sabato 30 gennaio 2016

Top 'l55 2015. La classifica delle classifiche.

Per riassumere le classifiche dei vari cobloggers ecco la classifica generale dei migliori album del 2015.



01 JOE JACKSON – Fast Forward (146 pts)
02 BENJAMIN CLEMENTINE – At Least For Now (88 pts)
03 GLEN HANSARD – Didn't It Ramble (72 pts)
04 WARREN HAYNES & RAILROAD EARTH – Ashes & Dust (62 pts)
05 SUFJAN STEVENS – Carrie & Lowell (50 pts)
05 FRANCESCO DE GREGORI – Amore e Furto (50 pts)
05 JOVANOTTI – Lorenzo 2015cc (50 pts)
05 THE LONDON SOULS - Here comes the Girls (50 pts)
09 DESTROYER – Poison Season (46 pts)
10 GRETCHEN PETERS – Blackbirds (46 pts)

giovedì 28 gennaio 2016

RYAN ADAMS, DAVE HEUMANN


RYAN ADAMS (2015) 1989




Ryan Adams reinterpreta integralmente il recentissimo (2014) 1989 della popstar Taylor Swift (!!) e dimostra almeno 3 assunti: 1) un deciso coraggio commerciale, affrontando il rischio di urtare sensibilità e pazienza dei propri fans, non certo allineati al teen-pop della star MTV 2) che la stessa Taylor Swift sa scrivere belle canzoni, perché con queste è costruito già il suo 1989 3) che è più l’arrangiamento che non la scrittura a definire il genere di una canzone: là dove 1989 di TS è un album pieno di hooks che ne fanno un perfetto disco di pop mainstream, 1989 di RA sembra appartenere alla storia del singer-songwriter maestro di “americana”. Eccetto quindi un paio di brani difficilmente adattabili alla logica di Adams, il progetto è riuscito contro ogni previsione, e godibile in più di un episodio. Non nuovo ad esperimenti simili (ha coverizzato per intero, senza mai pubblicarlo, Is This It?, il primo album degli Strokes), Adams conferma di essere un bizzarro purosangue che è un peccato imbrigliare.

Voto Microby: 7.7

Preferite: Bad Blood, Welcome To New York, Out of The Woods



DAVE HEUMANN (2015) Here In The Deep



Presa una pausa di riposo dal gruppo, il leader indiscusso, songwriter e polistrumentista degli Arbouretum si circonda di vecchi amici musicisti e con la produzione di John Parish (P.J. Harvey) licenzia un album che tenterebbe di smarcarsi dallo psych-folk-rock della band madre. Senza riuscirci granchè in termini di scelta stilistica, dal momento che sì, il prodotto finale è meno acid/stoner e soprattutto meno psichedelico rispetto agli Arbouretum, più orientato com’è al folk-rock di discendenza Richard Thompson/Fairport Convention, ma la chitarra e la voce di Heumann sono troppo caratterizzanti per non considerarle identificative del piatto finale. Che risulta non originale ma qualitativamente appagante, come dei Fairport più rock o un Thompson più psichedelico, senza tuttavia il genio sincretico dei primi e chitarristico del secondo.
Voto Microby: 7.4
Preferite: Ends of The Earth, Cloud Mind, Here In The Deep












 

sabato 23 gennaio 2016

Top 'l55 del 2015. 10 brani country-folk da ricordare

Ben conoscendo la mia predilezione per il genere folk-country-americana-alt.country mi perdonerete questa lista dei 10 brani che più mi hanno entusiasmato nell' anno 2015. Magari è l'occasione per farne una playlist a futura memoria.....

















giovedì 21 gennaio 2016

David Bowie - Five years



anno: 2013   
regia: WHATELY, FRANCIS  
genere: documentario  
con David Bowie, Rick Wakeman, John Harris, Ken Scott, Mick Ronson, Charles Shaar Murray, Trevor Bolder, Angie Bowie, Camille Paglia, Ava Cherry, Carlos Alomar, Luther Vandross, Nelson George, Robin Clark, Geoff MacGormack, Russell Harty, Earl Slick, Dennis Davis, Brian Eno, Tony Visconti, Robert Fripp, David Mallet, Nile Rodgers, Carmine Rojas    
location: Germania, Regno Unito, Usa
voto: 7  

