Energia, espressione, passione, in un'atmosfera acustica stripped-down. Voto ★★★1/2
Biffy Clyro - Opposites (2013)
Trio scozzese, sono ottimi interpreti di una bella miscela di progressive, hard rock ed alternative rock. Molto celebri soprattutto per le loro performances dal vivo, sono arrivati al sesto album senza avere avuto un vero e proprio successo almeno fino al precedente Only Revolutions del 2009. Sicuramente non un capolavoro, ma in ogni caso un buon album, ricco di carica e di ballate rock come non se ne sentivano da tempo. Voto ★★★1/2
Devon Allman - Turquoise (2013)
Figlio di Gregg Allman e membro di due band (Honeytribe e Royal Southern Brotherhood) è al suo primo album da solista. Non deve essere facile portare il suo cognome e l'ombra di suo padre appare sempre, nel bene e nel male, come l'aria che ha respirato e i suoi che ha ascoltato per tutta la sua vita. Ne esce un buon album blues-rock venato di influenze Southern, solido come una roccia ma con una tecnica semplice e raffinata. Voto ★★★★
venerdì 15 febbraio 2013
Mezzo secolo di canzoni italiane.
MEZZO
SECOLO DI CANZONI ITALIANE
Alcuni amici dopo aver letto il recente post “Il
download è legale?” hanno chiesto maggiori notizie sul libro citato, “Mezzo secolo di canzoni italiane – Una
prospettiva sociologica (1960-2010), Carocci Editore 2012”, di Stefano Nobile.
Con molto piacere riprendo quanto scritto
dall’editore sull’ultima di copertina e le note sull’Autore.
“Dopo decenni di ostracismo, alla canzone italiana
è stata finalmente riconosciuta piena dignità in quanto prodotto culturale, che
l’ha resa oggetto di analisi storiche, linguistiche e musicologiche, di
disamine dotte e di critiche irriverenti e divertite. Il ritratto che ne è
uscito di volta in volta ha privilegiato ora la forma (soprattutto negli studi linguistici
e musicologici), ora il contenuto (in quelli sociologici e storici). Questo
libro si propone di colmare il lacunoso spazio della ricerca empirica sulla
canzone in una chiave prettamente sociologica, mettendo insieme le diverse
dimensioni di analisi: una rivolta ai contenuti (temi, valori); una seconda, di
impronta sociolinguistica, rivolta al gioco di continua retroazione tra società
e lingua cantata; infine una terza che, utilizzando gli strumenti propri della
ricerca nel campo della metodologia delle scienze sociali, esplora la
dimensione strettamente musicale della canzone. A partire da un campione
rappresentativo composto da 500 album e da oltre 6.000 canzoni, se ne ricava la
fotografia delle parole, dei temi, dei valori e dei suoni arrivati alle
orecchie degli italiani nell’ultimo mezzo secolo. È un’immagine per quanto
possibile a tutto tondo, che solleva interrogativi, propone analisi e
interpretazioni, riporta dati, crea liste che evidenziano il meglio e il
peggio, i periodi di creatività e quelli di affanno della canzone come prodotto
culturale, mostrando come essa si sia spesso mossa in parallelo con la società
italiana, tra fasi di rinascimento e momenti di decadenza.”
STEFANO NOBILE insegna Istituzioni di sociologia e comunicazione
presso la Sapienza, Università di Roma. E’ autore di volumi e articoli di
carattere metodologico e di libri sul rapporto tra musica e società.
Tra gli altri ricordo L’arcipelago del rock – La fruizione
musicale giovanile tra consumo ed identificazione (Vallecchi Ed. 1992) e L’Italia che si dispera e l’Italia che si
innamora – Temi, valori e linguaggi in 25 anni di canzone italiana (con
Giovanni Di Franco, Paper Ed. 1995).
Ma soprattutto ricordo che
Stefano non vivrebbe senza il cinema e senza Neil Young, Frank Zappa, Bill
Frisell, Bob Dylan, Gilio e l’ECM (possiede l’intero catalogo musicale di oltre
mille lavori avantgarde/jazz/contemporanea della nota casa discografica di
Monaco).
Così come ricordo i suoi
interessantissimi blog di musica (http://musicadegradata.blogspot.it)
e cinema (ma non solo) (http://barabbovich.blogspot.it), che ci illuminano da anni.
martedì 12 febbraio 2013
ARBOURETUM (2013) Coming Out Of The Fog
“La psichedelia nasce già contaminata attorno alla metà dei Sixties dall’imbastardimento di blues, folk e avanguardia, immersi nel calderone rock’n’roll e trasfigurati a botte di volume, effetti, pedali, distorsioni. E droghe, naturalmente.” (Mucchio Extra 2013).
