mercoledì 29 ottobre 2014

SOPHIE ZELMANI


SOPHIE ZELMANI (2014) Everywhere
Timida ma caparbia, la cantautrice svedese dopo aver mollato la Sony licenzia il secondo album in pochi mesi, dopo il bellissimo Going Home in cui ha proposto nuove versioni di vecchie canzoni. Ora è la volta di brani inediti, ma gli arrangiamenti sono immutati: acustici, dalle trame semplici ma dai dettagli raffinati, che si tratti di fiati vanmorrisoniani o di archi bacaloviani o di pizzicati knopfleriani. Il passo è lento, felpato: intimo o noioso, dolce o soporifero a seconda della disposizione dell’ascoltatore. Le qualità vocali della Zelmani non le hanno permesso finora, in 18 anni di carriera, di esprimersi in altro modo che col sussurro (al pari di J.J. Cale): limite severo, che tuttavia lei ha saputo trasformare in tenerissima carezza. Forse sempre più o meno uguale a se stessa, ma ci si può lamentare di dolci coccole ripetute? Per sensibilità musicale assai vicina a Vashti Bunyan, non aspettiamo di scoprirla fra 40 anni come è successo all’artista inglese…
Voto Microby: 7.8
Preferite: Should I Tell You, The Lord, Charlotte By The Shore

giovedì 23 ottobre 2014

LISA AND THE LIPS, BEN MILLER BAND, LENNY KRAVITZ


LISA AND THE LIPS (2014) Lisa And The Lips
L' hawaiiana Lisa Kekaula è la prodigiosa voce dei Bellrays, band californiana che negli anni '90 e '00 ha raccolto vivaci consensi con la sua miscela infuocata di soul e punk. Solo momentaneamente accantonata la band-madre e temporaneamente accasatasi a Madrid col partner/chitarrista Bob Vennum, Lisa si è avvalsa di giovani musicisti locali per sezione ritmica e fiati e ha dato corpo alla parte più black della propria anima. Il risultato è un soul/R&B/funky trascinante, molto ben suonato nonostante conservi l'energia punk-rock che lo differenzia dal retro-soul vintage dei classici Sharon Stones, Charles Bradley e Lee Fields. Peccato non abbia osato spingersi oltre, come ha fatto Black Joe Lewis contaminando sapientemente il soul col garage-rock e la psichedelia: con la voce che Lisa possiede non avrebbe rivali nel campo. Ma non è esclusa una possibile evoluzione in tal senso. Intanto dal vivo è imperdibile: sembra la figlia scapestrata di James Brown (vista live durante l'estate ad Arena Sonica, Parco Castelli, Brescia, free!)
Voto Microby: 7.8
Preferite: Mary Xmas, The Pick Up, It Only Takes A Little Time
BEN MILLER BAND (2014) Any Way, Shape Or Form
Ricordate la scena in cui i Blues Brothers suonavano Rawhide all’infinito in un country-bar protetti da una gabbia che li difendeva da bottiglie bicchieri scarpe ed altri ammennicoli scagliati dal pubblico? Ebbene, il trio di irsuti montanari capitanati da Ben Miller e dotati di capacità tecniche notevolissime sarebbe perfetto per quella location. Energia a fiumi (alcoolici), ritmi indiavolati, scrittura colta che conosce a memoria la tradizione country, bluegrass, old-time music, hillbilly, mountain stomp, blues elettrico, folk degli Appalachi e southern rock. Perché la vera forza del trio è la naturale capacità di ibridare ZZ Top con Nitty Gritty Dirt Band passando per Buddy Guy, shakerare Black Keys con Old Crow Medicine Show assoldando R.L. Burnside. In un trionfo di banjos, dobro, slide, chitarre elettriche, armonica, fiati e strumenti fatti (il basso) o recuperati (l’asse per lavare i panni) in casa. “Ozark stomp” autodefiniscono la propria musica (il trio è originario delle Ozark Mountains): al netto di qualche ingenuità, ridefiniscono il nu-country ed il neo-traditional folk aprendoli all’ascolto dei non appassionati con una carica di energia ed allegria contagiosa, davvero degna dei Blues Brothers.
Voto Microby: 7.7
Preferite: Hurry Up And Wait, Ghosts, You Don’t Know


