SOLEY
(2017) Endless Summer
Diplomata
in pianoforte e composizione all’Icelandic Art Academy e cresciuta
nella terra di Sigur Ròs, Bjork e Mùm, il destino musicale di Sòley
Stefànsdòttir sembra tracciato: tra il chamber-pop
alla Agnes Obel e l’elettronica misteriosa dei suddetti. In effetti
nei tre album finora pubblicati si è passati, di volta in volta con
certosino equilibrio, da riferimenti alla Tori Amos più lieve ed
alla Enya più eterea, fino ad atmosfere più plumbee nel secondo
lavoro (Ask The Deep,
recensito sul blog nel 2015), più evocative del neo-dark
alla Soap & Skin che della modern
classical. Questo ultimo lavoro appare il
più compiuto, una riuscita crasi delle influenze citate, sebbene una
prima parte sia più chamber-pop in debito con Agnes Obel ed una
seconda più ossequiosa nei confronti dell’elettronica
rarefatta, melodicamente avantgarde dei
Sigur Ròs. Ma Soley possiede ormai un suo marchio di fabbrica, che
la rende affascinante, intensa, carismatica. Non un disco per
l’estate, come farebbe supporre il titolo, ma tenetevelo molto caro
per il prossimo inverno.
Voto
Microby: 7.8
Preferite:
Ua, Traveler,
Grow
ASGEIR
(2017) Afterglow
Già
noto in Europa per il plauso ricevuto nel 2013 con l’adattamento in
lingua inglese dell’album (In The Silence,
curato e prodotto da John Grant) pubblicato con grande successo
l’anno precedente nella natìa Islanda, l’attuale 25enne Asgeir
Trausti Einarsson si presenta con il lavoro successivo tra grandi
aspettative e fucili puntati. Ne esce integro, evitando i proiettili
della critica che scommetteva su una deriva caciarona synth pop anni
’80, o su un’introspezione (sempre elettronica, ma tenue e
cadenzata alla James Blake) nella direzione del folk norreno, ma non
soddisfa appieno le attese di chi si aspettava un nuovo Bjork o Sigur
Ròs dalla terra dei ghiacci. Meno folk-pop del precedente,
decisamente meno naif, con testi importanti (scritti dal padre, il
poeta Einar Georg Einarsson) ed una struttura più compatta e
seriosa, si addentra nei territori già frequentati dai primi Antony
& The Johnsons, San Fermin e
Chet Faker, riuscendo ad essere dolente e
lirico, ma senza mai spiccare il volo. Una certa monocromaticità (di
scrittura, più che di arrangiamenti) tende ad appiattire l’ascolto,
che invita comunque a tenere le orecchie aperte su un talento giovane
e forse ancora incompiuto.
Voto
Microby: 7
Preferite:
Afterglow,
New Day, Dreaming
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