lunedì 1 aprile 2013

Recensioni al volo: Assembly of Dust, Heidi Talbot, Josh Rouse


Assembly of Dust - Sun Shot (2013)
Il gruppo nasce dopo che Raid Genauer lascia gli Strangefolk, una jam band di discreto successo negli USA. Questo nuovo progetto appare sin dagli inizi sicuramente originale: l'idea è quella di assemblare una serie di musicisti, facendoli suonare ciascuno a casa propria ma fondendo i vari strumenti e le parti vocali tramite Web-Streaming. Nel 2009 riescono a mettere insieme tra gli altri Richie Havens, Bela Fleck, David Grisman e Mike Gordon (Phish) e pubblicano un discreto lavoro ("Some Assembly Required"). Stavolta (sono al 4° lavoro) se ne sono inventata un'altra: hanno raccolto 25000$ direttamente da donazioni dei fan (ricambiati con chiamate telefoniche di buon compleanno da Genauer stesso, serate itineranti a casa dei fan con degustazioni di whisky o opportunità di richiedere una canzone ispirata alla vita del fan stesso o di qualcuno a loro caro). E la musica? Armonie vocali e arrangiamenti acustici conditi con Hammond e chitarre steel, per un genere alt-country, che rimandano decisamente alle cose migliori dei Phish. Un disco che ci presenta un gruppo di enorme potenziale. Voto ★★★

Heidi Talbot - Angels without Wings (2013)
Cosa ti puoi aspettare da un'irlandese emigrata a Nashville e ultimamente trasferitasi in Scozia (per amore, essendosi sposata il suo violinista John McCusker)? Ovviamente  fisarmoniche, banjo, viole, dobro, violini secondo un folk tradizionale innestato su ritmi country. Se poi aggiungete il contributo di Mark Knopfler, tra gli eroi indiscussi di questo blog (a proposito chi viene con me e Andrea a Londra a fine maggio per il suo concerto alla Royal Albert Hall?), di Tim O'Brien e Jerry Douglas, due tra i migliori esponenti del bluegrass più solido, quello che ne risulta è un bel mix armonioso tra genere Americana e Celtic con echi Cajun e country-pop. Un disco squisito, che consiglio a tutti di ascoltare. Voto ★★★


Josh Rouse - The Happiness Walts (2013)
JR è sicuramente tra i migliori esponenti del folk-pop più moderno: in questo lavoro ha lasciato da parte i ritmi spanglish degli ultimi lavori per tornare a essere sempre quell'artista caldo, gentile, accogliente, che abbiamo sempre apprezzato. L'unica pecca è di essere forse un pò troppo ad alto tasso glicemico, ma comunque va bene lo stesso: c'è il tempo per Nick Cave e c'è anche quello per Josh Rouse. Il disco era già stato introdotto qualche giorno fa da Andrea il quale aveva perfettamente colpito nel segno: da ascoltare con una bella birra in mano in una sera di primavera (ormai non possiamo pretendere altro). Voto ★★★1/2

2 commenti:

microby ha detto...

A proposito di JOSH ROUSE, da sempre lo accosto ad un altro prezioso JOSH, RITTER, forse perchè entrambi (e nello stesso periodo) me li fece conoscere Stefano (grazie forever and ever, bro!): non solo per via del nome in comune, ma soprattutto per quel cantautorato di classe che, pur ispirandosi a modelli diversi (a mio giudizio più James Taylor/Paul Simon per Josh Rouse, e più Bob Dylan/Fred Neil per Josh Ritter), trae per entrambi spunto dal grande fermento dei singers-songwriters del Greenwich Village di fine anni '60. E così i due, pur non essendo mai stati degli innovatori, sono fin dagli esordi tra i cantautori migliori della propria generazione per qualità compositive, dal momento che, sempre armati di voce morbida, piano acustico ed elettrico, arpeggi di chitarra, sezione ritmica elegante ed arrangiamenti qua e là bachariani per Rouse e "americana" per Ritter, continuano a non sbagliare un colpo sulla scia dei maestri ispiratori. Concordo con la dimensione "ambientale" suggerita da Luca ed Andrea per godere al meglio i due dischi (a proposito, quello pubblicato in marzo da Josh Ritter si intitola "The Beast In Its Tracks"), assegno ad entrambi un primaverile 7.5/10, e come Andrea suggerisco fino alla noia "Julie (Come Out of The Rain)" di Josh Rouse, brano che mi sveglia ogni mattina da una settimana in un modo che più dolce non si può (cioè sì, si potrebbe, ma non si può scrivere...)

microby ha detto...

Ho ascoltato Assembly of Dust ed Heidi Talbot solo dopo le recensioni di Luca, perchè non li conoscevo proprio. E mi sono piaciuti.

ASSEMBLY OF DUST: il gruppo capitanato da Raid Genauer propone canzoni che seguono sempre il filo di un country-rock sudista che trova agganci tra la Zac Brown Band ed i Phish, tra i Little Feat e Dave Alvin, tra Joe Ely e The Band of Heathens, in una festa tra amici che ribolle di armonie vocali, organo Hammond, chitarre acustiche, elettriche e steel. 7.5/10

HEIDI TALBOT: la cantautrice irlandese trasferitasi a Nashville e quindi in Scozia, dove si è sposata col proprio violinista, risente artisticamente del suo spirito globetrotter: voce acuta prepubere, ben modulata, per un folk anglo-scoto-irlandese dalle marcate influenze country-nashvilliano, sempre proposto con grazia e misura. 7.5/10

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