Five years è una delle più celebri canzoni di David Bowie, artista poliedrico, spiazzante, innovativo. E cinque sono anche gli anni sui quali si concentra questo riuscitissimo documentario di Francis Whately, che su quella cinquina di punti cardine imbastisce la ricostruzione della traiettoria umana e artistica del protagonista. Il primo è l'anno tra il 1971 e il 1972, quello delle provocazioni di Hunky Dory, dell'accentuazione dell'ambiguità sessuale appena dopo aver pubblicato un disco nel quale compare vestito da donna à la Lauren Bacall, e del suo nuovo alter ego, Ziggy Stardust, a confermare, con Starman, la vena "spaziale" della sua arte dopo brani come  Life on mars e Space oddity. E poi l'entrata nella factory di Andy Warhol, la fama mondiale, i concerti sold out, le droghe. Il secondo anno è quello a cavallo tra il '74 e il '75, quello della svolta tra rhythm'n'blues, funky e disco, con la regia di Tony Visconti, la collaborazione di John Lennon (Fame e Across the universe) e la chitarra di Carlos Alomar, sempre sorridente davanti alla cinepresa. È l'anno della popolarità assoluta, raggiunta con Young americans, mentre gli eccessi della cocaina lo portano a pesare 45 chili. E ancora una metamorfosi, l'alter ego che gli rimarrà incollato più a lungo: quello del Duca Bianco. Con esso, l'ennesimo ondeggiamento dal soul bianco del disco precedente al funky e al krautrock di Station to station. Ormai raggiunto l'apice della popolarità mondiale, Bowie spiazza per l'ennesima volta (e sarà tutt'altro che l'ultima) pubblico e critica chiamando a sé quei due geni mattacchioni di Robert Fripp e Brian Eno. Da lì parte la cosiddetta "trilogia berlinese" (1977). Chiunque altro, al suo posto, avrebbe cavalcato l'onda della popolarità planetaria. Lui no. Lui sterza bruscamente verso una musica fortemente avanguardistica, facendo storcere il naso a frotte di giornalisti costretti, a distanza di anni, a cospargersi il capo di cenere. Quarto anno: 1979-1980. sugli scaffali dei negozi di dischi arriva Scary monsters, l'album che contiene Ashes to ashes e Fashion, ma l'insaziabile fame di espressione artistica di Bowie non si ferma e così, dopo avere interpretato al cinema la parte di un alieno per Nicolas Roeg (L'uomo che cadde sulla terra), stupisce tutti con una performance teatrale da brividi, mettendo il suo corpo esilissimo a servizio di un personaggio difficile come Elephant man, al quale regala una memorabile invenzione vocale. Siamo all'ultimo anno, il 1982/83 e Bowie vuole dire la sua anche sulla dance. Quale scelta migliore, allora, di un album che si intitola, programmaticamente, Let's dance? La carriera della popstar britannica, lo sappiamo, è andata avanti, sempre spiazzante, facendo spallucce alle richieste di mercato e carta stampata. E il documentario - tra un impressionante corredo di immagini di repertorio spesso inedite, interviste davvero memorabili che raccontano la genesi di alcune canzoni e il clima in studio (imperdibili gli interventi di Rick Wakeman sulle trovate geniali di Bowie nella composizione di Life on Mars e le risposte esilaranti di Fripp) - restituisce un ritratto a tutto tondo che non scade nell'agiografia e che si conclude all'indomani dell'ennesima trovata imprevedibile del Duca Bianco, sparito dalla circolazione nel 2007 e che, dopo la pubblicazione di The next day, nel 2013, non rilascia neppure un'intervista. "Abbiamo una bella vita", gli mormora la moglie mentre si trovano al supermercato. "Sì, abbiamo una bella vita".   

