venerdì 24 giugno 2016

Red Hot Chili Peppers - The Getaway (2016)

RED HOT CHILI PEPPERS - The Getaway (2016)


I RHCP stavolta si fanno produrre il loro undicesimo album, sicuramente uno dei più attesi dell’anno, dal mitico Danger Mouse: visto il produttore (ed anche il missaggio affidato a Nigel Godrich, praticamente il sesto uomo dei Radiohead) il loro stile avrebbe potuto essere pesantemente influenzato dalla loro debordante personalità e magari condizionato da un’impronta prevalentemente elettronica, di conseguente potenziale rottura rispetto ai lavori diretti da Rick Rubin. Danger Mouse li ha invece stimolati a riprogettare interamente l’album che avrebbe voluto essere un insieme di canzoni già scritte da tempo: chiusi in sala registrazione l’ispirazione è arrivata come sempre, fresca e carica di carattere. Il tono è per lo più malinconico, a tinte cupe, con rock elettrico potente alla Led Zeppelin accanto a episodi quasi pop (non è un caso che la ammaliante “Sick Love” sia accompagnata al pianoforte da Elton John) ed alle tradizionali linee funk-rock, massima e caratteristica espressione della qualità melodica del gruppo. Qua e là appaiono anche gli arrangiamenti orchestrali di Daniele Luppi, collaboratore di Danger Mouse e coautore del progetto “Rome” di qualche anno fa.

Niente capolavori come in BloodSugarSexMagik o in Californication ma comunque un buon disco. Da ascoltare: Dark Necessities, Encore, Sick Love, We Turn Red. Voto ☆☆☆1/2


EMMA POLLOCK, PAUL SIMON


EMMA POLLOCK (2016) In Search of Harperfield




A cavallo del millennio The Delgados rappresentarono uno dei gruppi di punta dell’allora fiorente pop scozzese (Belle And Sebastian il nome più noto), e probabilmente il ponte perfetto tra chamber pop, dream pop ed indie rock. Emma Pollock ne era la cantante e nei 3 lavori da solista seguìti allo scioglimento della band nel 2004 ha sviluppato maggiormente gli arrangiamenti, raffinatissimi, e l’utilizzo degli archi a sostegno di una scrittura degna di Regina Spektor, la migliore Tori Amos, Feist, Agnes Obel, Lisa Hannigan, Clara Luzia, per canzoni che sono splendide quando di marca squisitamente chamber pop ma solo poco meno convincenti quando il piglio pop-rock si fa più mainstream. Senza bisogno di spallate, ma con estrema grazia si sta definendo come una delle migliori cantautrici pop del vecchio continente.
Voto Microby: 7.7
Preferite: Cannot Keep A Secret, Don’t Make Me Wait, Intermission



PAUL SIMON (2016) Stranger To Stranger

Va dato merito a questo enorme artista di non arrendersi mai: anche a 75 anni ad inseguire una forma espressiva di cantautorato universale, in una ricerca opposta a quella del cantautore più grande di tutti, Bob Dylan, che si è recentemente rifugiato nel vastissimo songbook della tradizione americana per cercare una profondità ahimè nemmeno sfiorata. Ma anche Simon in parte fallisce, sebbene salvando la confezione: arrangiamenti raffinatissimi, estrema (leggi eccessiva) pulizia formale, esecuzioni magistrali che si avvolgono di ritmi ancora figli di Graceland senza appropriarsene, li inseguono ma non li raggiungono, cercano la poli-ritmia ottenendo solo iper-ritmia.
Ma soprattutto ti ritrovi ad applaudire l’elegantissima architettura tecnica delle canzoni, ma a non ricordarne la melodia: perché l’ispirazione in tal senso è ai minimi sindacali, ed ogni canzone finisce per assomigliare all’altra. La melodia per la quale Simon & Garfunkel non avevano rivali nemmeno nei Beatles…
Un album insomma che è difficile non ammirare ma altrettanto amare, in cui la realizzazione è superiore alla scrittura, che a sua volta è inferiore all’idea progettuale.
Voto Microby: 7
Preferite: Stranger To Stranger, The Riverbank, Wristband



 

lunedì 20 giugno 2016

GREEN RIVER ORDINANCE, TOM ODELL


GREEN RIVER ORDINANCE (2016) Fifteen




Quintetto texano capitanato da Josh Jenkins (voce solista ed autore di gran parte del materiale), alla celebrazione (vedi il titolo) dei tre lustri insieme. Che non abbia grande visibilità mediatica nella vecchia Europa è comprensibile, dal momento che si tratta di un gruppo negli USA “file under” new-country o country-revival. In realtà la band propone, per scrittura e carica musicale, un roots-rock americano di matrice ’70 interpretato, oltre che con basso-batteria-chitarre acustiche ed elettriche, con strumenti tradizionali perfettamente in sintonia col contesto: fiddle, banjo, steel guitar. Come da consuetudine sudista le armonie vocali sono in primo piano, e pur attingendo alla tradizione il suono è complessivamente più moderno rispetto ad un semplice country-revival. Tra ballate, mid-tempo e canzoni energiche, non c’è un brano debole. Da non perdere per gli amanti di Old Crow Medicine Show, Clay Cook, Chris Stapleton, Zac Brown, e l’ultimo Warren Haynes (con i Railroad Earth).
Voto Microby: 8
Preferite: Keep Your Cool, You Me And The Sea, Endlessly