Preambolo per dire che la psichedelia, vivendo di trasformazione, non solo non è mai morta, ma è oggi viva e vitale e, ovviamente, ancora più contaminata che in passato. Talmente ibridata che si può essere appassionati di musica psichedelica ed odiare lo psych-metal dei Tool ma amare ad esempio lo psych-prog degli Spiritualized, o lo psych-folk degli Akron/Family, o lo psych-stoner dei Kyuss, o lo psych-pop dei Flaming Lips, o lo psych-hard dei Black Mountain, o lo psych-avantgarde dei Charalambides, o lo psych-funky dei Goat, o lo psych-glam dei Soundtrack of Our Lives, o lo psych-west coast di Jonathan Wilson, o lo psych-hippy di Devendra Banhart, o lo psych-noise dei Comets On Fire, o lo psych-folkrock dei Woods, o lo psych-kraut dei Black Angels, o lo psych-jazz dei Motorpsycho, o lo psych-garage di Bevis Frond, o persino accettare l’abolizione delle chitarre nello psych-elettronico dei Chemical Brothers.
Insomma, ce n’è veramente per tutti i gusti, all’unica condizione che la mente deve essere aperta, in modo spontaneo o indotto (vedi sopra), appunto alla contaminazione.
Il lungo prologo serve, vista la non frequente trattazione di lavori psichedelici sul nostro blog, ad introdurre l’ultimo album degli Arbouretum, una tra le migliori realtà della neo-psichedelia a stelle e strisce.
La band del polistrumentista Dave Heumann al 5° album continua a frullare riffs e distorsioni chitarristiche di scuola acid e stoner con l’eredità elettrica di Neil Young e soprattutto Richard Thompson –peraltro la voce di Heumann è fortemente evocativa dell’ex Fairport Convention—ma anche con l’alt.country e l’apprendistato di Heumann da Bonnie Prince Billy (vedi la costruzione dei brani e l’uso della slide in Oceans Don’t Sing e nella title track), e perfino con accenni dandy à-la-Bryan Ferry in All At Once, The Turning Weather.
Se il risultato finale è come al solito di buon livello (soprattutto se ci si abbandona alla musica ciondolando la testa tra luci psichedeliche), è tuttavia un peccato che non si eccella in fantasia o non si propongano soluzioni sonore differenti rispetto ai precedenti lavori, come sempre tra Pontiak, Black Mountain e Low.
Gioverebbe la chitarra solista di Thompson o Young.
Preferite: The Long Night, The Promise, Oceans Don’t Sing
Voto Microby: 7.5/10
sabato 9 febbraio 2013
NON SOLO USA E UK!
La musica pop-rock (e dintorni) è stata un mezzo formidabile nel favorire la globalizzazione, ma è anche stata fortemente influenzata dalla medesima.
Tanto che oggi sono numerosi i Paesi non english-speaking da cui nascono bands che balzano agli onori della cronaca per le loro proposte musicali, per lo più in lingua inglese (d’altra parte la più adatta ad esprimere al meglio questo tipo di musica), con qualche eccezione (i grandi Sigur Ros su tutti).
E le coordinate musicali/sociali sono sempre le medesime degli albori: un genere, il R’n’R, nato come eccezionale forma di divertimento ed insieme di protesta, ed in tale binomio evoluto dal movimento hippie dei tardi ’60 alla canzone politica dei ’70, dalla rivolta generazionale del punk a quella esistenzialista del grunge, dal primo hip-hop dei ghetti neri ai neo-intimisti bianchi figli del “no future” sex-pistolsiano.
Linguaggio, quello del rock, dimostratosi trans-generazionale e trans-culturale, che insieme lecca e morde la mano che lo nutre.
Oggi non solo Gran Bretagna ed ex colonie (USA, Irlanda, Australia, Canada le prime della classe) producono pop-rock di qualità, movimento e confronto, ma anche tutto il mondo (per ora occidentale; per ora). Segnaliamo alcuni albums èditi nell’appena concluso 2012 da artisti di paesi appunto non di lingua inglese, meritevoli di attenzione per il presente e per il futuro.
“Hey hey, my my / rock’n’roll will never die” (Neil Young).
