BOB
DYLAN (2020) Rough And Rowdy Ways
Se
si eccettua la rivisitazione del Great American Songbook con tre
trascurabili uscite da crooner sinatriano , erano otto anni che Mr.
Zimmerman non licenziava un album in studio. Che è comunque il primo
di brani autografi dal 2012. Non si è mai obiettivi nel recensire la
gigantesca icona, americana ma universale, e migliaia di opinioni
rispetto al suo ultimo lavoro sono già disponibili in rete, molte
delle quali a mio parere lo sovra- o sottostimano. Il mio personale
giudizio sta salomonicamente nel mezzo. Mi spiego. Dylan è stato un
rivoluzionario sia nelle liriche (il premio Nobel per la letteratura
a mio avviso non è stata una forzatura) che nella musica, per la
quale ha trasformato la figura dello storyteller folk in un artista
pop-olare, plasmandola fino a farne una rockstar da stadio. Immutato
il talento lirico, capace di tradurre in poesia una lettura puntuale,
intelligente ed icastica della realtà personale, sociale, politica
dell'umanità intera (può permetterselo), ascoltando questa sua
ultima fatica sembra invece che la sua forza melodica si sia
affievolita nel tempo. Così il riproporre musica tradizionale, con
l'alternarsi di brani di impronta bianca come il folk
delle origini e di blues
canonici di marca nera Delta/Chicago, in entrambi i casi senza
partiture musicali d'eccellenza, con canzoni oltremodo lunghe
(6-7-9-17 minuti!) che si concludono esattamente come sono iniziate,
senza sussulti nè di scrittura nè di esecuzione strumentale,
francamente (mi) annoia. Sarebbe più appropriato gioire della
"lettura" dell'ultimo album di Dylan. Testi da 10 e
partitura da 6 e mezzo. Che però non fanno media, perchè non
stiamo recensendo un romanzo, ma un disco. Che oltre alle liriche
riesce tuttavia ad emozionare anche con la voce del menestrello di
Duluth, col tempo migliorata da ipernasale a cavernosa, a tratti
evocativa del timbro del primo Tom Waits.
Voto
Microby: 7
Preferite: My Own Version of You, I've Made Up My Mind To Give Myself To You, False Prophet
2 commenti:
Completamente d’accordo con l’azzeccata recensione che puntualizza la piena maturità del poeta e la lenta ma inesorabile sterilità del compositore...complimenti!
Mi fa piacere che tu sia d'accordo. Grazie! Certo, sempre lunga vita a Dylan!
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