domenica 8 ottobre 2017

BENJAMIN CLEMENTINE, WILL HOGE


BENJAMIN CLEMENTINE (2017) I Tell A Fly

Due anni fa, in occasione del sorprendente debutto che gli era valso il Mercury Prize, scrivevamo sulle pagine del blog: “Ora potrà suonare blues, soul, easy listening, avantgarde o cantare in chiesa o per strada: ha il talento per fare quello che vuole, speriamo non lo sprechi”. Non lo ha fatto, anzi ci stupisce di nuovo con un album che rifugge la semplicità eppure risulta morbosamente seducente: arrangiamenti obliqui su un canovaccio di nuovo trasversale, che abbraccia soul, folk, classica ed opera, che complessivamente potrebbe essere catalogato come old-fashioned art-pop, ma che ovviamente sfugge ad ogni clichè. Potremmo parlare di “canzoni” (con associato appeal radiofonico) solo per 3-4 brani; gli altri sono costruiti su un tema conduttore spesso appeso a un filo, tra interludi/intermezzi musicali e non, ampi fraseggi di pianoforte romantico ed innesti di clavicembalo barocco, diffusa, rude ma versatile percussività rock (il batterista francese Alexis Bossard, già presente all’esordio e fido compagno di tournèe), accenni di elettronica ben finalizzata, e la solita bellissima voce al servizio di una grande personalità. A questo punto i paragoni con Nina Simone, Antony Hegarty, John Legend, Edith Piaf, Michael Kiwanuka (ed ora anche Rufus Wainwright) lasciano il tempo che trovano: solo Benjamin Clementine sa dove andrà a parare la prossima volta. Noi di sicuro saremo tra i curiosi fans di questo singolarmente talentuoso musicista britannico di geni ghanesi, che invece di salvare la regina canta “God Save The Jungle”.
Voto Microby: 8.5
Preferite: By The Ports of Europe, Ave Dreamer, Ode From Joyce


WILL HOGE (2017) Anchors
Cantautore a stelle e strisce a tutto tondo, già autore di discreto successo per altri interpreti, voce calda e colloquiale, Will Hoge propone con Anchors il suo lavoro più equilibrato: una sorta di malinconica intimità alla Wildflowers di Tom Petty, con screziature qua e là del John Mellencamp rurale, dell’immediatezza di Bruce Springsteen e della psichedelia controllata dell’ultimo Ray LaMontagne. Buon album elettroacustico che fa ben sperare per il futuro, ma che già ora testimonia una bella realtà.
Voto Microby: 7.6
Preferite: Baby’s Eyes, Anchors, Little Bit of Rust

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