giovedì 25 giugno 2020

BOB DYLAN


BOB DYLAN (2020) Rough And Rowdy Ways

Se si eccettua la rivisitazione del Great American Songbook con tre trascurabili uscite da crooner sinatriano , erano otto anni che Mr. Zimmerman non licenziava un album in studio. Che è comunque il primo di brani autografi dal 2012. Non si è mai obiettivi nel recensire la gigantesca icona, americana ma universale, e migliaia di opinioni rispetto al suo ultimo lavoro sono già disponibili in rete, molte delle quali a mio parere lo sovra- o sottostimano. Il mio personale giudizio sta salomonicamente nel mezzo. Mi spiego. Dylan è stato un rivoluzionario sia nelle liriche (il premio Nobel per la letteratura a mio avviso non è stata una forzatura) che nella musica, per la quale ha trasformato la figura dello storyteller folk in un artista pop-olare, plasmandola fino a farne una rockstar da stadio. Immutato il talento lirico, capace di tradurre in poesia una lettura puntuale, intelligente ed icastica della realtà personale, sociale, politica dell'umanità intera (può permetterselo), ascoltando questa sua ultima fatica sembra invece che la sua forza melodica si sia affievolita nel tempo. Così il riproporre musica tradizionale, con l'alternarsi di brani di impronta bianca come il folk delle origini e di blues canonici di marca nera Delta/Chicago, in entrambi i casi senza partiture musicali d'eccellenza, con canzoni oltremodo lunghe (6-7-9-17 minuti!) che si concludono esattamente come sono iniziate, senza sussulti nè di scrittura nè di esecuzione strumentale, francamente (mi) annoia. Sarebbe più appropriato gioire della "lettura" dell'ultimo album di Dylan. Testi da 10 e partitura da 6 e mezzo. Che però non fanno media, perchè non stiamo recensendo un romanzo, ma un disco. Che oltre alle liriche riesce tuttavia ad emozionare anche con la voce del menestrello di Duluth, col tempo migliorata da ipernasale a cavernosa, a tratti evocativa del timbro del primo Tom Waits.
Voto Microby: 7    
Preferite: My Own Version of You, I've Made Up My Mind To Give Myself To You, False Prophet

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Completamente d’accordo con l’azzeccata recensione che puntualizza la piena maturità del poeta e la lenta ma inesorabile sterilità del compositore...complimenti!

microby ha detto...

Mi fa piacere che tu sia d'accordo. Grazie! Certo, sempre lunga vita a Dylan!

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