martedì 27 luglio 2021

JOHN GRANT (2021) Boy From Michigan

 


Genere: Synth-pop, Indie-rock, Alternative singer-songwriter

Simili: Steve Mason, Steven Wilson, Perfume Genius

Voto Microby: 7.2

Preferite: County Fair, Billy, The Only Baby

Sono sempre stato affascinato e insieme sconcertato, mai indifferente, all’ascolto dei dischi di John Grant, fin dai tempi in cui era leader dei sottovalutati The Czars. Ma soprattutto da quando il bizzarro genio del Michigan si è messo in proprio col debutto Queen of Denmark (2010) , album più amato in Europa che negli States. Amore ricambiato dal momento che Grant ha scelto di vivere molti anni fra Germania, Russia, Inghilterra e Islanda. Da solista Grant ha abbandonato la raffinata miscela di alt-country e dream pop che caratterizzava The Czars (ma anche l’esordio in proprio) per abbracciare il synth pop anni ’80. Decisione sciagurata per la maggior parte dei suoi fans, tuttora riottosi verso i suoni gommosi che guastano le canzoni dell’americano. Guastano, sì: perché anche nei 12 brani di Boy From Michigan ascoltiamo 3-4 belle canzoni, riuscite sia nella scrittura che nella realizzazione, 3 che vorrei pensare pleonastiche (visto che l’album dura 75 minuti) ed invece sono proprio brutte (Best In Me, Rhetorical Figure, Your Portfolio), e le rimanenti che sono compositivamente più che valide ma inutilmente tirate per le lunghe e/o arrangiate in modo a dir poco opinabile, con trionfo di synth e vocoder che forse vorrebbero rifarsi a Kraftwerk ed Einsturzende Neubaten ma che nella pratica risultano pacchiani. Difetto (che evidentemente il nostro non ritiene tale) già esibito nei precedenti album, e che mi fa anche stavolta storcere il naso di fronte all’evidenza del talento sprecato. Peccato perché Boy From Michigan è ad oggi probabilmente il lavoro più romantico ed intimo (nelle intenzioni) della carriera solista del barbuto yankee. Si è scritto che il John Grant di BFM è riuscito a fondere Harry Nilsson con Vangelis, e ritengo l’osservazione pertinente se riferita alle composizioni minori dei due artisti. Nel 2013 su queste pagine chiudevo la recensione di Pale Green Ghosts con una domanda tuttora valida: “Si può rimandare uno studente a settembre con un 7 in pagella? Sì, quando non si tratta di profitto ma di condotta”.

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