lunedì 8 giugno 2015

Recensioni al volo: 10.000 Maniacs, Villagers

10.000 MANIACS - Twice told tales (2015)
Dopo la defezione di Natalie Merchant (nel lontano 1993), John Lombardo ha cooptato la cantante Mary Ramsey, dalla voce incredibilmente simile a quella di Natalie, per un ritorno alle radici del folk tradizionale. Il disco (il nono a partire da “Secrets of the I Ching” del 1983) si distacca decisamente dal loro stile più recente, orientato verso un pop commerciale con inferenze leggermente new wave: questo lavoro è infatti un omaggio alla musica celtica ed irlandese con brani tradizionali che fanno recuperare alla memoria proprio l’impronta originaria del gruppo, ricca di melodie ben piantate nel folk con tripudio di violini, viole, mandolini e ben poche tastiere o strumenti elettrici. In questo disco abbiamo brani strumentali o a cappella (Song of Wandering Angus), ballate upbeat (Canadee-I-O) o country (Carrickfergus). In conclusione, una assai piacevole collezione di canzoni folk originali o rielaborate che conducono l’ascoltatore in un percorso rustico di oltre 300 anni di musica tradizionale. Magari potevano risparmiarsi la copertina non particolarmente originale e forse più adatta ad una greatest hits a buon mercato di ballate celtiche. Da ascoltare: Canadee-I-O, Carrickfergus.  Voto: ☆☆☆1/2




VILLAGERS - Darling arithmetic (2015)


Terzo disco per l’irlandese Conor J O’Brien, artefice di uno stile indie-folk dalle tinte grigie, con sonorità intime e riflessive ed una voce che ricorda Will Oldham e Bill Callahan. Le divagazioni elettroniche appaiono meno rilevanti rispetto ai precedenti lavori, con un maggiore imprinting acustico ed un conseguente impatto emozionale decisamente più introverso. Narrazioni personali, arrangiamenti scarni, una sensazione di diffusa inquietudine per un album sull’amore e sulle relazioni che ricorda le atmosfere di Damien Rice e Sufjan Stevens.  Voto: ☆☆☆1/2


1 commento:

microby ha detto...

VILLAGERS: Che personalità il dublinese Conor J. O’Brien: il secondo album (Awayland, 2013) lo rivelava come autore di un pop colto tra Crowded House e Coldplay, ma con architetture sonore non consuete, con richiami ai Grizzly Bear. Ci si aspetterebbe la logica evoluzione, ed invece il nostro riprende a pieni mani il cantautorato acustico intimo alla Nick Drake/Elliott Smith (ma con una scrittura sempre alla Neil Finn), fatto di introspezione, pulizia ed essenzialità degli arrangiamenti, eleganza non formale, intensità acustica. La brillantezza dei suoni lo allontana dalla malinconia tipica del genere (vedi Damien Rice, come hai sottolineato tu, Luca), ma nel complesso non si può ancora parlare di salto di qualità definitivo.
Voto Microby: 7.3
Preferite: The Soul Serene, Hot Scary Summer, No One To Blame

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