giovedì 29 aprile 2021

DOMINIQUE FILS-AIME' (2021) Three Little Words


Genere
: Soul, Doo-wop

Simili: The Drifters, Ruby Amanfu, Dionne Warwick

Voto Microby: 8

Preferite: While We Wait, Could It Be, Mind Made Up

Quando si scrive di Dominique Fils-Aimé molti recensori affiancano la sua musica alla triade Billie Holiday-Etta James-Nina Simone. Già di per sé un gran complimento, non fosse che a mio avviso è fuorviante anche se comodo, probabilmente in relazione al fatto che Three Little Words conclude, con un tributo alla musica soul, una trilogia autografa dedicata alla musica afro-americana iniziata nel 2018 con Nameless (rivisitazione del blues) e continuata nel 2019 con Stay Tuned (jazz tribute vincitore del Juno Award). Nei fatti la trentaseienne nata a Montreal da genitori haitiani interpreta con brani originali (eccetto una bella versione di Stand By Me) la musica soul/R&B rifuggendo dal retro-soul ed anzi collocandola nel terzo millennio con spiccata originalità ed enorme classe. Perché invece che inserirsi nel genere nu-soul o alt-R&B o hip-hop (o perfino nell’ottimo bedroom-pop della recente Arlo Parks), la canadese utilizza gli stilemi degli anni d’oro della musica black melodica (il soul Motown) ma anche del rock’n’roll in fasce (i Beach Boys) per arrangiare canzoni belle e nate già con l’aura dell’evergreen. Al centro del progetto sta la voce elegante e duttile della protagonista, che grazie alle sovraincisioni arrangia le composizioni con cori doo-wop, le abbellisce talvolta con parca sezione ritmica, archi e fiati raffinati, e non necessita di chitarre o tastiere per completare un’operazione che rimanda agli anni ’50 risultando insieme contemporanea. Forse più brain & soul che heart & soul come la triade di riferimento iniziale poteva suggerire. Ma è un dettaglio che rende unica la proposta musicale di Dominique Fils-Aimé, il cui futuro è appena sbocciato e si preannuncia di prima classe.

lunedì 26 aprile 2021

Recensione: Lake Street Dive - Obviously (2021)

 LAKE STREET DIVE - Obviously (2021)


Genere: R&B Retro-Soul Indie-Pop Alt-Country


In effetti sono proprio un gruppo difficile da classificare, musicalmente parlando. Da 14 anni,  e dopo 7 album in studio, la band, originariamente formata nel 2004 da studenti che frequentano il New England Conservatory of Music di Boston, sembra uno spin-off della sit-com Friends, guidata da una cantante con radici nel jazz e nel cabaret, con un sound che strizza l'occhio all'Americana, all'R&B, al pop e tutto il resto, ma che non rientra mai esattamente in nessuna di queste categorie.  Inizia con un mix di armonie jazz, pop, soul e la voce di seta e fumo di Rachael Price in “Hypotheticals”, la frizzante influenza R&B di "Same Old News", suonati con una raffinatezza e un senso di dinamica che evocano Aja degli Steely Dan, e prosegue con la chitarra funk e l'assolo di piano elettrico in "Know That I Know”. La band rallenta un pò nelle canzoni finali dell'album, perdendo un pò della sua magia. "Anymore" è un lento ritorno al sax molto anni ’80, mentre "Sarah" è una traccia interamente a cappella che porta l'album a una conclusione austera dopo quello che è stato un inizio così divertente e promettente. 

