MARY
GAUTHIER (2018) Rifles & Rosary Beads
Mary
Gauthier è negli USA solitamente filed under “americana”
o “alt-country”, perché nonostante lavori che spesso partono dal
folk o dal country, non lo fanno mai in modo canonico. Insieme a lei
altre grandi come Lucinda
Williams, Gretchen Peters, Kathleen Edwards, Eliza Gilkyson:
cantautrici dal passo greve e attitudine scura, voce dolente e testi
tormentati. Rifles
& Rosary Beads
è un progetto partito già 4 anni fa con la partecipazione, insieme
ad altri musicisti, della cantautrice americana all’iniziativa
“Songwriting
with soldiers”,
alla quale hanno aderito veterani americani di diverse guerre, più o
meno recenti, insieme alle loro famiglie (si stima che ogni anno 7400
veterani di guerra americani si tolgano la vita). Quindi un concept
atipico per una cantautrice di solito dedicata a canzoni
autobiografiche, e centrato invece sui racconti di altri, sugli
aspetti umani, immediati, drammatici, strazianti del loro
coinvolgimento in una guerra, ed ai risvolti penosi delle famiglie in
attesa a casa, delle difficoltà del reinserimento nella società
(“Invisible… the war after the war”), quando non del vero e
proprio shock post-traumatico da stress. La Gauthier, che da sempre
definisce il proprio songwriting un “country
noir”,
è perfetta nel ruolo. Prodotto da Neilson Hubbard degli Orphan
Brigade (di cui un membro è il Ben Glover abituale co-writer di
molte canzoni di MG e suo sodale nei live), l’album vede la
fondamentale partecipazione del nostro Michele Gazich, il cui violino
di formazione classica è poco adatto alle danze ma perfetto per lo
struggimento (“piange come nessun violino in America” secondo la
Gauthier). Il musicista/cantautore/poeta bresciano collabora dal
2002 con la folksinger di stanza a Nashville, ed insieme hanno già
iniziato la promozione dell’album negli USA, in un tour in duo che
li porterà in Europa (e anche dalle nostre parti) il prossimo
ottobre. Album profondamente folk
nelle intenzioni, nella scrittura e nell’impianto: a dispetto di
uno scarno supporto di chitarre elettriche, gli arrangiamenti sono
acustici, fra plettri e corde di violino, armonica e pianoforte, ed
una sezione ritmica da banda rurale, ed ovviamente i testi sono
inscindibili dalle melodie (l’album è distribuito in Italia dalla
benemerita etichetta locale Appaloosa, in confezione con liriche e
traduzione italiana a fronte). Ne scaturisce una toccante riflessione
decisamente più umana che politica sul significato della guerra, con
suoni rurali ed antichi che farebbero pensare alla guerra di
secessione americana, ed invece proprio per i suoni diventa
atemporale ed universale. Avviso ai naviganti: un piccolo capolavoro
nel suo genere, probabilmente una noia per l’ascoltatore abituale
di pop, rock, hip hop, black music.
Voto
Microby: 8
Preferite:
Soldiering
On, Brothers, The War After The War
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