mercoledì 10 febbraio 2016

ERIC CHURCH, MARTIN COURTNEY, KURT VILE


ERIC CHURCH (2015) Mr. Misunderstood




Ecco il mio disco ascoltato fuori tempo massimo per le classifiche di fine anno, e che invece si meriterebbe il posto d'onore alle spalle di Joe Jackson. Enrico Chiesa è un 38enne del North Carolina musicalmente attivo dal 2006, finora baciato con pieno merito dal successo sia artistico che commerciale negli USA. Poco conosciuto da noi, è evoluto progressivamente dal contemporary country degli esordi al rock da arena, per tornare attualmente ad un riuscitissimo mix delle due influenze principali, con un ampliamento dei confini al soul sudista, all’americana del centro-sud, allo swamp-funk, senza mai abdicare all’onnipresente spirito da outlaw che lo fa sedere al tavolo con Ryan Adams, Townes Van Zandt, Joe Ely, Steve Earle, Ray Wylie Hubbard, Zac Brown, Waylon Jennings, Willie Nile e compagnia bella. Ma non lo perda anche chi ama Bruce Springsteen, Van Morrison, Bob Seger, Warren Zevon. Bella voce, chitarre calde ed assoli misurati, sia acustici che elettrici, rifiniture di pianoforte alla Asbury Park Sound, cori soul ma soprattutto una scrittura eccellente, splendida nelle ballate. Album country-rock dell’anno.
Voto Microby: 8.7
Preferite: Mistress Named Music, Chattanooga Lucy, Round Here Buzz


 
MARTIN COURTNEY (2015) Many Moons



Il leader dei Real Estate si prende una vacanza dal gruppo madre senza allontanarsi musicalmente dalla band (contrassegnata come è dalla sua voce e dal suo jingle-jangle chitarristico cristallino e semiamplificato), mentre lo fa geograficamente (dal New Jersey sposa sonorità West Coast che intersecano Beach Boys, The Byrds ed i Beatles più sognanti) e cronologicamente (la California di fine anni ’60, solo filtrata dalla lezione di Go-Betweens e Yo La Tengo). Più power-flower pop da coca-cola e al massimo cannabis (in quantità moderata) che non l’acid-rock californiano di Jefferson, Grateful e Quicksilver. Con melodie appiccicose ma che non saturano mai, e la proposta di un sogno fuori tempo che però non vorresti finisse mai. Lieve, coccolante, sereno, rilassante, con il trascurabile limite di non essere diverso dai lavori dei Real Estate (e dei Woods).
Voto Microby: 7.8
Preferite: Northern Highway, Foto, Little Blue





KURT VILE (2015) B'lieve I'm Goin' Down...



Più che cronologicamente, sono ormai lontani artisticamente i tempi dei The War On Drugs condivisi con il sodale Adam Granduciel, ed il musicista di Philadelphia è cresciuto di album in album (questo è il sesto da solista) fino ad affermare il suo cantautorato folk sospeso tra i ’60 ed i ’70 ibridato con l’indie-rock dei ‘90, con melodie mai così pop e note che non rinunciano alla psichedelica più lieve, così come una scrittura che non si allontana mai del tutto dalla metropoli. Fa sognare ma con i piedi per terra, e riesce ad essere insieme bucolico ed acidulo, tanto da sembrare sempre più imparentato (grazie anche al timbro vocale lievemente nasale ed alla prosodia indolente) con Robyn Hitchcock ed il primo Joseph Arthur. Alcuni brani sono troppo dilatati e, con l’esordio del pianoforte nei suoi dischi, aumenta lo spazio per le parti strumentali. In ogni caso è il suo lavoro ad oggi più riuscito, ma con ampi margini di miglioramento nel DNA.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Pretty Pimpin, Wheelhouse, Dust Bunnies







 
 

1 commento:

lucaf ha detto...

Quello di Eric Church è proprio un bel disco. Mi ricorda il primo lavoro di Amos Lee: un tessuto country condito da blues-rock.

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