Quello che ho apprezzato molto di Obviously è come non ci siano due canzoni uguali. Un album interessante e accattivante, che merita sicuramente un ascolto. Da ascoltare: Hypotheticals, Same Old News, Nobody's Stopping You Now. Voto: 1/2




lunedì 19 aprile 2021

BLACK COUNTRY, NEW ROAD (2021) For The First Time


Genere
: Post-rock, Alternative rock

Simili: Slint, June of 44, Can, King Crimson

Voto Microby: 8

Preferite: Instrumental, Athens-France, Sunglasses

La prima domanda sorge immediata già al primo ascolto: come è possibile che un gruppo di quattro maschi e tre femmine appena ventenni sciorini una cultura musicale così vasta ed in disprezzo delle regole del mainstream imperante? L'ensemble di stanza a Londra ma di origine del Cambridgeshire presenta in effetti facce pulite da nerd (tipo Alt-J) ed esibisce idee a profusione supportate da ottima perizia tecnica, per un genere musicale che la richiede. Perchè invece che synth-pop anni '80 i sette musicisti (due chitarre e voce, basso, batteria, tastiere, sassofono, violino) vanno come ogni millennial alla riscoperta delle radici della musica rock e finalmente approdano agli anni '90, gli anni in cui la musica bianca proponeva il grunge ed il post-rock. Ed è a quest'ultimo genere che i nostri si rivolgono, tanto che l'aggancio di stile con Slint e June of 44 appare spontaneo. Il bello è che i magnifici sette non si fermano lì: perchè contaminano il loro post-rock chitarristico con matrici kraut/math rock alla Can, prog (distonico alla Van Der Graaf Generator e avant-prog alla King Crimson), nu-jazz alla The Comet Is Coming, alternative-rock alla Pere Ubu e Tuxedomoon, e ci aggiungono pure influenze klezmer (la musica degli ebrei askenaziti dell'Europa orientale). E lo fanno molto bene. Cresciuti al Windmill di Brixton, pub/live venue epicentro del nuovo movimento art/post-rock (da lì vengono Squid, black midi, Fat White Family, Shame tra gli altri), esibiscono già dalla ragione sociale l'origine del loro approccio dark moderno e schizofrenico alla musica (Black Country è l'area industriale fitta di miniere di carbone, fonderie, acciaierie e ciminiere: una regione inquinata, plumbea, rumorosa ed alienante). Con alcuni membri della band formati presso la prestigiosa Guildhall School, ed altri candidamente autodidatti, i BC,NR propongono sei lunghi brani per 40 minuti di "post-rock soundscapes with jazz-inflected post-punk" (dalla nota stampa della Ninja Tune, etichetta famosa per la produzione di musica elettronica ma che per i BC,NR ha fatto un'eccezione). In effetti se un difetto ai londinesi d'adozione va trovato, oltre ad una certa mancanza di ironia, è che sono una sorta di frullatore di revisionismo moderno: "i BC,NR mischiano talmente tanti suoni, idee ed influenze da suonare come 100% derivativi e come completamente innovativi nello stesso tempo" (Deerwaves). La loro imprevedibilità è ben al di sopra della media di un genere comunque destrutturato come il post-rock, ed esprime tensione, nervosismo, inquietudine, ansia grazie a chitarre spigolose, ritmi spezzati, fiati un po' afro un po' free un po' klezmer ("musica da festa che suona triste" per usare le parole del sassofonista Lewis Evans). L'effetto è fin dall'incipit strumentale trascinante, potente, teatrale, tossico, e lo stesso spoken word (più che canto) di Isaac Wood è sofferto, fragile ed insieme intenso. I suoi testi sono onirici e surreali come da lezione dei generi citati, trattano della circolarità della vita e delle relazioni (e lo stesso intero album ha struttura circolare che si apre e chiude col medesimo tema e suono klezmer), e non mancano del citazionismo spinto da nerd della pop culture. Non di solo post-punk alla Idles, Fontaines D.C., Protomartyr, Viagra Boys, Iceage, Sleaford Mods vive la nuova ondata rock europea. I Black Country, New Road cercano il confronto con il rock intellettuale dello scorso mezzo secolo. For The First Time è un album non perfetto, ma è proposto dalla band finora più sorprendente del 2021.

venerdì 9 aprile 2021

LANA DEL REY (2021) Chemtrails Over The Country Club

 


