giovedì 3 settembre 2015

JOSH ROUSE, ALBERT HAMMOND JR., RICHARD THOMPSON


JOSH ROUSE (2015) The Embers of Time




Al netto del differente tasso di genio musicale, l’artista americano (ma girovago sia in patria che nella ricollocazione in Spagna dell’ultimo decennio) è sempre stato considerato un Paul Simon dai toni più soft (sia nei testi più intimi che negli arrangiamenti sempre debitori del soft-rock e del soft-country dei ’70). Caduto nella depressione negli ultimi 2 lustri, invece di proporre i capolavori da tutti attesi, vista la sua natura introspettiva associata all’esplosione commerciale dei cantautori malinconici, ha invece appannato l’ispirazione. Torna ora ripulito dalla psicoterapia, e pur parlando di difficoltà relazionali, sconfitte, lutti, riesce a farlo con grazia, serenità, esaltando la riscossa anziché la stasi. Culla, abbraccia, coccola e, pur non toccando i vertici di Dressed Up Like Nebraska, 1972 e Nashville, pubblica ora un album senza un brano debole (ed anzi con alcuni gioiellini) che lo porta fuori dalle sacche involutive del recente passato.
Voto Microby: 7.6
Preferite: New Young, Some Days I’m Golden All Night, Time
 
 
ALBERT HAMMOND JR (2015) Momentary Masters

Al terzo album il figlio del cantautore californiano Albert Hammond (chi non ricorda almeno It Never Rains In Southern California?) dimostra di non essere solo figlio d’arte o solo chitarrista degli Strokes, ma di possedere qualità di scrittura pop (purtroppo poco utilizzata dalla band newyorkese) ed uno stile chitarristico asciutto ma lirico, ritmico ma con melodie più beatlesiane che garage come quelle del gruppo erroneamente identificato solo nel leader Julian Casablancas. Gli Strokes si sentono eccome, ma il taglio moderno ed urbano delle canzoni è per lo più figlio di Talking Heads ed Undertones, di Tom Tom Club ed Adrian Belew. Ed è assai piacevole, certamente più delle ultime produzioni degli Strokes.
Voto Microby: 7.4
Preferite: Losing Touch, Coming To Getcha, Born Slippy
 
 
RICHARD THOMPSON (2015) Still



Prodotto da Jeff Tweedy ed eseguito in trio con i fidati Taras Prodaniuk e Michael Jerome alla sezione ritmica, Still non si colloca tra i migliori lavori dell’inglese dal grandioso passato con i Fairport Convention, ma anche dalla luminosa carriera solista. Certo quando le canzoni (nessuna brutta, ma nemmeno memorabile) cedono il passo alla riconoscibilissima chitarra del nostro (acustica ma soprattutto elettrica), la qualità spicca il volo. Il tono complessivo è virato al rock, ma la brace è sempre folk. Decisamente meglio i brani vivaci rispetto a quelli più pacati.
Voto Microby: 7.2
 
Preferite: No Peace-No End, Patty Don’t You Put Me Down, She Never Could Resist A Winding Road


 




 

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