LENNY KRAVITZ (2014) Strut
Il risveglio dal torpore creativo testimoniato dall’ottimo Black & White America di 3 anni fa non è rimasto un fatto isolato. Dopo gli ampi consensi di critica e pubblico riscossi con i primi 3 albums, un’intrigante e calda fusione di musica black (Jimi Hendrix) e white (Beatles), erano seguiti lavori meno ispirati cui LK aveva cercato di porre rimedio affidandosi ad un pop-rock più radiofonico ma anche più bianco e dozzinale. Il ritorno alla pura black music dei seventies col riuscito melting pot di rock, soul e funky di B&WA ha ora un seguito in Strut: disco carnale e sporco, zeppo di grooves e di chitarre sferraglianti che macchiano di garage la costante propensione alla disco e al glam dei ’70. Puro divertimento, sebbene liberatorio piuttosto che allegro, dopo l’impegno sociopolitico di B&WA. Rinascita confermata.
Voto Microby: 7.6
Preferite: The Pleasure And The Pain, Dirty White Boots, She’s A Beast




venerdì 17 ottobre 2014

Recensioni: Adam Cohen, Jackson Browne, Brigitte DeMeyer

ADAM COHEN - We go home (2014)
Non deve essere per niente facile confrontarsi con il padre, e anche per il sottoscritto è praticamente impossibile non pensarci. Peraltro in questo album Adam suona indubitatamente proprio come il padre che tra l’altro viene evocato in molte parti del lavoro con riferimenti biografici e personali. Nonostante quindi non cerchi più di tanto di nascondere il suo DNA, in quest’album, grazie anche alla collaborazione dell’amica Serena Ryder, il suo folk-rock impreziosito da ballate gospel cerca di trovare la sua strada.  Una serie di melodie nè stucchevoli nè inaccessibili in cui Adam dimostra un tentativo di imporre il proprio stile senza dimenticare l’ascendente genetico.
Riferimenti: Mumford & Sons. Brani migliori: Song of Me and You, We Go Home, So Much to Learn. Voto: ☆☆☆☆

JACKSON BROWNE - Standing on the breach (2014)
In piedi sulla breccia.  Chi se l’aspettava: lo stupendo disco doppio di sue cover (andatevi a ripescare la recensione) ci aveva fatto riandare nel passato e ci aveva confermato come la sua musica non avesse tempo e l’energia di nuovi interpreti è stata una ulteriore conferma della unica bellezza delle sue canzoni. Sicuramente il suo apice creativo risale a 40 anni fa, tra “Late for the Sky” ed il disco on the road “Running on empty”: da lì in poi dischi sempre di classe ma senza incantare mai.  Ed anche stavolta il timore, per lui come per tutti i grandi del passato, era quello di trovarsi di fronte ad un disco di declinante professionalità. Ebbene niente di tutto ciò: ballate dolci, malinconiche ma solide. Melodie lente ed intime. Disco bellissimo. Brani migliori: The Birds Of St. Marks, If I Could Be Anywhere. Voto: ☆☆☆☆

BRIGITTE DeMEYER - Savannah Road (2014)

Figlia di un marinaio belga sempre in giro per il mondo con la sua famiglia, poi stabilitasi e  cresciuta in California, ed è al 6° album in 13 anni di carriera. Ha una voce che ricorda quella di Sheryl Crow ed il suo genere mescola country e bluegrass al blues ed al soul.  Negli ultimi tempi fa da spalla nei concerti di Gregg Allman (mica male come biglietto da visita..). Riferimenti: Lyle Lovett. Brano migliore: Boy's Got Soul. Voto: ☆☆☆

martedì 14 ottobre 2014

Parliamo male di: ALEX BANKS, FKA TWIGS, KAISER CHIEFS, THE HORRORS, WILLIAM FITZSIMMONS


ALEX BANKS (2014) Illuminate
Ventenne inglese autore di musica elettronica da ascolto, basata su melodie e beats reiterati, su strutture circolari ed iterative ad effetto rilassante/ipnotico, più parente della musica lounge da salotto europeo contemporaneo che dell’avantgarde. Niente di nuovo sotto il profilo dell’innovazione ma nemmeno grande creatività melodica. Piacevole come sottofondo.
Voto Microby: 6.7
Preferite: Silent Embrace, A Matter of Time
 
