Secondo album del gruppo più sorprendente e chiacchierato degli ultimi mesi, non solo in Italia ma anche nel resto del mondo, dove il singolo I wanna be your slave, pezzo di ispirazione RHCP, ha scalato tutte le classifiche, incluse quelle USA. In effetti il lavoro segna nettamente il passaggio della band dalla dimensione della rivelazione X-Factor con un grande successo a livello nazionale a quello di rock band cosmopolita che vuole dimostrare che il rock non è morto, ma anzi prospera proprio perché è diventato un patrimonio dell'umanità, sia di quella dei sobborghi di Liverpool che dei quartieri della media borghesia romana.
Il primo singolo, Zitti e buoni, un pezzo molto energico dal vago sapore glam, ha la sfortuna/fortuna di essere stato conosciuto per la vittoria al Festival di Sanremo e all'Eurovision song contest (molto più sorprendente la prima della seconda). Se ne parla quindi più per il clamore che ha destato che per il fatto che è una gran bella canzone che parla di conflitto generazionale.
Teatro d'ira vol. 1 mostra influenze abbastanza diverse rispetto al precedente Il ballo della vita. Si va dalla struggente, intimista e amara Coraline, alle atmosfere gotiche di La paura del buio (tributo ai mentori Afterhours?), passando per lo stoner de Il nome del padre e il rap di Lividi sui gomiti. Insomma, un lavoro rock'n'roll di una band di ventenni romani che non solo riescono a stare nell'Olimpo mondiale, ma che lo fanno con personalità e originalità derivativa! Scusate se è poco.