martedì 12 febbraio 2013

ARBOURETUM (2013) Coming Out Of The Fog

La linfa vitale della psichedelia è la contaminazione.
“La psichedelia nasce già contaminata attorno alla metà dei Sixties dall’imbastardimento di blues, folk e avanguardia, immersi nel calderone rock’n’roll e trasfigurati a botte di volume, effetti, pedali, distorsioni. E droghe, naturalmente.” (Mucchio Extra 2013).
Preambolo per dire che la psichedelia, vivendo di trasformazione,  non solo non è mai morta, ma è oggi viva e vitale e, ovviamente, ancora più contaminata che in passato. Talmente ibridata che si può essere appassionati di musica psichedelica ed odiare lo psych-metal dei Tool ma amare ad esempio lo psych-prog degli Spiritualized, o lo psych-folk degli Akron/Family, o lo psych-stoner dei Kyuss, o lo psych-pop dei Flaming Lips, o lo psych-hard dei Black Mountain, o lo psych-avantgarde dei Charalambides, o lo psych-funky dei Goat, o lo psych-glam dei Soundtrack of Our Lives, o lo psych-west coast di Jonathan Wilson, o lo psych-hippy di Devendra Banhart, o lo psych-noise dei Comets On Fire, o lo psych-folkrock dei Woods, o lo psych-kraut dei Black Angels, o lo psych-jazz dei Motorpsycho, o lo psych-garage di Bevis Frond, o persino accettare l’abolizione delle chitarre nello psych-elettronico dei Chemical Brothers.
Insomma, ce n’è veramente per tutti i gusti, all’unica condizione che la mente deve essere aperta, in modo spontaneo o indotto (vedi sopra), appunto alla contaminazione.
Il lungo prologo serve, vista la non frequente trattazione di lavori psichedelici sul nostro blog, ad introdurre l’ultimo album degli Arbouretum, una tra le migliori realtà della neo-psichedelia a stelle e strisce.
La band del polistrumentista Dave Heumann al 5° album continua a frullare riffs e distorsioni chitarristiche di scuola acid e stoner con l’eredità elettrica di Neil Young e soprattutto Richard Thompson –peraltro la voce di Heumann è fortemente evocativa dell’ex Fairport Convention—ma anche con l’alt.country e l’apprendistato di Heumann da Bonnie Prince Billy (vedi la costruzione dei brani e l’uso della slide in Oceans Don’t Sing e nella title track), e perfino con accenni dandy à-la-Bryan Ferry in All At Once, The Turning Weather.
Se il risultato finale è come al solito di buon livello (soprattutto se ci si abbandona alla musica ciondolando la testa tra luci psichedeliche), è tuttavia un peccato che non si eccella in fantasia o non si propongano soluzioni sonore differenti rispetto ai precedenti lavori, come sempre tra Pontiak, Black Mountain e Low.
Gioverebbe la chitarra solista di Thompson o Young.

Preferite: The Long Night, The Promise, Oceans Don’t Sing

Voto Microby: 7.5/10

1 commento:

lucaf ha detto...

Avevo trovato molto interessante il precedente "The Gathering" ed anche questo lavoro non è male. Affonda le sue radici nella psichedelia più vicina al folkrock (potrebbe essere il disco 2 dell'ultimo di Neil Young & Crazy Horse).

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