Genere: Acoustic singer-songwriter, Dark pop

Simili: Hope Sandoval, Jewel, Joni Mitchell

Voto Microby: 7.8

Preferite: White Dress, Wild At Heart, Chemtrails Over The Country Club

Mai avrei pensato di recensire un disco di Lana Del Rey, e meno che meno in termini positivi. Il mélo finto-dolente e molto glamour --ed ovviamente di grande successo commerciale-- di inizio carriera la poneva agli antipodi dei miei interessi musicali. Ma fortunatamente ho commesso l'errore, che ora si dimostra ben ripagato, di ascoltare il suo precedente album Norman Fucking Rockwell!, tra i dischi dell'anno per moltissime testate musicali (e sfuggito alla mia playlist 2019 solo perchè ascoltato fuori tempo massimo per le classifiche). Un lavoro di coraggioso cantautorato pop noir, malinconico e maturo, sofisticato ed intrigante. Chemtrails Over The Country Club certifica che NFR! non è stato un episodio isolato, ma il risultato di un percorso di crescita che ha portato Lana Del Rey a liberarsi degli abiti di scena per vestirsi da francescana, interprete credibile di stati d’animo femminili intimi anzichè sensualmente melodrammatici. Partiture melodiche essenziali, pure, che al primo ascolto appaiono piatte, ripetitive e noiose, ammantate da una voce dalla timbrica monocromatica e dal falsetto strozzato, che tuttavia alla distanza si rivelano adatte allo scopo: vestire un pathos narcolettico alla David Lynch. La povertà degli arrangiamenti è solo finta, giacchè la presenza degli strumenti è ricca ma assai discreta (vedi l’esordio di Matt Berninger), e la confessione di storie personali-e-non è partecipata e sincera. Alla fine l’impressione personale è, fatte le debite proporzioni, quella di una Hope Sandoval che incontra Joni Mitchell nel nuovo millennio. Forse non a caso l’album si chiude con un’eccellente cover di For Free della signora di Laurel Canyon.

giovedì 1 aprile 2021

Recensione: ARLO PARKS - Collapsed in Sunbeams (2021)

 ARLO PARKS - Collapsed In Sunbeams (2021)



Genere: R&B Soul


Ecco il contraltare della già recensita Celeste: Arlo Parks, altra ventenne inglese di Londra del quartiere di Hammersmith ma di origini nigeriane, è stata da molti indicata come artista UK emergente del 2020, con tanto di copertina del NME, Artist of the Year per BBC, endorsement di Billie Eilish e Wyclef Jean, partecipazione in campagne pubblicitarie e serie televisive.

Dopo una manciata di singoli ad impronta prevalentemente folk-soul arricchita da una vena di malinconico intimismo, questo disco, pur restando fedele a quel sound, fa emergere maggiormente il suono R&B e certe influenze jazz nella composizione. 

Il lounge-beat e il giro di basso di “Hurt” potrebbero benissimo uscire da un disco dei Sault, poi si salta all’R&B di “So Good” mentre “Black Dog” ha un andamento più soft, da ballata chitarristica. Si passa attraverso il Trip-Hop portisheadiano di “For Violet” e le ritmiche stile Radiohead di “Caroline” ed “Eugene” (che cita più o meno esplicitamente il periodo “In Rainbows”), fino ad una “Just Go” tenuta su da una bella chitarra dal retrogusto funk. 

La versatilità delle sue ispirazioni fa percepire altre influenze durante l’ascolto del disco: Joan Armatrading, D’Angelo, Gil Scott-Heron, Frank Ocean, Bill Withers.

La voce di Arlo Parks, ariosa anche se forse non particolarmente raffinata riesce a comunicare genuinità, e questo è un altro dei grandi punti di forza di questo sorprendente esordio. E’ nata una stella? Da ascoltare: Cola (lo fi lounge), Too Good, Hope. Voto:




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