GREGG
ALLMAN (2017) Southern Blood
Gregory Lenoir “Gregg”
Allman, cantante e tastierista della Allman Brothers Band
e con essa leggenda del southern rock a stelle e strisce, ci ha
lasciati a quasi 70 anni lo scorso 27 maggio, a causa di un carcinoma
epatico complicanza dell’epatite C di cui soffriva da tempo. Ma lo
ha fatto musicalmente nel modo migliore, lasciandoci una
pubblicazione postuma che rappresenta probabilmente il suo lavoro più
compiuto, di valore, che esprime a tutto tondo lo straordinario
amalgama di blues, soul/R&B classico, southern rock e roots
di cui è stato capace in mezzo secolo di carriera (anche quella
solistica è di buon livello, se si eccettua il tonfo artistico in
coppia con l’allora moglie Cher). Con l'eccezione di due ottimi
brani autografi, gli altri sono eccellenti cover di grandi autori del
calibro di Bob Dylan, Lowell George, Jerry Garcia, Willie Dixon,
Muddy Waters, Percy Sledge, Johnny Jenkins, Jackson Browne
(co-interprete della sua struggente Song For Adam). Supportato
da una band al solito di livello stellare e dalla produzione calda e
brillante di Don Was, con grande profusione di fiati (che l’hanno
sempre distinto dalla ABB e dal sopravvissuto della medesima, il
chitarrista Dickey Betts) ed ampia varietà melodica, Gregg riesce
perfino a dare un’impronta soul a Once I Was di Tim Buckley,
ed un’aura irlandese al classico Black Muddy River dei
Grateful Dead. Imperdibile per chiunque ami il genere ed il suo
autore, ma anche formidabile punto di partenza per chi voglia
approcciarsi alla fantastica miscela di musica bianca e nera
partorita nel dopoguerra dal Sud degli States, “Southern Blood”
rappresenta il miglior epitaffio per un grande artista.
Voto
Microby: 9
Preferite:
My Only True Friend, Black Muddy
River, Song For Adam
NICK
MULVEY (2017) Wake Up Now
Sorprendente
all’esordio folkie da solista nel 2014, il chitarrista e
percussionista del combo inglese etno-jazz Portico Quartet non
si ripropone purtroppo ai medesimi livelli. I bei ritmi (dalle parti
del Paul Simon “sudafricano” e dell’australiano
Xavier Rudd) ora la fanno da padrone, con risultati che
fanno pensare ad un Jack Johnson privato della sua
impagabile leggerezza, ed il passaggio in secondo piano degli intensi
e raffinati arpeggi acustici lo allontana dai precedenti paragoni con
Nick Drake e soprattutto John Martyn. Un album comunque di discreto
spessore, con belle melodie pop che hanno purtroppo il difetto della
prolissità, per un autore che continua tuttavia a possedere il dono
dell’originalità e che va pertanto tenuto d’occhio.
Voto
Microby: 7.4
Preferite:
Unconditional, Imogen, Mountain To
Move
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