giovedì 21 giugno 2018

BEN HOWARD, JOSHUA HYSLOP


BEN HOWARD (2018) Noonday Dream

Col terzo album si può definitivamente scrivere che l’ex surfista ed ex folksinger inglese è totalmente disinteressato a classifiche, stadi, programmazione radiofonica ed invece, per la felicità di chi non vede la necessità di un altro Ed Sheeran, è decisamente coinvolto nella ricerca musicale. Del suo genere: in punta di piedi, senza clamore né clangori, come ci insegna la storia dei cantautori intimisti e di quelli sperimentali, anziché pop. In occasione del precedente I Forget Where We Were (2014) avevamo scritto su queste pagine degli splendidi arrangiamenti per chitarre riverberate ed elettriche ad effetto “space”, ma anche della monocromaticità della voce e delle melodie. Appunti critici che si possono ribadire per Noonday Dream, peraltro qualitativamente di poco inferiore. Ma come giustamente osservato da qualche critico, Ben Howard sembra seguire l’ispirazione di Nick Drake e John Martyn (ma anche dei David Gray e Xavier Rudd più introspettivi) come fossero arrangiati da Brian Eno: una sorta di cantautore ambient. Non lo trascuri l’ascoltatore con simili riferimenti musicali. Ben Howard sarà in concerto al Vittoriale di Gardone Riviera il 4 luglio 2018.
Voto Microby: 7.5

Preferite: Nica Libres At Dusk, A Boat To An Island On The Wall, Towing The Line

JOSHUA HYSLOP (2018) Echos

Interessante cantautore canadese, ora al terzo album, come molti partito dalla lezione di Nick Drake e del primo John Martyn ed approdato ad un linguaggio più pop ma sempre intimo e raffinato, dalle parti di Passenger e James Maddock, senza tralasciare l'influenza del primo Piers Faccini. Canzoni primaverili nella positività e crepuscolari nella scelta degli arrangiamenti acustici, poco adatte alle corse in auto, molto invece all'ascolto in cuffia, nel relax di fine giornata. Vi sono accenni di sviluppo anche in senso elettrico, e quel che si intravede lascia altrettanto ben sperare. Un artista suadente e delicato, che piacerà a chi nei '70 si faceva cullare dalla tenerezza di James Taylor.
Voto Microby: 7.7
Preferite: Say It Again, How You've Been, Stand Your Ground



sabato 16 giugno 2018

Recensioni al volo: Gaz Coombes, Frank Turner

GAZ COOMBES - World’s Strongest Man (2018)
Terzo album da solista dopo la lunga militanza nei Supergrass, dopo 3 anni dal precedente Matador, piccolo gioiello elettro-pop, passato quasi inosservato nonostante la sua nomination al Mercury Prize. Con questo lavoro Coombes mescola i generi in una sorta di frullato musicale che va da Frank Ocean ai Neu! (sue testuali ispirazioni per questo lavoro) facendo anche convivere il britpop con il sounding elettronico più contemporaneo. Le atmosfere oscillano tra OK Computer  (“Shit I’ve Done Again”) e In Ranbows (“Vanishing Act”) dei Radiohead, Black Rebel Motorcycle Club (“Deep Pockets”) e David Bowie di fine anni ’90 (“Oxygen Mask”), Jack White (“World’s Strongest Man”) e Arcade Fire (“Wounded Egos”). Eccellente lavoro. Da ascoltare:Walk the Walk, Wounded Egos, Oxygen Mask.  Voto: 1/2



FRANK TURNER - Be More Kind (2018)
Molti dei migliori artisti, di qualsiasi campo artistico si parli, sono in continua evoluzione per adattarsi alle loro esperienze di vita e seguendo la propria direzione. Musicalmente parlando, sono coloro che sfornano album su album praticamente identici che spesso svaniscono nel dimenticatoio o si dimenano per raggiungere i fan che si sono allontanati. FT, classe 1981, ex punk-rocker britannico con i Million Dead, ha progressivamente de-elettrificato la chitarra orientandosi verso il mondo del songwriting folk-rock pur senza dimenticare l’energia delle sue origini. L’ultimo album (il 7° della sua produzione) parla di politica e di speranza ed inizia con Don’t Worry, un quasi gospel spruzzato di folk e prosegue con i suoi classici rock-pop vecchia scuola, apparentemente ripetitivi ma che, ascolto dopo ascolto, riescono ad emergere, quasi a ricordare un Morrissey contemporaneo. Ennesima fantastica collezione di uno degli artisti più affermati e geniali del Regno Unito ed ormai abituato a offrirci stimoli onesti e piacevolmente profondi. Da ascoltare: Don’t Worry, Be More Kind, 21st Century Survival Blues. Voto: 1/2