Top 'ol55 del 2015: classifica Microby e LucaF


MICROBY

01 JOE JACKSONFast Forward (9.2)
02 DESTROYER – Poison Season (8.5)
03 BENJAMIN CLEMENTINE – At Least For Now (8.5)
04 THE WATERBOYS – Modern Blues (8.5)
05 ALLISON MOORER – Down To Believing (8.5)
06 GLEN HANSARD – Didn’t He Ramble? (8.5)
07 HALF MOON RUN – Sun Leads Me On (8.5)
08 XAVIER RUDD & THE UNITED NATIONS – Nanna (8.5)
09 PATRICK WATSON – Love Songs For Robots (8.3)
10 BETTYE LaVETTE – Worthy (8.2)


LUCAF

Joe Jackson - Fast Forward
Benjamin Clementine - At least for now
Dawes - All your Favorite Bands
4° Tame Impala - Currents
5° The Unthanks - Mount the air
6° Rhiannon Giddens - Tomorrow is my Turn
7° Glen Hansard - Didn't it Ramble
8° Chris Cornell - Higher Truth
9° Warren Haynes & Railroad Earth - Ashes and dust
10° Jackie Greene - Back to birth


lunedì 18 gennaio 2016

Top 'ol55 2015: classifiche "dalla capitale" (Barabbovich + Cerebus)

BARABBOVICH
1°Francesco De Gregori (2015) De Gregori canta Bob Dylan. Amore e furto
2°Jakob Bro (2015) Gefion
3°Sokratis Sinopoulos (2015) Eight winds

4°Sinikka Langeland (2015) The Half-Finished Heaven
5°Ketil Bjornstad (2015) Images
6°Jack Savoretti (2015) Written In Scars
7°Michel Godard (2015) A serpent's dream
8°Soren Dahl Jeppesen (2011) Red sky
9°Kenny Wheeler (2015) Songs for Quintet
10°Bruno Sanfilippo (2014) ClarOscuro





CEREBUS
1) The London souls - Here come the girls
2) Iron maiden - The book of souls
3) Dead shrimp - How big is your soul
4) City and colour - If I should go before you
5) Noel Gallagher - Chasing Yesterday
6) Panda Bear - Meets the grim reaper
7) Avishai Cohen Trio - From Darkness
8) Dead Weather - Dodge and burn
9) The Leisure Society - The fine art of hanging on
10) John Grant - Grey tickles, black pressure

domenica 17 gennaio 2016

Top 'ol55 del 2015: classifica di El Cumenda

1° Jovanotti - Lorenzo 2015cc
2° Warren Haynes - Ashes and dust
3° Chris Stapleton - Traveller
4° Kamasi Washington - The Epic
5° Duran Duran - Paper Gods
6° Chemical Brothers - Born in the Echoes
7° Randy Bachman - Heavy Blues
8° The Sword - High Country
9° Todd Rundgren - Global
10° Sonny Landreth - Bound by the Blues

sabato 16 gennaio 2016

Top 'ol55 del 2015: classifica di Fabius

1° Sufjan Stevens - Carrie & Lowell
2° Joe Jackson - Fast Forward
3° Gretchen Peters - Blackbirds
3° (ex aequo)  The Zombies - Still got Than Hunger
5° Jimmy LaFave - Trail four
6° James Mcurtry - Complicated Games
7° David Knopfler - Grace
8° Glen Hansard - Didn't it Ramble 
9° Blitzen Trapper - All Across the Land
10° Jamie Lawson - Jamie Lawson

giovedì 14 gennaio 2016

Top ol'55: la classifica del 2015. Riflessioni.