FKA TWIGS (2014) LP1
Formerly Known As Twigs (FKA aggiunto nel 2012 in seguìto ad una disputa legale con un gruppo omonimo) è l’aka della 22enne inglese Tahliah Barnett, l’ennesima artista descritta come il futuro dell’R&B. Se il destino della black music è riposto in questo mix di elettronica, trip-hop, hip hop figlio di Eno, Bjork, Aphex Twin, James Blake (in ordine cronologico) e cugino dell’elettronica da ascolto dei vari Alex Banks, Chet Faker, How To Dress Well, Christian Loffler ibridata con il nu-soul da MTV degli altrettanto vari (nel senso di interscambiabili) Frank Ocean, Blood Orange, Kanye West, Ed Sheeran beh… preferisco la pensione con Aretha Franklin, Mavis Staples, Sharon Jones o piuttosto con un’ambient/elettronica seria. In LP1, al di là dei bei suoni esaltati da un impianto stereo come si deve e dell’innegabile physique du role della protagonista (ma quante se ne possono clonare di simili?), mancano proprio delle idee che facciano la differenza. Assolutamente rimandata.
Voto Microby: 6.7
Preferite: Two Weeks, Closer, Video Girl
 
KAISER CHIEFS (2014) Education, Education, Education & War
Al 6° album la band di Leeds, che da sempre rappresenta la versione più anthemica del brit-pop (anche se epigono), non cambia di una virgola la carica innodica da stadio per adolescenti (nei primi lavori sorretta da buona ispirazione), con riffs di chitarra e sezione ritmica arrembanti. Tutto ben fatto, carino, orecchiabile. Tuttavia ormai la minestra è riscaldata, le polveri bagnate ed il trasporto emotivo non è più rabbioso, ma enfatico. Urge qualche idea nuova se non un cambio di direzione, per un gruppo che ha ancora ottime potenzialità.
Voto Microby: 6.9
Preferite: The Factory Gates, Roses, Coming Home
 

THE HORRORS (2014) Luminous
Il quintetto inglese non riesce proprio ad andare oltre una copia derivativa della new wave anni ’80, con chitarre sature, tastiere enfatiche, batteria roboante, voce epica e sofferta. Una mera imitazione dei Simple Minds, ma quelli peggiori, e fuori tempo massimo. Suggerito solo agli appassionati del genere.
Voto Microby: 6.8
Preferite: So Now You Know, Chasing Shadows, First Day of Spring
 
WILLIAM FITZSIMMONS (2014) Lions
Nonostante una produzione di lusso (Chris Walla dei Death Cab For Cutie), attenta ad arricchire gli arrangiamenti delle altrimenti scheletriche canzoni dell’irsuto cantautore della Pennsylvania, l’atmosfera generale del lavoro non riesce ad emergere dalla monotonia. A dimostrazione che non sono sufficienti dei bei suoni per fare un bel disco. Che barba questi barbuti cantautori confessionali che dimenticano di assumere l’antidepressivo con regolarità!
Voto Microby: 6.8
Preferite: Took, From You, Well Enough





giovedì 9 ottobre 2014

Patti Smith - Dream of life

anno: 2007   
regia: SEBRING, STEVEN  
genere: documentario
con Patti Smith, Lenny Kaye, Oliver Ray, Tony Shanahan, Jay Dee Daugherty, Jackson Smith, Jesse Smith, Tom Verlaine, Sam Shepard, Philip Glass, Benjamin Smoke, Shea  
location: Usa
voto: 4

