BENJAMIN
CLEMENTINE (2017) I Tell A Fly
Due
anni fa, in occasione del sorprendente debutto che gli era valso il
Mercury Prize, scrivevamo sulle pagine del blog: “Ora potrà
suonare blues, soul, easy listening, avantgarde o cantare in chiesa o
per strada: ha il talento per fare quello che vuole, speriamo non lo
sprechi”. Non lo ha fatto, anzi ci stupisce di nuovo con un album
che rifugge la semplicità eppure risulta morbosamente seducente:
arrangiamenti obliqui su un canovaccio di nuovo trasversale, che
abbraccia soul,
folk, classica ed opera,
che complessivamente potrebbe essere catalogato come old-fashioned
art-pop,
ma che ovviamente sfugge ad ogni clichè. Potremmo parlare di
“canzoni” (con associato appeal radiofonico) solo per 3-4 brani;
gli altri sono costruiti su un tema conduttore spesso appeso a un
filo, tra interludi/intermezzi musicali e non, ampi fraseggi di
pianoforte romantico ed innesti di clavicembalo barocco, diffusa,
rude ma versatile percussività rock (il batterista francese Alexis
Bossard, già presente all’esordio e fido compagno di tournèe),
accenni di elettronica ben finalizzata, e la solita bellissima voce
al servizio di una grande personalità. A questo punto i paragoni con
Nina Simone, Antony Hegarty, John Legend, Edith Piaf, Michael
Kiwanuka (ed ora anche Rufus Wainwright) lasciano il tempo che trovano: solo Benjamin Clementine sa
dove andrà a parare la prossima volta. Noi di sicuro saremo tra i
curiosi fans di questo singolarmente talentuoso musicista britannico
di geni ghanesi, che invece di salvare la regina canta “God Save
The Jungle”.
Voto
Microby: 8.5
Preferite:
By
The Ports of Europe, Ave Dreamer, Ode From Joyce
WILL
HOGE (2017) Anchors
Cantautore a stelle e
strisce a tutto tondo, già autore di discreto successo per altri
interpreti, voce calda e colloquiale, Will Hoge propone con Anchors
il suo lavoro più equilibrato: una sorta di malinconica intimità
alla Wildflowers di Tom Petty, con screziature
qua e là del John Mellencamp rurale, dell’immediatezza
di Bruce Springsteen e della psichedelia controllata
dell’ultimo Ray LaMontagne. Buon album
elettroacustico che fa ben sperare per il futuro, ma che già ora
testimonia una bella realtà.
Voto
Microby: 7.6
Preferite:
Baby’s Eyes, Anchors, Little Bit of
Rust
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