NICK
CAVE AND THE BAD SEEDS (2019) Ghosteen
L’ultimo lavoro di Nick Cave
è salutato dalla critica mondiale non solo come uno degli apici
della variegata carriera dell’australiano, ma come un capolavoro
assoluto: Metacritic assegna una straordinaria valutazione di 99/100
sulla scorta di 19 recensioni. Atto finale di una trilogia iniziata
splendidamente nel 2013 con Push
The Sky Away, il
primo album con i Bad Seeds in cui Cave aveva
lavorato per sottrazione, sulla scia del secondo e ancora più
rarefatto Skeleton
Tree (2016)
l’attuale “Ragazzo fantasma” è fortemente influenzato nel mood
e nelle tematiche dalla drammatica perdita del figlio quindicenne
Arthur
nel 2015. Ascoltare Ghosteen
senza considerare quest’ottica significa mutilarlo nella
comprensione. E tuttavia non tutti sono disposti a farlo
(comprensibili in tal senso le rare stroncature di alcuni ascoltatori
contemporanei, avvezzi al mordi-e-fuggi e ad un consumo che sia
immediatamente fruibile: per costoro Ghosteen
rappresenta inevitabilmente una noia mortale). Unica e mandatoria
possibilità di ascolto dell’album è infatti l’immersione
totale, al massimo con testi a fronte (da sempre fondamentali e
poetici per il Re Inchiostro). Dimenticatevi di fare altro durante
l’ascolto. A proposito di Skeleton
Tree scrivevamo sul
blog “ambient
spettrale su cui declamare i testi”,
definizione adattissima anche all’epilogo della trilogia: musica
che avrebbe potuto scrivere ed eseguire Brian
Eno 40 anni fa,
e che potrebbe titolarsi “Music for Limbo”, interpretata da un
artista sospeso tra la terra ed il cielo da quando è rimasto orfano
del figlio (la stessa copertina, splendida od orribile a seconda
dell’osservatore, richiama un paradiso terrestre tra Rousseau e i
preraffaelliti). Il lavoro di Warren Ellis, vero timoniere dei Bad
Seeds da almeno un lustro e splendido compositore (con Cave) di
colonne sonore, è evidente nella rarefazione dei suoni e
nell’impalpabilità delle melodie, appena accennate, e nell’assetto
cinematico dell’opera. Visto in altra ottica, è consentito anche
sostenere che ogni brano assomiglia all’altro e che lo sforzo
compositivo e di arrangiamenti è ridotto al minimo, mentre solo
l’anacusia o l’asistolia non permettono di percepire il pathos,
assolutamente sincero, così come fa sorridere la critica di
autoreferenzialità: chi non lo è, e meno che meno Nick Cave, da
sempre diabolicamente o celestialmente autobiografico? L’album è
diviso dall’artista in due sezioni, “the children” costituita
dal primo disco di 8 brani, e “the parents”, 3 brani nel secondo
(di cui 2 eccessivamente lunghi, 12 e 14 minuti). Bello sarebbe poter
valutare un album come Ghosteen
se fosse stato pubblicato da un artista al debutto, liberi da
pre-giudizi; invece la solida eredità di stima di un grande della
nostra musica e le sue drammatiche vicende di vita (ha attentato alla
propria vita in ogni modo e gli è toccato in sorte di sopravvivere
al proprio figlio) impediscono l’imparzialità. Lavoro che sarà
ripudiato da chi ama il ritmo ed il clangore delle chitarre
elettriche (entrambi totalmente assenti in Ghosteen),
ed apprezzato dagli estimatori delle tastiere soffici ed eteree della
musica ambient, mentre presumo
lascerà indifferenti gli appassionati di avantgarde (non vi è
alcuna ricerca musicale in Ghosteen).
Emersi dall’inevitabile spleen
indotto dal non facile ascolto di Ghosteen,
e cercando di riappropriarci della nostra vita quotidiana per
esprimere un giudizio il più obiettivo possibile, possiamo trovare
dei limiti giusto nell’assenza di novità musicale (banalizzando,
siamo di fronte ad un lungo sermone di autoanalisi su un tappeto di
musica ambient
seventies) ed in
qualche ridondanza e lungaggine di troppo: certamente funzionale
all’elaborazione del lutto da parte di Cave, ma obiettivamente
tetra e noiosa per chi ha tutt’altro mood.
Sospeso tra la tensione umana dell’ultimo Scott Walker e la
pacificazione trascendentale, Cave ha scelto la rarefazione musicale
e la solidità delle parole: l’epilogo di Hollywood
recita “Everybody’s losing someone/It’s a long way to find
peace of mind, peace of mind/And I’m just waiting now, for my time
to come/And I’m just waiting now, for peace to come, for peace to
come”. Resta in ogni caso un unicum di forte impatto emotivo, nel
bene e nel male. Solo il tempo ci dirà se chiamarlo o no
“masterpiece”.
Voto
Microby: 7.7
Preferite:
Bright
Horses, Sun Forest, Galleon Ship
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