Col
terzo album si può definitivamente scrivere che l’ex surfista ed
ex folksinger inglese è totalmente disinteressato a classifiche,
stadi, programmazione radiofonica ed invece, per la felicità di chi
non vede la necessità di un altro Ed Sheeran, è decisamente
coinvolto nella ricerca musicale. Del suo genere: in punta di piedi,
senza clamore né clangori, come ci insegna la storia dei cantautori
intimisti e di quelli sperimentali, anziché pop. In occasione del
precedente I Forget Where We Were (2014) avevamo scritto su
queste pagine degli splendidi arrangiamenti per chitarre riverberate
ed elettriche ad effetto “space”, ma anche della monocromaticità
della voce e delle melodie. Appunti critici che si possono ribadire
per Noonday Dream, peraltro qualitativamente di poco
inferiore. Ma come giustamente osservato da qualche critico, Ben
Howard sembra seguire l’ispirazione di Nick Drake e
John Martyn (ma anche dei David Gray e Xavier
Rudd più introspettivi) come fossero arrangiati da Brian
Eno: una sorta di cantautore ambient. Non lo
trascuri l’ascoltatore con simili riferimenti musicali. Ben Howard sarà in concerto al Vittoriale di Gardone Riviera il 4 luglio 2018.
Voto Microby: 7.5
Preferite:
Nica Libres At Dusk, A Boat To An
Island On The Wall, Towing The Line
JOSHUA
HYSLOP (2018) Echos
Interessante
cantautore
canadese,
ora al terzo album, come molti partito dalla lezione di Nick
Drake
e del primo John Martyn ed approdato ad un linguaggio più pop ma
sempre intimo e raffinato, dalle parti di Passenger
e James Maddock, senza tralasciare l'influenza del primo Piers
Faccini.
Canzoni primaverili nella positività e crepuscolari nella scelta
degli arrangiamenti acustici, poco adatte alle corse in auto, molto
invece all'ascolto in cuffia, nel relax di fine giornata. Vi sono
accenni di sviluppo anche in senso elettrico, e quel che si intravede
lascia altrettanto ben sperare. Un artista suadente e delicato, che
piacerà a chi nei '70 si faceva cullare dalla tenerezza di James
Taylor.
Voto
Microby: 7.7
Preferite:
Say
It Again, How You've Been, Stand Your Ground
Terzo album da solista dopo la lunga militanza nei Supergrass, dopo 3 anni dal precedente Matador, piccolo gioiello elettro-pop, passato quasi inosservato nonostante la sua nomination al Mercury Prize. Con questo lavoro Coombes mescola i generi in una sorta di frullato musicale che va da Frank Ocean ai Neu! (sue testuali ispirazioni per questo lavoro) facendo anche convivere il britpop con il sounding elettronico più contemporaneo. Le atmosfere oscillano tra OK Computer (“Shit I’ve Done Again”) e In Ranbows (“Vanishing Act”) dei Radiohead, Black Rebel Motorcycle Club (“Deep Pockets”) e David Bowie di fine anni ’90 (“Oxygen Mask”), Jack White (“World’s Strongest Man”) e Arcade Fire (“Wounded Egos”). Eccellente lavoro. Da ascoltare:Walk the Walk, Wounded Egos, Oxygen Mask. Voto: ☆☆☆☆1/2
FRANK TURNER - Be More Kind (2018)
Molti dei migliori artisti, di qualsiasi campo artistico si parli, sono in continua evoluzione per adattarsi alle loro esperienze di vita e seguendo la propria direzione. Musicalmente parlando, sono coloro che sfornano album su album praticamente identici che spesso svaniscono nel dimenticatoio o si dimenano per raggiungere i fan che si sono allontanati. FT, classe 1981, ex punk-rocker britannico con i Million Dead, ha progressivamente de-elettrificato la chitarra orientandosi verso il mondo del songwriting folk-rock pur senza dimenticare l’energia delle sue origini. L’ultimo album (il 7° della sua produzione) parla di politica e di speranza ed inizia con Don’t Worry, un quasi gospel spruzzato di folk e prosegue con i suoi classici rock-pop vecchia scuola, apparentemente ripetitivi ma che, ascolto dopo ascolto, riescono ad emergere, quasi a ricordare un Morrissey contemporaneo. Ennesima fantastica collezione di uno degli artisti più affermati e geniali del Regno Unito ed ormai abituato a offrirci stimoli onesti e piacevolmente profondi. Da ascoltare: Don’t Worry, Be More Kind, 21st Century Survival Blues. Voto: ☆☆☆☆1/2
