Visto che i Maya ci hanno risparmiato ed inizieremo il nuovo anno con la consueta Classifica dei migliori albums del 2012, mi pare un buon viatico per il 2013 buttare dal balcone, come fanno a Napoli la notte di San Silvestro, i dischi pubblicati nel 2012 da gruppi/solisti che amiamo, e dai quali pretendiamo più che un semplice compitino mandato a memoria o prove scialbe/poco ispirate.
Quelli che seguono sono rospi che ho poco digerito...
Aspetto segnalazioni di cattive digestioni anche dagli altri bloggers, augurando a tutti per il 2013 pranzi luculliani per quantità e qualità, in ogni anfratto di vita!
MARK LANEGAN BAND (2012) Blues Funeral (A 8 anni da Bubblegum sembra che la vena artistica del nostro si sia prosciugata, forse assorbita dai mille progetti collaterali. Di fatto non basta possedere una delle voci più belle del rock per salvare un lavoro che si barcamena tra pasticci hard rock, blues stanchi, ballate confuse, rabbia finta e batteria (drum-machine) altrettanto. Il suo peggior album di sempre, collaborazioni comprese) 6.3/10
CAT POWER (2012) Sun (Al primo album di canzoni autografe dopo 6 anni l’americana Chan Marshall, una delle cantautrici più stimate della sua generazione, prova a cambiare registro con arrangiamenti elettronici, drum machine, loop sintetici, chitarre taglienti e fredde ed il missaggio di Zdar (Cassius e Phoenix). La solita voce calda e malinconica di Chan prova a scaldare il tutto, ma non basta per un lavoro privo di grande ispirazione e con una produzione (la prima in proprio) ancora acerba) 6.9/10
RYAN BINGHAM (2012) Tomorrowland (Primo passo falso per l’eroe di Mescalito, che vira decisamente dal country al rock ma sbaglia produzione: nella ricerca di un suono pieno deborda nel tronfio, energico nell’eccessivo, potente nel ridondante, elettrico nell’hard. Al solito bellissima la voce, cartavetrata e calda. Ma da sola non basta) 6.5/10
WOVENHAND (2012) The Laughing Stalk (Il predicatore “mani giunte” cristiano David Eugene Edwards, sciolta da tempo l’esperienza 16 Horsepower, le cui belle tonalità dark-alt.country risultavano per gli altri membri della band troppo infarcite di testi biblici, prosegue imperterrito la sua vocazione mistico-catartico-redentrice, quasi fosse un Jim Morrison liturgico, e negli ultimi albums propone scalette quasi interamente dedicate alla gloria di Dio, purtroppo abbandonando banjo, slide e gli umori sudisti a favore di un suono martellante, cupo e percussivo, in cui l’elettricità diventa distorsione/dissonanza, perfetta se si evoca l’apocalisse ma noiosa se ciò che si cerca non è un sermone, in cui a fatica si distingue un brano dall’altro, non solo per l’assunto ma anche per varietà di temi musicali. Triste deriva, se penso che il bellissimo Consider The Birds nel 2004 era stato il mio disco dell’anno) 6/10
MUSE (2012) The 2nd Law (Esordito come riuscita ed originale fusione tra glam, prog ed elettronica, il gruppo inglese ha progressivamente perso il controllo del progetto che al sesto album suona come una parodia di sé stesso, confuso tra magniloquenza alla Queen ma incontrollata, epica alla U2 ma tronfia, elettronica becera alla Rockets. Salvo il genio, compositivo ed esecutivo, del leader Matthew Bellamy, gli arrangiamenti sarebbero totalmente da rifare. Non rassicura il fatto che, più che lo scivolone di un singolo album, sembra la china imboccata da almeno 3 lavori. Urge un colpo d’ala, che la band ha nel suo DNA) 6.7/10
PAUL BANKS (2012) Banks (Aveva già esordito con l’aka Julian Plenti, il cantante degli Interpol che in quest’album si propone con la vera identità, ma non cambia il prodotto finale, un pop-rock lontano dal neo-dark della band-madre, con frequenti cambi di ritmo e melodia nella medesima canzone, ma senza una precisa direzione né spunti di rilievo, se si eccettua la bella voce baritonale del protagonista) 6.7/10
1 commento:
Non ero pronto così presto a dilungarmi sulle delusioni, che sono state tante (in un'annata peraltro niente male). Prometto che mi darò da fare.
Posta un commento