(ISRAELE) - ASAF AVIDAN (2012) Different Pulses
33enne israeliano dal respiro musicale internazionale, dotato di una voce originale, femminea, tra il soul di Amy Winehouse e la teatralità di Marianne Faithfull, nasale e drammatica come quella di Brian Molko dei Placebo. La voce è l’elemento portante di un pop acustico, con un velo di elettronica, che molto deve a Leonard Cohen, con arrangiamenti che guardano a Luis Bacalov ed Ennio Morricone piuttosto che a USA e UK. Da tenere d’occhio. 7.5/10
(ISLANDA) - SIGUR ROS (2012) Valtari
Al 6° album, dopo che il precedente Med Sud… e l’esordio solista di Jonsi hanno espresso più canonicamente una forma-canzone, gli islandesi tornano alle mitiche sonorità di cui sono inventori, un bagaglio insieme antico e modernissimo, legato alla terra e allo spazio, sempre altamente meditativo e spirituale, fatto di riverberi, echi, archi e voci angeliche, di crescendo ieratici e pause (dilatate) di intimità quasi sacra, corredato da un cantato nell’immaginario idioma “hopelandic”. Tutto già ascoltato, si potrebbe eccepire. Vero, ma solo dai Sigur Ros stessi. Chi li ama, ha un altro brandello di sogni a disposizione. Chi già li odia, lo faccia a brandelli. 7.5/10
(BELGIO) - BALTHAZAR (2012) Rats
Secondo sforzo per il gruppo belga meno noto, e finora meno dotato, rispetto ai grandi conterranei dEUS: e lo fa con un album che richiama piuttosto un’altra band belga, i Venus, con soluzioni musicali tra l’indie ed il dandy/art-rock, ed una voce tra il crooner e l’esistenzialista. Indubbio il (buon) gusto per un pop dagli arrangiamenti piacevoli (per l’airplay) e ruffiani (per la critica), anche se a tratti manca di mordente. 7.2/10
(ITALIA) - CHEAP WINE (2012) Based On Lies
La band di Pesaro è giunta al 9° album autoprodotto ed ha ormai credibilità da vendere, fondata sulla fedeltà ad una proposta musicale “americana” in senso lato, che guarda ammirata a Bruce Springsteen tanto quanto a The Walkabouts, ma soprattutto al Paisley Underground di Dream Syndicate e Long Ryders: con testi in inglese, bella ispirazione e notevole perizia tecnica (con note di merito per l’intensità delle chitarre elettriche ed il pianismo alla Asbury Park dei ’70), Based On Lies si merita un posto di riguardo in termini assoluti tra le uscite roots USA del 2012) 7.8/10
(SVEZIA) - TAKEN BY TREES (2012) Other Worlds
Victoria Bergsman, ex-voce dei Concretes, incide il 3° album in proprio dopo un viaggio alle Hawaii, anche se i tropici cui la svedese si ispira negli arrangiamenti, produzione, strumenti utilizzati sono i Caraibi: molto reggae ma soprattutto dub dalla Giamaica, ed abbondanza di calypso filtrato/modernizzato all’europea, ritmica in levare e le squillanti steel drums che tutti hanno incontrato in una vacanza alle Antille. Peccato per la voce che vorrebbe essere sognante mentre a tratti è soporifera, in un prodotto che appare troppo cerebrale per le premesse iniziali. 7.1/10
domenica 3 febbraio 2013
Villagers - Awayland (2013)
Conor O'Brien non è sicuramente giovanissimo: a 29 anni, per lo meno nei paesi anglosassoni, sei già considerato un veterano (Hendrix e Cobain, per esempio non ci sono mai arrivati a quell'età). Nonostante ciò l'impressione è quella di trovarsi di fronte ad un ragazzino, il cui vero debutto è stato un paio di anni fa con l'album "Becoming a Jackal", insieme a questo suo nuovo gruppo, nato dopo lo scioglimento dei "The Immediate", cui il nostro irlandese dava lustro ed ispirazione. Il buon successo di quell'album ci faceva attendere con ansia e preoccupazione questo secondo lavoro (il rischio del disco numero 2): ecco che invece O'Brien si inventa un lavoro completamente diverso dal precedente. Laddove c'erano le atmosfere alla Nick Drake o Damien Rice qui invece i ritmi sono sempre ad impronta tipicamente pop-folk, ma con rimandi jazz-fusion, noise alla Radiohead o dolcemente elettronici alla Bon Iver. L'inizio è fulminante con la bellissima Earthly Pleasure e la sua immagine iniziale "Naked on the toilet with a toothbrush in his mouth, when he suddenly acquired an overwhelming sense of doubt", per poi proseguire con il ritmo sincopato ed allucinogeno di The Waves, i rimandi cinematografici di The Bell con quei sapori Hitchcockiani e gli Hammond che ricordano i film di James Bond, o ancora l'ispirazione alla Thom Yorke di Passing a Message.
Un passo in avanti coraggioso, l'inizio di un viaggio ricco di promesse. Un disco brillante ed eclettico. Voto ★★★★1/2
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