Ensemble
nato a Chicago per merito dei coniugi JT Nero (statunitense bianco, a
dispetto del cognome) ed Allison Russell (canadese mulatta cresciuta
a Montreal, che a dispetto della razza possiede una voce più bianca
di quella del marito), con musicisti tuttora instabili nell’arco
dei tre album pubblicati (quest’ultimo compreso). Al di là
dell’indubbio talento compositivo del duo (soprattutto JT Nero) ed
esecutivo dei musicisti, ciò che sorprende della band originaria
della windy city è la bontà del progetto che parte folk
ma fiorisce gospel e si completa soul,
tuttavia con reminiscenze country (grazie all’attuale
residenza dei coniugi a Nashville, ma soprattutto alle screziature
country della voce femminile). L’album è prevalentemente acustico
(ma sono preziosi gli inserti alla chitarra elettrica di Joel
Schwartz), cantato alternando voce maschile e femminile ma spesso in
duo e con cori di impronta gospel; non cerca la novità ma suona
tradizionale ed elegante, adatto ai piccoli club ma, vista
l’orecchiabilità pop delle composizioni, anche dalle buone
potenzialità commerciali se arrangiato con una produzione più
mainstream. Non sembra tuttavia quest’ultima la direzione della
band, che pare invece scegliere la qualità nel tempo, visto che dopo
la produzione di Joe Henry del secondo album ha scelto Luther
Dickinson (North Mississippi Allstars/The Black Crowes) per Love
In Wartime. Scelta azzeccata e disco da consigliare a chi ama la
musica roots/americana bianca e nera del sud degli USA.
Voto
Microby: 8
Preferite:
Love In Wartime,
Baton Rouge, Travelers
Ho un debole per questo
quarantenne di Victoria, Australia, partito quindici anni fa dai
circuiti folk locali come chitarrista e suonatore di didgeridoo per
poi aprirsi come polistrumentista a musica cantautorale ma dalle
svariate influenze, sempre nell'ambito di un folk-pop
coloratissimo, soulful e con abbondanti screziature reggae.
La cultura aborigena (tale era la bisnonna) permea le sue liriche,
da sempre improntate a magnificare le leggi di madre natura, il
rispetto per l'ambiente e per le minoranze etniche e religiose ("la
musica è la mia chiesa, la cultura aborigena la mia religione"),
e soprattutto l'uguaglianza anche interspecie (nelle tribù aborigene
gli uomini non si considerano superiori a piante ed animali). Dopo il
capolavoro totalmente reggae "Nanna" del 2015, una
splendida anomalia nella sua discografia, Rudd torna ad allacciarsi
ai suoi temi anche musicali consueti, che vedono il Paul
Simon sia
intimo che etnico abbracciare il Bob
Marley più
mistico, e che nel nuovo millennio trovano esempi simili in Jack
Johnson, John Butler, Ben Harper
(ma io lo preferisco a tutti e tre). Storm
Boy si aggancia a
Spirit Bird
del 2013, ma lo supera in brillantezza di suoni, varietà di
ispirazione, leggerezza compositiva. E' un disco che nella prima
parte rallegra, rinfresca, corrobora, e nella seconda culla con
ballate sognanti. Grazie a Stefano che me lo fece conoscere molti
anni fa, spero di potermelo godere dal vivo il prossimo 10 ottobre
all'Alcatraz a Milano.