THE
WATERBOYS (2017) Out of All This Blue
Mike
Scott sta attraversando un periodo di fertile ed energica creatività,
evidentemente incomprimibile in modo più sintetico vista la
necessità di pubblicare un CD doppio (23 canzoni per 100 minuti;
altre 11 tra alternate version, strumentali, live, remix in un terzo
bonus disk). Assumendosi i rischi del caso, non tutti dribblati. Il
primo dato positivo e non sorprendente per i followers del dotato
storyteller scozzese è che dopo la new wave tinta di dark degli
esordi, il folk-rock celtico di mezzo, il rock mainstream e quindi
colto successivi abbia attualmente approcciato la musica black: i
costanti guizzi funky della chitarra ritmica e la prepotente ribalta
della batteria non necessitano del supporto di archi e fiati (usati
con parsimonia) perché la scrittura pop-rock si
addentri nei territori Motown del R&B e del funky
dei seventies. Generi che allora esprimevano gioia,
esattamente come i Waterboys estroversi e comunicativi di oggi: senza
per questo rinunciare a quella “big music” (un
suono pieno, epico, romantico, di muscoli e di cuore ma di
ispirazione mistica e filosofica) da loro inventata ed impugnata per
descrivere molti coevi scozzesi (vedi Simple Minds, In Tua Nua,
Hothouse Flowers, Big Country). Le note (poco) dolenti stanno nella
prolissità del progetto (un taglio di 7-8 brani, piacevoli ma
ridondanti, avrebbe giovato a sintesi ed incisività) e di alcuni
singoli brani, in sé anche riusciti ma dalle “code” troppo
tirate per le lunghe. Del tutto per completisti inoltre il bonus
disk, che si ascolta quando ormai l’attenzione è scemata. Ma come
per il precedente Modern Blues di 2 anni fa, la scrittura è
di ottimo livello, la passione trasuda, l’energia è contagiosa e
la classe palpabile. Un primo disco ottimo, un secondo discreto, un
terzo senza valutazione. Per una band che dal vivo darà, al solito,
spettacolo.
Voto
Microby: 8
Preferite:
Do We Choose Who We Love, If The
Answer Is Yeah, New York I Love You, Nashville Tennessee
FLOTATION
TOY WARNING (2017) The Machine That Made Us
Arriva
solo 12 anni dopo il bel debutto (Bluffer’s Guide To The Flight
Deck, 2005) la seconda prova di questo quintetto inglese
originale (non solo nella ragione sociale, ma anche nei titoli di
album e canzoni, nei temi dei testi e soprattutto negli
arrangiamenti). Non cambiano le coordinate, che guardano alla new
wave albionica colta e al pop intelligente degli ’80 (leggi XTC)
così come alle proposte musicali mesmeriche ed affascinanti degli
americani Mercury Rev e Midlake nei ’90.
Ora come all’esordio col difetto di proporre melodie belle ma
prolisse nello svolgimento, ed arrangiamenti singolari (quasi assenti
le chitarre, cospicui i cori) ma talvolta ridondanti. Elegantemente
stravaganti.
Voto
Microby: 7.4
Preferite:
A Season Underground, King of
Foxgloves, Controlling The Sea