FEIST
(2017) Pleasure
Sferragliare
di chitarre elettriche su un tappeto di accordi grezzi di acustica e
di tastiere minacciose, sostenute da una sezione ritmica di pancia
più che di testa, e guidate da una voce che segue più l’emozione
che lo spartito. Se state pensando a P.J.
Harvey avete indovinato il genere ma non
la protagonista che, sorprendentemente, è invece la canadese Leslie
Feist, finora la più seria candidata con Laura Marling all’eredità
di Joni Mitchell. Che ne è del raffinatissimo, variopinto e catchy
chamber folk-pop con
il quale ci aveva deliziato finora? Il gol in contropiede arriva
subito, con l’incipit della title-track
che fa supporre uno scambio di CD, e richiama immediatamente la
Harvey prodotta da John Parish. Ma i gol arrivano a raffica, ed
occorrono parecchi ascolti per ammettere che l’album pubblicato
dall’ex Broken Social Scene
coraggiosamente fuori dal suo seminato (l’airplay mediatico e la
casa discografica non saranno così felici di rinunciare al successo
commerciale raggiunto precedentemente dalla nostra) è un bel lavoro,
tra il folk ruvido, l’indie-rock ed il
blues maliano. Ma, alla fine, la domanda
continua a martellare: perché una fuoriclasse come Feist pubblica
ora un disco come Polly Jean sfornava 20 anni fa e dal cui genere
quest’ultima ha scientemente (e splendidamente) voluto evolversi?
L’esecuzione è eccellente, con una voce che è migliore di quella
della Harvey e composizioni che potrebbero appartenere a
quest’ultima, ma suona comunque derivativa. Io continuo a preferire
l’orecchiabilità elegante di Mushaboom
o 1 2 3 4, ed in toto
il precedente album “Metals”
del 2011 o il vecchio Let It Die
del 2004.
Voto
Microby: 7.6
Preferite:
I’m
Not Running Away, Century, Pleasure