lunedì 19 febbraio 2018

MARY GAUTHIER


MARY GAUTHIER (2018) Rifles & Rosary Beads

Mary Gauthier è negli USA solitamente filed under “americana” o “alt-country”, perché nonostante lavori che spesso partono dal folk o dal country, non lo fanno mai in modo canonico. Insieme a lei altre grandi come Lucinda Williams, Gretchen Peters, Kathleen Edwards, Eliza Gilkyson: cantautrici dal passo greve e attitudine scura, voce dolente e testi tormentati. Rifles & Rosary Beads è un progetto partito già 4 anni fa con la partecipazione, insieme ad altri musicisti, della cantautrice americana all’iniziativa “Songwriting with soldiers”, alla quale hanno aderito veterani americani di diverse guerre, più o meno recenti, insieme alle loro famiglie (si stima che ogni anno 7400 veterani di guerra americani si tolgano la vita). Quindi un concept atipico per una cantautrice di solito dedicata a canzoni autobiografiche, e centrato invece sui racconti di altri, sugli aspetti umani, immediati, drammatici, strazianti del loro coinvolgimento in una guerra, ed ai risvolti penosi delle famiglie in attesa a casa, delle difficoltà del reinserimento nella società (“Invisible… the war after the war”), quando non del vero e proprio shock post-traumatico da stress. La Gauthier, che da sempre definisce il proprio songwriting un “country noir”, è perfetta nel ruolo. Prodotto da Neilson Hubbard degli Orphan Brigade (di cui un membro è il Ben Glover abituale co-writer di molte canzoni di MG e suo sodale nei live), l’album vede la fondamentale partecipazione del nostro Michele Gazich, il cui violino di formazione classica è poco adatto alle danze ma perfetto per lo struggimento (“piange come nessun violino in America” secondo la Gauthier). Il musicista/cantautore/poeta bresciano collabora dal 2002 con la folksinger di stanza a Nashville, ed insieme hanno già iniziato la promozione dell’album negli USA, in un tour in duo che li porterà in Europa (e anche dalle nostre parti) il prossimo ottobre. Album profondamente folk nelle intenzioni, nella scrittura e nell’impianto: a dispetto di uno scarno supporto di chitarre elettriche, gli arrangiamenti sono acustici, fra plettri e corde di violino, armonica e pianoforte, ed una sezione ritmica da banda rurale, ed ovviamente i testi sono inscindibili dalle melodie (l’album è distribuito in Italia dalla benemerita etichetta locale Appaloosa, in confezione con liriche e traduzione italiana a fronte). Ne scaturisce una toccante riflessione decisamente più umana che politica sul significato della guerra, con suoni rurali ed antichi che farebbero pensare alla guerra di secessione americana, ed invece proprio per i suoni diventa atemporale ed universale. Avviso ai naviganti: un piccolo capolavoro nel suo genere, probabilmente una noia per l’ascoltatore abituale di pop, rock, hip hop, black music.
Voto Microby: 8
Preferite: Soldiering On, Brothers, The War After The War

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