LUCINDA WILLIAMS (2016) The
Ghosts Of Highway 20
Un album doppio intriso di melodie ammorbanti, testi
rassegnati, voce strascicata e chitarre (in)dolenti: 86 minuti di
suicidio commerciale che si può permettere solo una personalità
musicale forte, una delle migliori cantautrici americane di sempre.
Capace come poche di muoversi insieme con originalità e senso della
tradizione nei territori del country, del rock e del cantautorato dei
loners/losers,
la Williams ci presenta 14 brani dilatati (fino ai 12'43” della
conclusiva Faith & Grace), tristi più che arrabbiati, dominati
dalla sua voce springsteeniana (non a caso ci offre anche la cover di
Factory) con l'essenziale accompagnamento di 3
chitarre elettriche (Bill
Frisell, Greg Leisz
e Val McCallum,
centrali nell'economia del disco) dagli umori
youngiani, ed occasionale sostegno della sezione ritmica. Non
difficile la comprensione di spartito ed arrangiamenti, quanto ardua
da sostenere l'atmosfera malata che pervade il lavoro. Se ne
astengano i depressi, ma ne godano ampiamente quelli che
coraggiosamente lo ascolteranno più volte. Non traggano in inganno
le soluzioni elettriche: questo album rappresenta per la Williams ciò
che furono Nebraska
per Bruce Springsteen e Tonight's The Night
per Neil Young. Detto tutto.
Voto Microby:
8
Preferite: Doors of Heaven, The
Ghost of Highway 20, Dust
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