giovedì 1 ottobre 2015

Rencensioni: Ben Folds, The Phoenix Foundation, Jackie Greene

BEN FOLDS - So there (2015)
Sappiamo che Ben Folds è sempre stato interessato a collaborazioni di ogni genere: dopo quella con Nick Hornby di Lonely Avenue del 2010 in questo nuovo album la partnership è con la Brooklyn Chambers Ensemble per una serie di “chamber rock songs” e con la Nashville Symphony Orchestra per alcuni movimenti (Concerto per piano e orchestra) di impronta Gershwinesca. E’ superfluo sottolineare che i brani più interessanti sono proprio quelli pop con le splendide “Capable of Anything”, “Not a Fan” e “Phone in a Pool”. Voto: ☆☆☆1/2.


THE PHOENIX FOUNDATION - Give up your dreams (2015)
Sesto album in quasi 20 anni di carriera per il gruppo neozelandese, un mix di power-pop, psichedelia west-coast ed elettronica, per una sorta di techno-country molto originale ed intrigante. Rispetto ai precedenti lavori la differenza sta proprio nella sostanziale assenza di strumenti acustici in favore di una gagliarda sezione ritmica che va a rafforzare le loro divagazioni psych-rock alla Fleet Foxes o i cori alla Polyphonic Spree. Una menzione al titolo geniale di un brano (“Bob Lennon John Dylan”). Album discreto. Voto: ☆☆☆





JACKIE GREENE - Back to birth (2015)
Questo suo ottavo lavoro, a 5 anni dal precedente, è stato prodotto da Steve Berlin dei Los Lobos, già in verità coinvolto nei precedenti American Myth e Giving Up The Ghost. Durante quest'intervallo è stato il chitarrista dei Black Crowes (rimpiazzando Luther Dickinson) e ha collaborato con Chris Robinson, Bob Weir e Joan Osbourne.

I suoi primi dischi erano improntati soprattutto al folk ed all’acustica ma a partire da American Myth il suo piglio da rocker ha decisamente avuto il sopravvento, facendoci ricordare il migliore John Mellencamp. Un disco appassionato, limpido, rootsy, ricco di blues-soul e di groove a tratti southern-rock. Voto: ☆☆☆☆

1 commento:

microby ha detto...

BEN FOLDS: Anche a me piace questo artista che sfugge agli schemi, eclettico ma sempre di qualità. Anche in quest'ultimo album, che ho approcciato con un po' scetticismo per la presenza dei 3 brani-concerto per piano e orchestra (vabbè la formazione classica, ma i tentativi riusciti di fusione rock-classica in passato si contano sulle dita di una mano...). Invece, nonostante gli 8 brani più "tradizionali" siano proclamati dallo stesso autore "chamber pop" mentre da lì partono ma per poi lambire abbondantemente il "pop orchestrale", il risultato non è niente male, fresco ed originale, e cresce con gli ascolti. Continuano a non c'entrare nulla gli ultimi 3 movimenti orchestrali, ma tendo a considerarli dei bonus tracks...
Voto Microby: 7.5
Preferite: Capable of Anything, So There, Phone In A Pool

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