lunedì 2 ottobre 2017

GREGG ALLMAN, NICK MULVEY


GREGG ALLMAN (2017) Southern Blood



Gregory Lenoir “Gregg” Allman, cantante e tastierista della Allman Brothers Band e con essa leggenda del southern rock a stelle e strisce, ci ha lasciati a quasi 70 anni lo scorso 27 maggio, a causa di un carcinoma epatico complicanza dell’epatite C di cui soffriva da tempo. Ma lo ha fatto musicalmente nel modo migliore, lasciandoci una pubblicazione postuma che rappresenta probabilmente il suo lavoro più compiuto, di valore, che esprime a tutto tondo lo straordinario amalgama di blues, soul/R&B classico, southern rock e roots di cui è stato capace in mezzo secolo di carriera (anche quella solistica è di buon livello, se si eccettua il tonfo artistico in coppia con l’allora moglie Cher). Con l'eccezione di due ottimi brani autografi, gli altri sono eccellenti cover di grandi autori del calibro di Bob Dylan, Lowell George, Jerry Garcia, Willie Dixon, Muddy Waters, Percy Sledge, Johnny Jenkins, Jackson Browne (co-interprete della sua struggente Song For Adam). Supportato da una band al solito di livello stellare e dalla produzione calda e brillante di Don Was, con grande profusione di fiati (che l’hanno sempre distinto dalla ABB e dal sopravvissuto della medesima, il chitarrista Dickey Betts) ed ampia varietà melodica, Gregg riesce perfino a dare un’impronta soul a Once I Was di Tim Buckley, ed un’aura irlandese al classico Black Muddy River dei Grateful Dead. Imperdibile per chiunque ami il genere ed il suo autore, ma anche formidabile punto di partenza per chi voglia approcciarsi alla fantastica miscela di musica bianca e nera partorita nel dopoguerra dal Sud degli States, “Southern Blood” rappresenta il miglior epitaffio per un grande artista.
Voto Microby: 9
Preferite: My Only True Friend, Black Muddy River, Song For Adam


NICK MULVEY (2017) Wake Up Now
 Sorprendente all’esordio folkie da solista nel 2014, il chitarrista e percussionista del combo inglese etno-jazz Portico Quartet non si ripropone purtroppo ai medesimi livelli. I bei ritmi (dalle parti del Paul Simon “sudafricano” e dell’australiano Xavier Rudd) ora la fanno da padrone, con risultati che fanno pensare ad un Jack Johnson privato della sua impagabile leggerezza, ed il passaggio in secondo piano degli intensi e raffinati arpeggi acustici lo allontana dai precedenti paragoni con Nick Drake e soprattutto John Martyn. Un album comunque di discreto spessore, con belle melodie pop che hanno purtroppo il difetto della prolissità, per un autore che continua tuttavia a possedere il dono dell’originalità e che va pertanto tenuto d’occhio.
Voto Microby: 7.4
Preferite: Unconditional, Imogen, Mountain To Move


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