Da sempre mi diverte molto stilare delle classifiche dei dischi migliori dell'anno e l'appuntamento con il primo numero dell'anno delle riviste specializzate è sempre stato in passato un momento di confronto e di approfondimento sulle uscite musicali dell'anno. E' sempre stata anche l'occasione di scoprire dischi che non avevo ascoltato e, inquadrando magari il gusto del singolo recensore, riuscivo a farmi un'idea della scena musicale. Oggi però mi sembra tutto un po' più complicato un po' per l'avvento di numerosi blog specializzati, poi per la mancanza di una vera scena musicale che possa rendere coerenti le varie liste che si leggono ovunque.
Prima di pubblicare le liste dell'anno, quello che mi sento di ricordare del 2015 è che ormai siamo davvero davanti alla rivoluzione della musica intesa come supporto artistico. I dischi fisici ormai non ci sono quasi più ed il loro acquisto è ormai appannaggio degli ultracinquantenni come me, ancora legati al possesso fisico del supporto, con la sua copertina, le sue fotografie, i testi.  Ormai gli LP e i CD sono stati sostituiti dalla musica liquida, dallo streaming di Spotify o Apple Music.  E pensare che il mio primo disco lo acquistai nel 1976 (Ullalla di Venditti e un po' me ne vergogno anche se il secondo fu The Dark Side of the Moon e quindi mi ero ampiamente riscattato...): nella mia camera i dischi giravano su un piatto Technics (qualche anno dopo su un Thorens con testina Shure). A partire da allora ho comprato una valanga di vinili e cd ed ancora oggi gli amici sorridono davanti alle pareti rivestite da dischi ordinatamente disposti e conservati. Ascolto musica ogni momento che posso (con sconcerto ho calcolato di avere ascoltato circa 700 dischi solo nel 2015) ed in casa il silenzio è impossibile perché lo stereo o le casse B&W attaccate all'iMac sono sempre in funzione.  Addirittura non mi dispiace passare il tempo in macchina perché posso mettere a canna la musica senza disturbare ed essere disturbato.
Ecco perché non me la sento ancora di attraversare il Rubicone e passare allo streaming ed ancora nei miei viaggi annuali in USA e a Londra me ne torno con la valigia piena di CD e vecchi vinili (anche se in queste due città i negozi di dischi si contano sulle dita di una mano). Non so tuttavia per quanto tempo andrò avanti sia perché ho sempre avuto la passione per la tecnologia e poi anche perché i miei figli non sembrano essere interessati più di tanto ai supporti fisici ma amano ascoltare la musica sugli iPod peraltro senza mai organizzarla per dischi completi ma per playlists. Praticamente un po' come facevo io con le vecchie cassette C90 o, successivamente, con i CD masterizzati.
Scusate il pippone ma la scomparsa di David Bowie e di ciò che ha rappresentato per la musica mi ha un po' scombussolato il cervello.  Le classifiche nei prossimi giorni. Buona lettura.

lunedì 11 gennaio 2016

DAVID BOWIE, RUBY AMANFU


DAVID BOWIE (2016) Blackstar


Non amo per vocazione fare il bastian contrario, ma recensendo l’ultimo album di Bowie so di schierarmi contro la critica che scrive quasi unanimemente di capolavoro. Che a mio parere non è per un motivo molto semplice: non è innovativo. Né è migliore di altri lavori (anche suoi) non rivoluzionari ma eccellenti nella scrittura, produzione ed esecuzione. Pubblicato l’8 gennaio, giorno del suo 69° compleanno, riceve la spinta dai brani Sue e ‘This A Pity She Was A Whore, due (ottimi) scarti del precedente The Next Day: come in quest’ultimo il suono è saturo, la voce spesso riverberata, ma il tiro non è propriamente rock. Certo non jazz, come sostenuto da molti: perché lo sia non basta aver recentemente collaborato con l’orchestra jazz di Maria Schneider ed essersi circondato per la realizzazione di Blackstar di artisti di estrazione jazz (la resa tecnica è comunque eccezionale: su tutti il sax di Donny McCaslin e la batteria di Mark Guiliana). Il risultato finale, comunque da applauso, concettualmente non è nulla che non abbiamo già ascoltato nelle differenti declinazioni frippiane dei King Crimson, o ancora prima in molte schegge krautrock o della scena Canterbury, o dopo in intuizioni dei Radiohead post-OK Computer o nell’attività del David Sylvian post-Japan. Il tutto filtrato dalla trilogia berlinese, Lodger e Sound+Vision del camaleontico duca bianco. Unico, geniale nel tastare il polso musicale del presente e nell’intuirne gli sviluppi futuri. Ma, come sostenuto (troppo modestamente) da cotanta mente già nel 1972: “Sono soltanto una collezione di idee di altre persone”.
Voto Microby: 7.8
Preferite: ‘This A Pity She Was A Whore, Lazarus, I Can’t Give Everything Away