Ci sono voluti 10 anni di riprese alle costole di Patti Smith, forse la stella più luminosa dell'intero firmamento rockettaro di genere femminile, per raccontare un passaggio cruciale della traiettoria umana - prima ancora che musicale - di questa poliedrica artista. È un viaggio in mare aperto e senza bussola quello al quale il regista Steven Sebring costringe gli spettatori, un andirivieni continuo nel tempo con la sola costante di quell'arco temporale cruciale in cui la vita di Patti Smith fu segnata da una serie di lutti, da Robert Mapplethorpe al marito Fred "Sonic" Smith fino al fratello minore. Fu anche l'epoca di un estenuante silenzio artistico, che in 17 anni vide sbocciare un solo disco, Dream of life, appunto, il sogno di una vita che non era più quella di prima e che andava ripensata con due bambini piccoli da crescere. Una vita iniziata a Chicago, proseguita facendo l'operaia e poi deflagrata in un'inarrestabile furia creativa a partire dagli anni passati a New York presso il mitico Chelsea Hotel, un tempo sufficiente per mettersi in contatto con il gotha della cultura artistica e letteraria americana. Poi Horses, il primo disco, nel 1975, sotto il segno di un'iconoclastia che ne avrebbe caratterizzato il mito fino alle uscite pubbliche più recenti. Ma alla musica Dream of life concede pochissimo spazio, preferendo concentrarsi su un collage infinito di ritagli di vita quotidiana che tanto somigliano agli scatti che la protagonista fissa in continuazione con la sua inseparabile Polaroid. In questo quadro confusionario e rapsodico la figura di Patti Smith ne esce tutt'altro che santificata: si mangiano hamburger e si ramazza per terra, si posa per i fotografi insieme ai genitori, tra una requisitoria serrata contro George W.Bush, una mare di poesie che sembrano sempre seguire lo stream of consciousness e una pisciata in aereo, dentro una bottiglia, con gli altri viaggiatori al fianco. Gli amici come Sam Shepard e Philip Glass, unitamente ai familiari e alla band, corredano il quadro, tra immagini di cattiva qualità e inserti in bianco e nero, di questa artista dal talento indomabile, una fricchettona pacifista che veste Prada e gira in Limousine.  

martedì 7 ottobre 2014

THOM YORKE, RYAN ADAMS, JOE HENRY


THOM YORKE (2014) Tomorrow's Modern Boxes
Per una recensione corretta dell’ultimo sforzo del leader dei Radiohead so di centrare l’obiettivo riportando fedelmente quanto scritto lo scorso anno su Ol’55 a proposito di AMOK degli Atoms For Peace: “il supergruppo Yorke, Godrich, Flea, Waronker, Refosco non va oltre una copia di The Eraser, l’esordio da solista di Thom Yorke nel 2006, già di per sè non un capolavoro. Battiti elettronici freddi, dubstep nevrotico, composizioni piatte, e la voce del leader dei Radiohead che funge da strumento aggiunto ma non emoziona. A conferma che i Radiohead sono un gruppo che va oltre Yorke, ma anche che la sperimentazione si è arenata dopo Kid A e Amnesiac, 12 anni fa. Perché il medesimo tema è stato svolto molto meglio da Four Tet, Orbital, Stereolab, ma soprattutto da Brian Eno e David Byrne 30 anni fa e dal kraut/space rock 40 anni fa!”. Evidentemente o a Yorke piace ripetersi o è proprio a corto di idee, perché sembra semplicemente allineato ai suoni dei giovanissimi della nuova (e qualitativamente appena sufficiente) musica elettronica (Sohn, Alex Banks, Christian Loffler, FKA Twigs), quando non solo i maestri (Eno), ma anche i coevi (Boards of Canada) e perfino gli allievi (James Blake, Chapelier Fou, Hauschka) e i colleghi dei Radiohead (il chitarrista Jonny Greenwood nell’attività solista) fanno meglio di lui.
Voto Microby: 6.8
Preferite: A Brain In A Bottle, Guess Again!
 
RYAN ADAMS (2014) Ryan Adams
Quarant’anni e 14 albums in studio per l'artista del North Carolina emerso nei '90 dalla scena alt.country come leader dei non dimenticati Whiskeytown, e quindi autore e performer di successo (sia commerciale che di critica) dallo stile ondivago (dal country al rock al cantautorato di rango, perfino al metal), qualitativamente mai meno che buono. Ora è la volta di un disco di sapido rock elettrico (da classico trio chitarra-basso-batteria con essenziali inserti di tastiere), con un tiro orecchiabile e grintoso (mai arrabbiato) dalle parti di John Mellencamp o Tom Petty & The Heartbreakers, ma con una malinconia di fondo che rimanda ai beautiful losers (elettrici) Elliott Murphy, Joe Ely, John Hiatt, Warren Zevon, Willie Nile. Tanto per confermarsi uno dei più dotati singer-songwriters della sua generazione.
Voto Microby: 7.7
Preferite: Gimme Something Good, Trouble, Stay With Me
 
