Come già sottolineato in tempi passati, ho una particolare predilezione per gli artisti svedesi. In modo particolare per Jay Jay Johanson, che apprezzo ormai da molti anni per il suo inconfondibile stile, misto di triphop (alla Portishead, per intenderci) ed indie pop. Il suo primo disco "Whiskey", del 1998, è in assoluto uno dei miei preferiti, con quegli arrangiamenti un pò jazz e un pò noir immersi nel suo caratteristico elettropop. Nel corso di vari anni le sue influenze hanno toccato il jazz, la bossa nova ed il funky, il tutto condito con una buona dose di elettronica, che però mai prende noiosamente il sopravvento come spesso capita negli artisti che ne fanno largo utilizzo. Non c'è dubbio che in questo suo ultimo lavoro sia tornato a melodie più rarefatte ed intimiste, quasi psichedeliche: ma ciò che più di tutto affascina è senz'altro la sua voce così profondamente malinconica ed espressiva, supportata da atmosfere musicali eleganti ed ipnotiche.Da segnalare "Suicide is painless", "On the other side" e "Shadows".
Voto: ☆☆☆☆ (elegante)
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1 commento:
Ho riascoltato JJJ solo dopo la tua recensione. L'avevo abbandonato dopo un percorso artistico (per me) in calando, ed un po' troppo furbo nell'adattarsi di volta in volta all'hype del momento (dall'english pop dei primi 2 lavori Whiskey e Tattoo, che me lo avevano fatto piacere, ai successivi trip-hop/funky ed il crollo con la dance elettronica che mi aveva fatto chiudere il suo capitolo). Ora continua ad essere furbo, infilandosi nel trend cantautorale intimistico, morbido e soffuso, ma quantomeno piano acustico/wurlitzer e voce sussurrata sono più adatti sia alle sue che alle mie corde, e si riallacciano ai vari Maximilian Hecker/Ed Harcourt/Cass McCombs/Thomas Dybdahl... Concordo sulle tue preferite. Un po' debole e ripetitivo nella seconda parte, così alla fine per me è un 6.8/10.
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