RUBY AMANFU (2015) Standing Still



Ha finora raccolto meno successo di quanto meritasse la nativa ghanese ma cresciuta a Nashville. Al terzo album dall’esordio nel 1999, compreso un duo roots-soul Sam & Ruby nel 2005, nonostante sia anche autrice si propone qui in veste di interprete di brani altrui (strepitosa la versione di Not Dark Yet di Bob Dylan), con un’anima soul che non lascia spazio alle viscere. Nulla richiama la vicina Memphis e i suoni Stax/Motown, abbiamo piuttosto un lavoro di sottrazione in termini di arrangiamenti come se fosse una novella Roberta Flack prodotta da Daniel Lanois con un progetto simile a quello realizzato con i Neville Brothers negli ’80. Timbro vocale morbido, ovattato, trattenuto nonostante la bella estensione, delicato tappeto sonoro di piano elettrico, pedal steel guitar e percussioni gentili per un soul-pop moderno, equidistante dal soul classico e dal nu-soul, ma con le caratteristiche dell’evergreen.
Voto Microby: 7.7
Preferite: Not Dark Yet, Shadow On The Wall, Anyone Who Knows What Love Is
 

TOM McRAE, COURTNEY BARNETT


TOM McRAE (2015) Did I Sleep And Miss The Border




Settimo album per questo cantautore tra i primi (e sempre tra i migliori) del millennio ad aprire il filone intimistico-confessionale, inglese dell’Essex ma operativo tra Londra e Los Angeles. In questo concept-album sulla corsa all’oro americana sfociata nella deriva materialistica del capitalismo, McRae apre le proprie influenze artistiche, da sempre sospese tra Nick Drake ed Elliott Smith, a Micah P. Hinson e Tom Waits, con le contaminazioni cameristiche del primo e quelle da crooner notturno del secondo, ma con un humus più ricco di Guthrie e Dylan che di jazz. Altro centro, da raccomandare tuttavia a chi ama le atmosfere crepuscolari e le nuances malinconiche, e non a chi ascolta la musica in auto o come sottofondo per altre attività. Do not sleep and miss this album!

Voto Microby: 7.7

Preferite: My Desert Bride, Lover Still You, The Dogs Never Sleep



COURTNEY BARNETT (2015) Sometimes I Sit And Think, And Sometimes I Just Sit


Buon debutto per questa 24enne cantautrice elettrica australiana che già con due EP precedenti aveva sollevato interesse ed aspettative. Nulla di rivoluzionario, chè la matrice iniziale risale al garage-rock dei Velvet Underground, si plasma col talking rock del Lou Reed di fine seventies, e si contamina col rock ruvido di P.J. Harvey, Sleater-Kinney e Nirvana. Ma non c’è solo cantautorato urbano livido di desolazione e rabbia (una sorta di Jim Carroll in gonnella), ma anche aperture melodiche e la ricerca di dare più varietà ai contenuti musicali, dal momento che la voce ha un timbro colloquiale ma monocromatico. I numeri ci sono, anche per uscire dal circuito underground, ma ora il secondo e terzo album peseranno come una trappola potenzialmente letale. Aspettiamo fiduciosi.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Elevator Operator, Pedestrian At Best, Depreston










 

sabato 2 gennaio 2016

Recensioni: City and Colour, Duncan Sheik, Cutting Crew

CITY AND COLOUR - If I should go before you (2015)
Prima di diventare un apprezzato musicista folk-rock, con lo pseudonimo City (Dallas) and Colour (Green), il canadese Dallas Green era la mente della band picchia-duro Alexisonfire con tanto di tatuaggi, borchie e amenità varie.  Messa da parte la sua gioventù post-hardcore ha virato a 180° verso uno stile cantautorale che ha fatto e fa storcere il naso alla gran parte della critica radical-chic. Dopo un paio di lavori sicuramente opachi, ha smesso di ammiccare troppo a Sufjan Stevens o Justin Vernon, trovando la sua autonoma collocazione musicale, secondo una caratteristica del tutto unica:  con armonie stripped-down, grezze e apparentemente banali riesce comunque a confezionare composizioni di grande qualità. Così anche per questo suo quinto lavoro solista: armonie ariose, lievemente bluesy, ritmi vagamente gospel-soul, una voce così sottile da ricordare quella di Ion Anderson. Un disco semplice e toccante. Da ascoltare: Northern Blues, Wasted Love, Lover Come Back. Voto: ☆☆☆1/2