JOE HENRY (2014) Invisible Hour
Brani dilatati, di impianto folk, esclusivamente acustici e scarni (chitarre e talvolta dei fiati essenziali), dal mood introspettivo e malinconico. Il cognato di Madonna esibisce la solita, enorme classe, gli arrangiamenti sono eleganti ma occorre dedizione totale per apprezzarli, altrimenti affiora la noia. Indifferente al successo (che raccoglie ampiamente in veste di eccellente produttore ed arrangiatore per altri artisti), questo grande singer-songwriter può permettersi un disco dedicato più a se stesso che alle attese del pubblico.
Voto Microby: 7.3
Preferite: Sign, Every Sorrow, Sparrow

domenica 5 ottobre 2014

La mia Thule

anno: 2013   
regia: CONVERSANO, FRANCESCO * GRIGNAFFINI, NENE 
genere: documentario 
con Francesco Guccini, Antonio Marangolo, Ellade Bandini, Juan Carlos Flaco Biondini, Pierluigi Mingotti, Roberto Manuzzi, Vincenzo Tempera, Luciano Ligabue, Leonardo Pieraccioni, Giuseppe Dati, Marco Fontana 
location: Italia
voto: ***

A 45 anni dal suo primo disco, Francesco Guccini decide di chiudere la sua avventura musicale registrando un album dal titolo tanto poco immediato quanto, a gioco scoperto, eloquente: L'ultima Thule. Francesco Conversano e Nene Grignaffini sono andati a seguirlo per quest'ultimo viaggio musicale presso il mulino  pavanese (sull'appennino tosco-emiliano) dove il cantautore emiliano visse nei suoi primi 5 anni di vita e dove, dopo averne stravolto l'organizzazione interna, ha registrato il cd insieme ai suoi compagni di sempre: Vince Tempera, Ellade Bandini, Flaco Biondini, ma anche Antonio Marangolo, Pierluigi Mingotti e Roberto Manuzzi. È il ritratto, senza particolari guizzi, di come sono andati quei giorni di registrazione nonché il racconto di come sono nate le 8 canzoni dell'album. Si tratta di un quadro che vede questo "piccolo baccelliere" - come disse di se stesso, schernendosi, in Addio - in una veste assai dimessa, dalla quale emerge la stanchezza di dover affrontare ancora gli oneri dell'industria musicale e gli onori del palco. Raccomandato soltanto a gucciniani a denominazione di origine controllata. 

giovedì 2 ottobre 2014

Fedele alla Linea - Giovanni Lindo Ferretti

anno: 2013       
regia: MACCIONI, GERMANO
genere: documentario   
con Giovanni Lindo Ferretti
location: Italia
voto: 3

Non mi è mai piaciuto il punk né ho mai capito perché gruppi come CCCP e CSI potessero piacere tanto anche a persone che considero intellettualmente e culturalmente evolute. Così ho deciso di vedere questo documentario ad altissimo tasso agiografico, dedicato al frontman e guru dei sunnominati complessi. E ci ho capito ancora meno. Già, perché, malattia più, malattia meno, la vicenda personale e artistica di questo cantante con un'estensione vocale da mezza ottava è di un grigiore sconfortante. Nato e cresciuto nell'Emilia rurale, diventato orfano di padre prima ancora di venire alla luce, il piccolo Giovanni finì assai presto in un collegio di suore nel quale, riferisce con insopportabile sussiego, "per cinque anni sono stato l'unico ragazzino a non avere mai giocato a pallone". Poi l'avventura allo Zecchino d'oro terminata in una bolla di sapone e una lunga seria di malattie cominciata con una peritonite e arrivata a un tumore. In mezzo, la politica con Lotta Continua (il documentario non lo dice, ma Lindo Ferretti è uno dei tanti voltagabbana - come Giuliano Ferrara, Paolo Liguori e Gianfranco Miccichè - transitati da sinistra a destra con assoluta nonchalance), i concerti con i suoi gruppi, l'esperienza berlinese e pochissimo altro. Il documentario di Germano Maccioni sembra soltanto un interminabile spot a beneficio della Corte Transumante di Nasseta, l'azienda di allevamento equino che rappresenta la nuova vita di questo ex musicista inconsistente ma con la vocazione irrefrenabile a pontificare su qualsiasi cosa con un insopportabile atteggiamento da santone. 

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