martedì 15 ottobre 2019

NICK CAVE AND THE BAD SEEDS


NICK CAVE AND THE BAD SEEDS (2019) Ghosteen

L’ultimo lavoro di Nick Cave è salutato dalla critica mondiale non solo come uno degli apici della variegata carriera dell’australiano, ma come un capolavoro assoluto: Metacritic assegna una straordinaria valutazione di 99/100 sulla scorta di 19 recensioni. Atto finale di una trilogia iniziata splendidamente nel 2013 con Push The Sky Away, il primo album con i Bad Seeds in cui Cave aveva lavorato per sottrazione, sulla scia del secondo e ancora più rarefatto Skeleton Tree (2016) l’attuale “Ragazzo fantasma” è fortemente influenzato nel mood e nelle tematiche dalla drammatica perdita del figlio quindicenne Arthur nel 2015. Ascoltare Ghosteen senza considerare quest’ottica significa mutilarlo nella comprensione. E tuttavia non tutti sono disposti a farlo (comprensibili in tal senso le rare stroncature di alcuni ascoltatori contemporanei, avvezzi al mordi-e-fuggi e ad un consumo che sia immediatamente fruibile: per costoro Ghosteen rappresenta inevitabilmente una noia mortale). Unica e mandatoria possibilità di ascolto dell’album è infatti l’immersione totale, al massimo con testi a fronte (da sempre fondamentali e poetici per il Re Inchiostro). Dimenticatevi di fare altro durante l’ascolto. A proposito di Skeleton Tree scrivevamo sul blog “ambient spettrale su cui declamare i testi”, definizione adattissima anche all’epilogo della trilogia: musica che avrebbe potuto scrivere ed eseguire Brian Eno 40 anni fa, e che potrebbe titolarsi “Music for Limbo”, interpretata da un artista sospeso tra la terra ed il cielo da quando è rimasto orfano del figlio (la stessa copertina, splendida od orribile a seconda dell’osservatore, richiama un paradiso terrestre tra Rousseau e i preraffaelliti). Il lavoro di Warren Ellis, vero timoniere dei Bad Seeds da almeno un lustro e splendido compositore (con Cave) di colonne sonore, è evidente nella rarefazione dei suoni e nell’impalpabilità delle melodie, appena accennate, e nell’assetto cinematico dell’opera. Visto in altra ottica, è consentito anche sostenere che ogni brano assomiglia all’altro e che lo sforzo compositivo e di arrangiamenti è ridotto al minimo, mentre solo l’anacusia o l’asistolia non permettono di percepire il pathos, assolutamente sincero, così come fa sorridere la critica di autoreferenzialità: chi non lo è, e meno che meno Nick Cave, da sempre diabolicamente o celestialmente autobiografico? L’album è diviso dall’artista in due sezioni, “the children” costituita dal primo disco di 8 brani, e “the parents”, 3 brani nel secondo (di cui 2 eccessivamente lunghi, 12 e 14 minuti). Bello sarebbe poter valutare un album come Ghosteen se fosse stato pubblicato da un artista al debutto, liberi da pre-giudizi; invece la solida eredità di stima di un grande della nostra musica e le sue drammatiche vicende di vita (ha attentato alla propria vita in ogni modo e gli è toccato in sorte di sopravvivere al proprio figlio) impediscono l’imparzialità. Lavoro che sarà ripudiato da chi ama il ritmo ed il clangore delle chitarre elettriche (entrambi totalmente assenti in Ghosteen), ed apprezzato dagli estimatori delle tastiere soffici ed eteree della musica ambient, mentre presumo lascerà indifferenti gli appassionati di avantgarde (non vi è alcuna ricerca musicale in Ghosteen). Emersi dall’inevitabile spleen indotto dal non facile ascolto di Ghosteen, e cercando di riappropriarci della nostra vita quotidiana per esprimere un giudizio il più obiettivo possibile, possiamo trovare dei limiti giusto nell’assenza di novità musicale (banalizzando, siamo di fronte ad un lungo sermone di autoanalisi su un tappeto di musica ambient seventies) ed in qualche ridondanza e lungaggine di troppo: certamente funzionale all’elaborazione del lutto da parte di Cave, ma obiettivamente tetra e noiosa per chi ha tutt’altro mood. Sospeso tra la tensione umana dell’ultimo Scott Walker e la pacificazione trascendentale, Cave ha scelto la rarefazione musicale e la solidità delle parole: l’epilogo di Hollywood recita “Everybody’s losing someone/It’s a long way to find peace of mind, peace of mind/And I’m just waiting now, for my time to come/And I’m just waiting now, for peace to come, for peace to come”. Resta in ogni caso un unicum di forte impatto emotivo, nel bene e nel male. Solo il tempo ci dirà se chiamarlo o no “masterpiece”.
Voto Microby: 7.7
Preferite: Bright Horses, Sun Forest, Galleon Ship



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