DUNCAN SHEIK - Legerdemain (2015)
DS da 20 anni e 8 album ci ha abituato ad un folk-pop di grande classe, passando dal commerciale hit “Barely Breathing” del 1996 ad un percorso via via sempre più avventuroso e teatrale (indimenticabile la colonna sonora, peraltro di grande successo, per lo spettacolo off-Broadway “Spring Awakening” a cui ho avuto la fortuna di assistere). In questo ultimo lavoro, pur in una struttura musicale tradizionale, DS preoccupandosi poco del potenziale commerciale, si cimenta dapprima con un’elettronica beat anni ‘80 per poi virare a 180° verso un sommesso minimalismo acustico che ricorda Nick Drake o Elliott Smith. Inutile dire che è proprio la seconda parte dell’album quella più convincente, con la messa a fuoco sulle sue brillanti capacità di songwriter ed il sopravvento del suono più “tradizionale” ed acustico. Un disco fluttuante, ambizioso, quasi metafisico, come sempre geniale. Da ascoltare: Brutalized, No Happy End, Hey You. Voto: ☆☆☆1/2



CUTTING CREW - Add To Favourites (2015)
Come molti appassionati cresciuti musicalmente a cavallo tra gli anni ’70 ed ’80 mi ero completamente dimenticato dei Cutting Crew, band inglese i cui hit hanno fatto parte del movimento new wave allora in gran voga.  I CC conobbero un grande successo commerciale nel 1986 con l’album Broadcast soprattutto grazie al pop-rock di “One for the Mockingbird” ed alla strappamutande "I've Been In Love Before”. Da lì in poi persero lucentezza ed entusiasmo fino a separarsi pochi anni dopo.  Nel 2005 il cantante/chitarrista Nick Van Eede rimise in piedi la band senza l’apporto del cofondatore Kevin MacMichael, morto qualche anno prima, pubblicando “Grinning Souls”, disco assai diverso dalle produzioni precedenti e ricco invece di influenze blues-rock, country e R&B. Quest’ultimo album rappresenta un’ulteriore interessante evoluzione verso atmosfere country-folk ricordandoci Soul Asylum, Counting Crows, Chris Isaak, Van Morrison e Stone Temple Pilots. Da ascoltare: San Ferian, Till The Money Runs Out, (She Just Happened To Be) Beautiful. Voto: ☆☆☆1/2



venerdì 1 gennaio 2016

Amy - The girl behind the name

anno: 2015   
regia: KAPADIA, ASIF    
genere: documentario    
con Amy Winehouse    
location: Regno Unito
voto: 3
 
Personaggio tragico, popstar del soul bianco vocalmente dotatissima ma con un solo minuto di ispirazione in tutta la sua breve vita, Amy Winehouse è morta ad appena 28 anni, nel 2011. Il regista Asif Kapadia - già autore di un documentario dedicato ad Ayrton Senna - rovista tra il moltissimo materiale privato, le riprese domestiche, gli scatti rubati dopo le moltissime notti brave, per confezionare uno dei peggiori documentari di tutti i tempi sulla musica rock. Attratto assai di più dall'aspetto scandalistico che da quello artistico, il regista preme compulsivamente sul pedale delle moltissime esagerazioni della protagonista: alcool, droghe, pomeriggi interi passati a giocare a biliardo o a dormire. Ne esce il ritratto grossolano di un personaggio la cui vita già di per sé non è di alcun interesse, una meteora passata per un attimo nel firmamento della notorietà grazie a un brano come Back to black e pochissimo altro, vincitrice di un gran numero di Grammy Awards e assurta a fama internazionale grazie ai meccanismi sordidi dello show biz. Il quale, nel caso di Amy Winhouse, non può neppure essere additato tra i responsabili principali della sua deriva da tossica bulimica dagli occhi perennemente bistrati, la capigliatura degna di Moira Orfei, il diastema, l'ipertricosi e le gambe sexy quanto quelle di un trampoliere. Semmai, a destare molte perplessità sono il marito Blake Fielder, un dandy drogato e piacione, e, soprattutto, il padre, che abbandonò la famiglia per poi entrare a tempo pieno nello staff della figlia quando fiutò l'affare milionario.
Se dal punto di vista cinematografico il documentario è inesistente, da quello dei contenuti irrita proprio il tentativo di vellicare l'empatia dello spettatore nei confronti di una divetta insulsa, capace soltanto di un pugno di canzoni slabbrate, arrogante, ricchissima e insopportabilmente capricciosa, come quando, sul palco di Belgrado, si rifiutò di cantare. Poi vattela a prendere con i flash dei fotografi…    

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