THE TRASH CAN SINATRAS (2016)
Wild Pendulum
Soli
sei album in 26 anni testimoniano la debole attrattiva che il mercato
esercita sul quintetto scozzese, ma opterei piuttosto per la
propensione del leader ed autore delle canzoni Frank Reader a
pubblicare del nuovo materiale solo quando ritenuto all’altezza.
Questo perché ovunque si peschi nella discografia dei TCS si coglie
un gioiellino. Figli della grande scuola scottish
pop degli anni ’80 (Aztec Camera ed
Orange Juice su tutti), all’esordio con lo splendido Cake
nel 1990 e fino ad oggi, non hanno cambiato rotta rispetto ai
mèntori: un jangly guitar pop
elettroacustico gentile, raffinato,
fresco ed orecchiabile al punto da rappresentare uno stile evergreen.
Sempre scarsa l’esposizione in Italia (io li scoprii per caso
acquistando il loro secondo album in un mercatino di Londra verso
fine millennio), hanno invece goduto di un discreto air play sia in
Inghilterra che oltre oceano fino ai primi 2 dischi, poi spazzati via
dal ciclone brit-pop in UK e grunge in USA. Non si faccia scappare
quest’ultima delizia chi apprezza Aztec
Camera, Lighting Seeds, Lilac Time, Crowded House, Beautiful South,
Prefab Sprout, Teenage Fanclub. Se ne
stia alla larga chi preferisce suoni più aggressivi, sporchi,
elettrici, più figli del rock che del pop, dei Rolling Stones che
dei Beatles.
Voto
Microby: 7.8
Preferite:
Best
Days On Earth, Let Me Inside, Waves
THE
CORAL (2016) Distance Inbetween
Con
la dipartita del chitarrista e compositore Bill Ryder-Jones (che si è
dedicato ad una interessante carriera solista, cantautorale e
prevalentemente acustica) e l’ingresso in squadra di Paul Molloy,
chitarrista della rock-band The Zutons, il quintetto di Liverpool
anziché sbandare ha compattato non solo i ranghi ma anche il suono,
il più solido (ma non il più brillante) finora pubblicato. Ora le
canzoni sono costruite intorno a riff di chitarra elettrica
ammorbiditi da tastiere vintage e dalle consuete armonie vocali in
stile-Byrds, ed il pop-rock psichedelico
che ne deriva rimanda al pre-britpop
dei gruppi del Madchester movement
(The Stone Roses, Inspiral Carpets, The Charlatans), figlio più dei
Pink Floyd dei sixties che della west-coast ’60. Un abito nuovo per
i Coral, ma non per il panorama musicale esistente; tuttavia i nostri
lo sanno fare meglio di altri.
Voto
Microby: 7.4
Preferite:
Chasing
The Tail of A Dream, Connector, Miss Fortune
JAKE BUGG (2016) On My One
Country,
hillbilly, hip-hop, new wave, folk, R&B, easy listening, soul.
Non si tratta delle influenze musicali del
22enne di Nottingham, ma del genere che caratterizza le single
canzoni, in modo totalmente slegato l’una dall’altra.
Eterogeneità
al limite apprezzabile in una compilation, non al terzo album di un
promettentissimo 18enne all’esordio nel 2012. Un anno tra il primo
ed il secondo, tre dal secondo all’attuale, un tempo che sembra
sprecato visto che il nostro non ha ancora chiare le idee sulla
strada da imboccare. Già la sua voce ipernasale ed acidula risulta
idiosincratica a molti ascoltatori, se ci aggiungiamo una scrittura
non al livello dei precedenti lavori ed arrangiamenti spiazzanti, beh
si fatica a parlare positivamente al presente di quella che ahimè
continua a rimanere una giovane promessa.
Voto
Microby: 6.5
Preferite:
Bitter
Salt, Gimme The Love, Livin’Up Country
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