martedì 4 ottobre 2011

THE WAR ON DRUGS (2011) Slave Ambient


Sembrava già allo sbando dopo il notevole esordio datato 2008 (Wagonwheel Blues, finito dritto nella mia top ten dell’anno) il gruppo di Philadelphia fondato nel 2003 da due fans di Bob Dylan, i chitarristi e vocalists Adam Granduciel e Kurt Vile. Invece, persi 2 anni fa 3/5 del gruppo (tra cui Vile, autore quest’anno di un buon esordio di cantautorato urbano tra Lou Reed e Johnny Thunders), Granduciel e i nuovi sodali hanno partorito una seconda prova che certifica che l’unione Vile-Granduciel faceva la forza.
Le belle composizioni dell’esordio, che tentavano un improbabile ma riuscito connubio tra Dylan (complici le voci dei 2, simili a quella del menestrello di Duluth) e lo shoegaze dei ‘90, vengono nel nuovo lavoro ribadite senza però un sicuro orientamento stilistico, ed oltretutto soffrendo una globale arcadefireizzazione del suono che dimostra (oltre alla sempre maggiore influenza degli Arcade Fire sul panorama rock attuale) una preoccupante carenza di personalità. Così le sonorità si presentano sature, il feedback chitarristico è predominante, le atmosfere risultano intense e drammatiche, prendendo respiro solo quando il Dylan di Time Out Of Mind flirta con il Paisley Underground (I Was There che rimanda ai Green On Red, o Brothers che ricorda lo Steve Wynn acustico).
Non mancano riferimenti ai Velvet Underground e alla psichedelia elettrica, ma quando i due brani migliori sembrano inediti di U2 (Come To The City) o di una collaborazione tra Arcade Fire ed il Boss di Darkness (Baby Missiles), ci si rende conto che ciò che manca veramente a Slave Ambient è una messa a fuoco.
Peccato, aspettavo il capolavoro ed invece Vile e Granduciel finiscono in parità: 7 – 7, dopo 2 buone partite in cui le squadre si sono impegnate ma non hanno offerto spunti esaltanti.

Preferite: Come To The City, Baby Missiles, Brothers

Voto Microby: 7/10

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