Non
sarebbe corretto sostenere che è in atto un revival del soul anni
’60, dal momento che da tempo il genere è passato allo status di
evergreen
e che i suoi estimatori hanno sempre rappresentato una popolazione
piuttosto che una nicchia. E’ però da almeno un lustro che sembra
in atto un ricambio generazionale, forse favorito dalla dipartita in
campo femminile dapprima del totem-soul Aretha Franklin, quindi della
nuova regina Sharon Jones; la terza grazia, Mavis Staples, è ormai
ottuagenaria, e le leve di mezzo hanno conquistato popolarità (Tina
Turner) e stima (Bettye LaVette),
tuttavia mai il carisma delle precedenti. La globalizzazione musicale
ha inoltre diffuso il vangelo (“gospel”) soul nei cinque
continenti, permettendone la contaminazione (in alcuni casi
assolutamente preziosa) ma salvaguardandone le caratteristiche
essenziali di musica nata dalla fusione del jazz/early R&B col
gospel ed il pop dell’epoca. Chi tuttora ne protegge con
convinzione gli stilemi è dedicato al cosiddetto retro-soul.
Che di positivo ha la purezza del rispetto, di negativo il fatto che
si tratta di musica derivativa, priva di uno sguardo proiettato al
futuro. Musica pertanto nostalgica ma tuttora assai vitale, proposta
da artisti di grande spessore (per equità, citiamo al passato
maschile almeno i furono Otis Redding, James Brown, Sam Cooke, Wilson
Pickett, Curtis Mayfield, Ray Charles, Marvin Gaye); tra gli epigoni
attuali del genere occorre ricordare almeno Lee Fields e lo
straordinario Charles Bradley, passato nel 2017 a miglior vita dopo
un beffardo successo in tarda età. Dicevamo delle nuove leve e su
queste pagine già abbiamo parlato dei vari Curtis Harding, Black Joe
Lewis, Anderson East, Nathaniel Rateliff, Ben l’oncle soul, Ndidi
O. Negli scorsi mesi sono stati pubblicati alcuni lavori di
retro-soul, per motivi diversi meritevoli di segnalazione. Per
dispetto parliamo prima degli unici all-white
del lotto:
THE
TESKEY BROTHERS
sono un quartetto di Melbourne più contaminato rispetto ad un puro
retro-soul: guidato dai fratelli Josh (voce) e Sam Teskey (chitarre),
il primo dotato di un’abrasiva voce che ricorda di volta in volta
il giovane Joe
Cocker soul, il Rod
Stewart young-blues ed ovunque il più recente Anderson East, ed il
secondo autore di un suono chitarristico che miscela l’arpeggio
limpido soul sixties
con riff sporchi figli del garage-sound
(la lezione di Eddie Hinton è palpabile), gli australiani al secondo
album Run
Home Slow
propongono un soul di matrice Stax in cui tuttavia convergono
influenze southern
ed “americana”,
così come il jazz tra le guerre ed il gospel (varietà di stili in
parte da ascrivere al produttore Paul Butler). Completano il
quartetto una sezione ritmica ordinata, così come non manca una
colorata partecipazione dei fiati ed il sostegno di tastiere sixties.
Sono i più “bianchi” e “rock” tra le proposte, ma le potenti
radici traggono linfa da Otis
Redding ed
Eddie Hinton.
Voto
Microby: 7.8
Preferite:
Paint
My Heart, Rain, Carry You
Per
chi invece ama i suoni morbidi, eleganti, carezzevoli del soul di
marca Sam Cooke,
Al Green, Donny Hathaway e Marvin Gaye, il disco di riferimento è
BLACK
PUMAS,
esordio della band omonima texana, ufficialmente costituita dal duo
Eric Burton (nero dalla voce vellutata) ed Adrian Quesada (bianco
polistrumentista), integrati da validi turnisti alla sezione ritmica,
fiati, tastiere ed archi. Il rischio di risultare melliflui e
leziosi, dietro l’angolo per il genere musicale, è efficacemente
sebbene non sempre superato grazie ad eccellenti doti di scrittura ed
a parti musicali in cui nulla è lasciato al caso (per molti
ascoltatori tuttavia ciò potrebbe costituire un difetto). Almeno un
paio di gioiellini meriterebbero un airplay massiccio, con possibile
straniante effetto di sixties-soul da “ritorno al futuro”. La
classe del duo è comunque indiscutibile.
Voto
Microby: 7.7
Preferite:
Touch
The Sky, Colors, Confines
Ma
il pezzo da novanta tra le nuove proposte “black” è
rappresentato dai SOUTHERN
AVENUE
(la strada che
delimita il quartiere di Memphis sede della Stax Records), quintetto
del Tennessee coagulatosi intorno al chitarrista israeliano Ori
Naftaly, di formazione blues ma convertitosi al soul-errenbi grazie
all’incontro con la straordinaria vocalist di colore Tierinii
Jackson ed il fratello batterista Tikyra. Keep
On è il
loro secondo lavoro, dopo una gavetta di 300 concerti in 2 anni che
li ha portati a vincere numerosi premi e ad aprire per Buddy Guy, Los
Lobos e North Mississippi Allstars. Qui il retro-soul si apre a tutti
i sottogeneri, dal rhythm ‘n’ blues al funky, dal gospel al blues
in una fusione di classe e viscere che ha rimandi chiari (non solo
nella spettacolare voce di Tierinii) ad Aretha
Franklin, in
versione più popolare che religiosa. Gli ingredienti classici ci
sono tutti, dalla ritmica pulsante agli ottoni a sostegno, dalla
chitarra elettrica funky negli accordi e bluesy negli assoli, dalla
vocalist carismatica ad ineccepibili contrappunti gospel: nessun
accenno, nonostante la giovane età dei componenti, ai suoni moderni
ma glaciali del nu-soul o dell’alt-R’n’B. Piuttosto un rimando
col pensiero a due bands iberiche sottotraccia nelle vendite ma
musicalmente esplosive, e già segnalate sul nostro blog: la
madrilena Lisa
and The Lips
(frontwoman
l’hawaiana Lisa Kekaula, anche leader degli americani Bellrays) e
la controparte catalana The
Excitements
(trascinata dalla spettacolare voce della mozambicana Koko-Jean
Davis). I Southern Avenue rappresentano una scarica vitale di classe
musicale black
da sparare ad alto volume in auto o in cuffia (a casa i vicini
alzerebbero il volume di Alessandra Amoroso per par
condicio).
Voto
Microby: 8
Preferite:
Whiskey
Love, Keep On, Lucky
Per
chi ama la musica black, tre gruppi assolutamente raccomandati.