mercoledì 10 aprile 2013

MINIRECENSIONI: Jimi Hendrix, Eric Burdon, Devendra Banhart, Cocorosie, My Bloody Valentine

  • JIMI HENDRIX (2013) People, Hell And Angels
  • La pubblicazione di un disco di inediti risalenti al 1968-1969 ci mostra la direzione presa dal più grande chitarrista di sempre dopo la separazione dagli Experience Noel Redding e Mitch Mitchell, con Jimi dagli esordi, e qui già sostituiti dai nuovi sodali Billy Cox al basso e Buddy Miles alla batteria. L’eccellente qualità di registrazione è superiore a quella compositiva, ferma a un repertorio rock, blues, R’n’R, boogie nobilitato solo da chitarra e voce di caratura superiore. 7.1/10

  • ERIC BURDON (2013) ‘Til Your River Runs Dry
  • Ingiustamente ricordato soprattutto come frontman degli Animals, il 72enne vocalist inglese bianco ma “black painted” è invece titolare di una lunga carriera solistica impreziosita da almeno un paio di capolavori e che, dopo un appannamento negli anni ’80-’90, lo ripropone in recente ascesa qualitativa. Lo dimostra l’ultima fatica in cui, tra rock mainstream, anima blues, soul nerissimi ma soprattutto una generale atmosfera calda, malata, sudaticcia, indolente da delta del Mississippi il nostro sottolinea che solo per sbaglio non è nato a New Orleans e cresciuto a fianco di Dr. John, Allen Toussaint e Neville Brothers. Tra i suoi albums migliori. 8.2/10
  • DEVENDRA BANHART (2013) Mala
  • Il solito psych-folk acustico, scarno, essenziale, lo-fi, giusto screziato da una quantità omeopatica di elettronica (sola novità, di scarso rilievo). Vero che DB con una proposta musicale unica per originalità si è ritagliato un posto tra i grandi sia della neo-psichedelia, sia del neo-folk, sia del neo-cantautorato intimista. Vero anche che non riesce/non vuole, dopo 8 albums, uscire dal suo cliché, agli esordi assai più ispirato. Sarebbe gradito un rinnovamento, in qualunque direzione. 6.9/10
  • COCOROSIE (2013) Tales of a Grass Widow
  • Le sorelle cherokee Bianca “Coco” e Sierra “Rosie” Casady sposano un’elettronica lieve, aggraziata, umana, che poco si discosta dall’utilizzo di carillions e giocattolini vari utilizzati fin dagli esordi folk lo-fi. Continuano ad essere immediatamente riconoscibili con le loro voci infantili, pur in un collage che stringe patti tra il rap lieve e lo spleen di Antony Hegarty, il folk innocente e l’astrazione di Bjork. Ma non possiedono più l’ispirazione ingenua dei primi due lavori, soprattutto nella seconda parte dell’album. 6.9/10
  • MY BLOODY VALENTINE (2013) mbv
  • Il ritorno dopo 22 anni di silenzio dei padri dello shoegaze e del dream pop solleva grandi curiosità ed interesse, ma non sorprende artisticamente in quanto non sposta di una virgola l’asse musicale, fermo al capolavoro Loveless del 1991. Certo viene dai maestri del genere, ma chi non ha amato i suoni di chitarra saturi e distorti a sporcare melodie pop solo sussurrate, non lo farà ora di fronte ad una proposta ormai sdoganata da 25 anni. Chi già li adorava ha nuovo materiale (su vecchie idee) di cui godere. Il voto è di stima. 7/10

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