martedì 1 ottobre 2019

LE NUOVE LEVE DEL RETRO-SOUL


Non sarebbe corretto sostenere che è in atto un revival del soul anni ’60, dal momento che da tempo il genere è passato allo status di evergreen e che i suoi estimatori hanno sempre rappresentato una popolazione piuttosto che una nicchia. E’ però da almeno un lustro che sembra in atto un ricambio generazionale, forse favorito dalla dipartita in campo femminile dapprima del totem-soul Aretha Franklin, quindi della nuova regina Sharon Jones; la terza grazia, Mavis Staples, è ormai ottuagenaria, e le leve di mezzo hanno conquistato popolarità (Tina Turner) e stima (Bettye LaVette), tuttavia mai il carisma delle precedenti. La globalizzazione musicale ha inoltre diffuso il vangelo (“gospel”) soul nei cinque continenti, permettendone la contaminazione (in alcuni casi assolutamente preziosa) ma salvaguardandone le caratteristiche essenziali di musica nata dalla fusione del jazz/early R&B col gospel ed il pop dell’epoca. Chi tuttora ne protegge con convinzione gli stilemi è dedicato al cosiddetto retro-soul. Che di positivo ha la purezza del rispetto, di negativo il fatto che si tratta di musica derivativa, priva di uno sguardo proiettato al futuro. Musica pertanto nostalgica ma tuttora assai vitale, proposta da artisti di grande spessore (per equità, citiamo al passato maschile almeno i furono Otis Redding, James Brown, Sam Cooke, Wilson Pickett, Curtis Mayfield, Ray Charles, Marvin Gaye); tra gli epigoni attuali del genere occorre ricordare almeno Lee Fields e lo straordinario Charles Bradley, passato nel 2017 a miglior vita dopo un beffardo successo in tarda età. Dicevamo delle nuove leve e su queste pagine già abbiamo parlato dei vari Curtis Harding, Black Joe Lewis, Anderson East, Nathaniel Rateliff, Ben l’oncle soul, Ndidi O. Negli scorsi mesi sono stati pubblicati alcuni lavori di retro-soul, per motivi diversi meritevoli di segnalazione. Per dispetto parliamo prima degli unici all-white del lotto:



THE TESKEY BROTHERS sono un quartetto di Melbourne più contaminato rispetto ad un puro retro-soul: guidato dai fratelli Josh (voce) e Sam Teskey (chitarre), il primo dotato di un’abrasiva voce che ricorda di volta in volta il giovane Joe Cocker soul, il Rod Stewart young-blues ed ovunque il più recente Anderson East, ed il secondo autore di un suono chitarristico che miscela l’arpeggio limpido soul sixties con riff sporchi figli del garage-sound (la lezione di Eddie Hinton è palpabile), gli australiani al secondo album Run Home Slow propongono un soul di matrice Stax in cui tuttavia convergono influenze southern ed “americana”, così come il jazz tra le guerre ed il gospel (varietà di stili in parte da ascrivere al produttore Paul Butler). Completano il quartetto una sezione ritmica ordinata, così come non manca una colorata partecipazione dei fiati ed il sostegno di tastiere sixties. Sono i più “bianchi” e “rock” tra le proposte, ma le potenti radici traggono linfa da Otis Redding ed Eddie Hinton.
Voto Microby: 7.8
Preferite: Paint My Heart, Rain, Carry You



Per chi invece ama i suoni morbidi, eleganti, carezzevoli del soul di marca Sam Cooke, Al Green, Donny Hathaway e Marvin Gaye, il disco di riferimento è BLACK PUMAS, esordio della band omonima texana, ufficialmente costituita dal duo Eric Burton (nero dalla voce vellutata) ed Adrian Quesada (bianco polistrumentista), integrati da validi turnisti alla sezione ritmica, fiati, tastiere ed archi. Il rischio di risultare melliflui e leziosi, dietro l’angolo per il genere musicale, è efficacemente sebbene non sempre superato grazie ad eccellenti doti di scrittura ed a parti musicali in cui nulla è lasciato al caso (per molti ascoltatori tuttavia ciò potrebbe costituire un difetto). Almeno un paio di gioiellini meriterebbero un airplay massiccio, con possibile straniante effetto di sixties-soul da “ritorno al futuro”. La classe del duo è comunque indiscutibile.
Voto Microby: 7.7
Preferite: Touch The Sky, Colors, Confines



Ma il pezzo da novanta tra le nuove proposte “black” è rappresentato dai SOUTHERN AVENUE (la strada che delimita il quartiere di Memphis sede della Stax Records), quintetto del Tennessee coagulatosi intorno al chitarrista israeliano Ori Naftaly, di formazione blues ma convertitosi al soul-errenbi grazie all’incontro con la straordinaria vocalist di colore Tierinii Jackson ed il fratello batterista Tikyra. Keep On è il loro secondo lavoro, dopo una gavetta di 300 concerti in 2 anni che li ha portati a vincere numerosi premi e ad aprire per Buddy Guy, Los Lobos e North Mississippi Allstars. Qui il retro-soul si apre a tutti i sottogeneri, dal rhythm ‘n’ blues al funky, dal gospel al blues in una fusione di classe e viscere che ha rimandi chiari (non solo nella spettacolare voce di Tierinii) ad Aretha Franklin, in versione più popolare che religiosa. Gli ingredienti classici ci sono tutti, dalla ritmica pulsante agli ottoni a sostegno, dalla chitarra elettrica funky negli accordi e bluesy negli assoli, dalla vocalist carismatica ad ineccepibili contrappunti gospel: nessun accenno, nonostante la giovane età dei componenti, ai suoni moderni ma glaciali del nu-soul o dell’alt-R’n’B. Piuttosto un rimando col pensiero a due bands iberiche sottotraccia nelle vendite ma musicalmente esplosive, e già segnalate sul nostro blog: la madrilena Lisa and The Lips (frontwoman l’hawaiana Lisa Kekaula, anche leader degli americani Bellrays) e la controparte catalana The Excitements (trascinata dalla spettacolare voce della mozambicana Koko-Jean Davis). I Southern Avenue rappresentano una scarica vitale di classe musicale black da sparare ad alto volume in auto o in cuffia (a casa i vicini alzerebbero il volume di Alessandra Amoroso per par condicio).
Voto Microby: 8
Preferite: Whiskey Love, Keep On, Lucky


Per chi ama la musica black, tre gruppi assolutamente raccomandati. 



 
 

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