L' hawaiiana Lisa Kekaula
è la prodigiosa voce dei Bellrays,
band californiana che negli anni '90 e '00 ha raccolto vivaci
consensi con la sua miscela infuocata di soul e punk. Solo
momentaneamente accantonata la band-madre e temporaneamente
accasatasi a Madrid col partner/chitarrista Bob Vennum, Lisa si è
avvalsa di giovani musicisti locali per sezione ritmica e fiati e ha
dato corpo alla parte più black della propria anima. Il risultato è
un soul/R&B/funky
trascinante, molto ben suonato nonostante conservi l'energia
punk-rock che lo
differenzia dal retro-soul vintage dei classici Sharon Stones,
Charles Bradley e Lee Fields. Peccato non abbia osato spingersi
oltre, come ha fatto Black Joe Lewis
contaminando sapientemente il soul col garage-rock e la psichedelia:
con la voce che Lisa possiede non avrebbe rivali nel campo. Ma non è
esclusa una possibile evoluzione in tal senso. Intanto dal vivo è
imperdibile: sembra la figlia scapestrata di James Brown (vista live
durante l'estate ad Arena Sonica, Parco Castelli, Brescia, free!)
Voto Microby: 7.8
Preferite: Mary Xmas, The Pick
Up, It Only Takes A Little Time
BEN
MILLER BAND (2014) Any Way, Shape Or Form
Ricordate
la scena in cui i Blues Brothers suonavano Rawhide
all’infinito in un country-bar protetti da una gabbia che li
difendeva da bottiglie bicchieri scarpe ed altri ammennicoli
scagliati dal pubblico? Ebbene, il trio di irsuti montanari
capitanati da Ben Miller e dotati di capacità tecniche notevolissime
sarebbe perfetto per quella location. Energia a fiumi (alcoolici),
ritmi indiavolati, scrittura colta che conosce a memoria la
tradizione country, bluegrass, old-time music,
hillbilly, mountain stomp, blues elettrico, folk degli Appalachi e
southern rock. Perché la vera forza del trio
è la naturale capacità di ibridare ZZ Top
con Nitty Gritty Dirt Band
passando per Buddy Guy,
shakerare Black Keys
con Old Crow Medicine Show
assoldando R.L. Burnside.
In un trionfo di banjos, dobro, slide, chitarre elettriche, armonica,
fiati e strumenti fatti (il basso) o recuperati (l’asse per lavare
i panni) in casa. “Ozark stomp” autodefiniscono la propria musica
(il trio è originario delle Ozark Mountains): al netto di qualche
ingenuità, ridefiniscono il nu-country ed il neo-traditional folk
aprendoli all’ascolto dei non appassionati con una carica di
energia ed allegria contagiosa, davvero degna dei Blues Brothers.
Voto
Microby: 7.7
Preferite:
Hurry Up And Wait,
Ghosts, You Don’t Know
LENNY
KRAVITZ (2014) Strut
Il
risveglio dal torpore creativo testimoniato dall’ottimo Black
& White America di 3 anni fa non è
rimasto un fatto isolato. Dopo gli ampi consensi di critica e
pubblico riscossi con i primi 3 albums, un’intrigante e calda
fusione di musica black (Jimi Hendrix) e white (Beatles), erano
seguiti lavori meno ispirati cui LK aveva cercato di porre rimedio
affidandosi ad un pop-rock più radiofonico ma anche più bianco e
dozzinale. Il ritorno alla pura black music
dei seventies col
riuscito melting pot di rock, soul
e funky di B&WA ha
ora un seguito in Strut:
disco carnale e sporco, zeppo di grooves e di chitarre sferraglianti
che macchiano di garage la costante propensione alla disco
e al glam dei ’70.
Puro divertimento, sebbene liberatorio piuttosto che allegro, dopo
l’impegno sociopolitico di B&WA. Rinascita
confermata.
Voto
Microby: 7.6
Preferite:
The Pleasure And The
Pain, Dirty White Boots, She’s A Beast
1 commento:
LENNY KRAVITZ - Strut (2014)
Sembra che ultimamente lo sport preferito della maggior parte della critica sia quello di stroncare ogni nuovo album di LK, a prescindere. Anche per questo lavoro, come per il precedente è sempre la stessa solfa. In Strut, ha lasciato da parte le storie di lotta razziale e l’impronta gospel dell’ultimo lavoro e si è messo a fare un album tutto da solo (suona in prima persona ogni strumento facendosi aiutare solo dall’amico chitarrista Craig Ross e da due fiati). Ne risulta grande energia, con un sound molto anni ’70, per un onesto disco di rock&roll, senza picchi qualitativi ma gradevole.
Da downloadare: “The Pleasure and the Pain”, “New York City”. Voto: ☆☆☆1/2
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