JOSHUA RADIN - Onward and Sideways (2015)
Scritto per far innamorare un’aspirante fidanzata svedese, l’album ricalca gli arrangiamenti più sommessi e ariosi della sua produzione, giunta al sesto lavoro dal primo We Were Here del 2006. Arrangiamenti che peraltro gli hanno portato fortuna commerciale visto che gli sono valsi l’inclusione di molti suoi brani in colonne sonore di film e di serie televisive (Grey’s Anatomy e compagnia bella). Il problema, a mio avviso, è che si rischia di cadere nel ripetitivo, nel già sentito: per amor del cielo, continuare a scrivere canzoni romantiche sussurrate, anche se piacevoli e piaciose, può essere creativamente poco stimolante ma per lo meno le può vendere a Hollywood. Nota assai stonata è inoltre la sua abitudine di riproporre in album successivi pezzi già inseriti in lavori precedenti: qui è il turno di “Beautiful day”, in cui peraltro Sheryl Crow non ci azzecca per niente vista l’incompatibilità di carattere (musicale) tra i due. Da rivedere. Voto: ☆☆1/2
LAURA MARLING - Short movie (2015)
Al quinto album in cinque anni di carriera, rappresenta uno dei pochi casi in cui la qualità musicale va di pari passo al successo commerciale ed in cui la prolificità compositiva non va a discapito della coerenza artistica. Inglese di Londra ha, in questo caso, fatto un album “americano” sicuramente per effetto della sua lunga permanenza a Los Angeles: lo stile è il suo abituale folk a forte impronta cantautorale ma impreziosito da accenti rock. I nomi che vengono in mente sono quelli dei grandi del genere, sia contemporanei che classici: ci sentiamo Noah & the Whale accanto a Joni Mitchell, Mumford and Sons ma anche Fiona Apple, Linda Thompson o PJ Harvey. Il risultato è un album intensamente personale e decisamente affascinante. Le migliori canzoni: I Feel Your Love, Gurdjieff's Daughter, Warrior. Voto: ☆☆☆☆
VAN MORRISON - Duets (2015)
In attesa di poterlo rivedere dal vivo in Italia (a giugno, a Brescia) VM festeggia i suoi prossimi 70 anni con un bel disco di duetti, senza però passare dai brani più noti ma andando a recuperare episodi minori o comunque meno conosciuti. La sua voce potente ed aggressiva in effetti fa spesso sfigurare i suoi ospiti (uniche eccezioni Mavis Staples e Joss Stone), il che è un bene e denota come il suo apporto musicale sia ancora assolutamente valido ed attuale. Molto interessante l’intreccio vocale con il jazz di Gregory Porter, una delle stelle contemporanee del genere, così come pure con la voce soul di Mick Hucknall e nonostante le premesse non invitianti anche con il crooner Michael Bublè. Buon disco. Voto: ☆☆☆