giovedì 14 giugno 2018

BIRDS OF CHICAGO


BIRDS OF CHICAGO (2018) Love In Wartime

Ensemble nato a Chicago per merito dei coniugi JT Nero (statunitense bianco, a dispetto del cognome) ed Allison Russell (canadese mulatta cresciuta a Montreal, che a dispetto della razza possiede una voce più bianca di quella del marito), con musicisti tuttora instabili nell’arco dei tre album pubblicati (quest’ultimo compreso). Al di là dell’indubbio talento compositivo del duo (soprattutto JT Nero) ed esecutivo dei musicisti, ciò che sorprende della band originaria della windy city è la bontà del progetto che parte folk ma fiorisce gospel e si completa soul, tuttavia con reminiscenze country (grazie all’attuale residenza dei coniugi a Nashville, ma soprattutto alle screziature country della voce femminile). L’album è prevalentemente acustico (ma sono preziosi gli inserti alla chitarra elettrica di Joel Schwartz), cantato alternando voce maschile e femminile ma spesso in duo e con cori di impronta gospel; non cerca la novità ma suona tradizionale ed elegante, adatto ai piccoli club ma, vista l’orecchiabilità pop delle composizioni, anche dalle buone potenzialità commerciali se arrangiato con una produzione più mainstream. Non sembra tuttavia quest’ultima la direzione della band, che pare invece scegliere la qualità nel tempo, visto che dopo la produzione di Joe Henry del secondo album ha scelto Luther Dickinson (North Mississippi Allstars/The Black Crowes) per Love In Wartime. Scelta azzeccata e disco da consigliare a chi ama la musica roots/americana bianca e nera del sud degli USA.
Voto Microby: 8
Preferite: Love In Wartime, Baton Rouge, Travelers

mercoledì 6 giugno 2018

XAVIER RUDD


XAVIER RUDD (2018) Storm Boy



Ho un debole per questo quarantenne di Victoria, Australia, partito quindici anni fa dai circuiti folk locali come chitarrista e suonatore di didgeridoo per poi aprirsi come polistrumentista a musica cantautorale ma dalle svariate influenze, sempre nell'ambito di un folk-pop coloratissimo, soulful e con abbondanti screziature reggae. La cultura aborigena (tale era la bisnonna) permea le sue liriche, da sempre improntate a magnificare le leggi di madre natura, il rispetto per l'ambiente e per le minoranze etniche e religiose ("la musica è la mia chiesa, la cultura aborigena la mia religione"), e soprattutto l'uguaglianza anche interspecie (nelle tribù aborigene gli uomini non si considerano superiori a piante ed animali). Dopo il capolavoro totalmente reggae "Nanna" del 2015, una splendida anomalia nella sua discografia, Rudd torna ad allacciarsi ai suoi temi anche musicali consueti, che vedono il Paul Simon sia intimo che etnico abbracciare il Bob Marley più mistico, e che nel nuovo millennio trovano esempi simili in Jack Johnson, John Butler, Ben Harper (ma io lo preferisco a tutti e tre). Storm Boy si aggancia a Spirit Bird del 2013, ma lo supera in brillantezza di suoni, varietà di ispirazione, leggerezza compositiva. E' un disco che nella prima parte rallegra, rinfresca, corrobora, e nella seconda culla con ballate sognanti. Grazie a Stefano che me lo fece conoscere molti anni fa, spero di potermelo godere dal vivo il prossimo 10 ottobre all'Alcatraz a Milano.
Voto Microby: 8.3
Preferite: Keep It Simple, Walk Away, True Love

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