TOM ODELL (2016) Wrong Crowd


Lo vidi in concerto a Milano nel 2014 (eccellente performer con rimando immediato al miglior Elton John) ed il pubblico presente mi sembrò “wrong crowd”, in quanto composto quasi esclusivamente da ragazzine urlanti di fronte all’idolo da talent show, lui indicato dalla critica come un incrocio tra Leonard Cohen, Elton John e Jeff Buckley dopo la pubblicazione del gioiellino Long Way Down nel 2013. Odell non ha sfruttato il successo commerciale del debutto ma si è sudato un anno di tournée dal vivo in Europa ed ha lavorato al secondo album vivendo tra New York e Los Angeles. Tutte le premesse per un grande album e invece…la delusione. La scrittura non ha grandi cadute, ma la produzione è quantomeno incerta, ondivaga tra gli ultimi Coldplay e James Blunt, con scivolate nei Wham! e nel Prince meno ispirato di sempre. Il prodotto finale è l’ennesima starlette pacchiana che piace molto agli americani e si allontana drammaticamente dai presupposti di un soulman bianco europeo dalla sensibilità tra Elton John e Leonard Cohen. Peccato. Speriamo si ravveda nella terza prova.
Voto Microby: 6
Preferite: Jealousy, Constellations, Wrong Crowd





 

sabato 18 giugno 2016

Canzoni del cumenda - nuova lista di pezzi caldi

Ricevo e pubblico dal "Cumenda" una nuova lista di pezzi da ascoltare di questi primi mesi del 2006. 


ORME "In between"
LUCINDA WILLIAMS "If my love could kill" 
CEELO GREEN & BOB JAMES "Sign of the times" 
ALL SAINTS "Summer rain" 
VANDEN PLAS "Blood of eden"
SANTANA "Blues magic" 
ELISA "Hold on for a minute" 
JOE BONAMASSA "Livin' easy" 
INGLORIOUS "Holy water" 
JEAN MICHEL JARRE & PET SHOP BOYS "Brick England"


giovedì 16 giugno 2016

SANTANA


SANTANA (2016) Santana IV





Da almeno 20 anni Neal Schon, il grande chitarrista rock che un Carlos Santana allora 23enne volle fortissimamente al suo fianco nella band sia live che in studio nonostante fosse allora solo 17enne, cerca di convincere Carlos a riunire la band titolare dei primi 3 album. Finalmente persuaso il leader, il combo di musicisti eccezionali (oltre ai due chitarristi, ricordo Gregg Rolie alle tastiere, fondatore con Schon del fortunatissimo gruppo prog americano Journey dopo la fuoriuscita dai Santana seguìta alla conversione mistica-orientale di “Devadip” Carlos Santana ed al lungo interesse di quest’ultimo verso la musica meditativa, psichedelica, jazz-rock; ma anche lo straordinario batterista Michael Shrieve, solo 19enne quando a Woodstock stupì tutti con un assolo indiavolato, ed il pirotecnico percussionista Michael Carabello) completata da membri più recenti e dal soulman Ronald Isley degli Isley Brothers alla voce, ha dato vita a quello che già dal titolo rappresenta la naturale prosecuzione di Santana III (1971): non un’operazione commerciale né malinconica, come ha sostenuto lo stesso Carlos, ma solo il piacere di suonare di nuovo insieme. E si percepisce come il feeling del gruppo sia inalterato e genuino, e la scrittura (pur in assenza di capolavori) e l’esecuzione (un marchio di fabbrica evergreen) impeccabili, con una maggiore disposizione al tribalismo delle origini (i primi 3 album) piuttosto che al successivo latin-rock di enorme successo commerciale, ma non manca lo strumentale alla Samba Pa Ti (1970) così come le sortite nella psichedelia mistica degne di Caravanserai (1972). Sopra tutto le fantastiche rincorse tra la chitarra elettrica rock di Schon e quella latina di Carlos, e la formidabile sezione ritmica. Non solo per nostalgici.
Voto Microby: 7.4
Preferite: Love Makes The World Go Round, Suenos, Fillmore East

venerdì 10 giugno 2016

STEVEN WILSON, ERIC CLAPTON


STEVEN WILSON (2016) 4 ½




Se un perfezionista come il polistrumentista inglese ritiene che non si debba perdere del materiale scartato dalle sessioni dei dischi precedenti, c’è da dargli credito. Nasce così 4 ½ , sei brani di cui 4 dalle incisioni eseguite per Hand.Cannot.Erase (2015), una da The Raven…(2013) e una riarrangiata dal repertorio dei Porcupine Tree (1998). Canzoni per lo più lunghe, dalla struttura compositiva prog, suonate al solito magistralmente, che nulla aggiungono o sottraggono alla carriera del nostro: insopportabile per molti, pleonastico per i più, idolatrato da una discreta schiera di fans, tra i quali molti colleghi musicisti e addetti ai lavori. A me, nonostante il difetto di coesione inevitabile in un’operazione del genere, e la minore qualità del materiale proposto rispetto a quello che Wilson aveva già preferito editare, ha procurato il solito piacere. Fosse anche solo per la tecnica dei musicisti e la cura degli arrangiamenti. Da non perdere in concerto al Vittoriale di Gardone Riviera (BS) il prossimo 12 luglio.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Don’t Hate Me, Happiness III, My Book of Regrets



ERIC CLAPTON (2016) I Still Do


Celebrati lo scorso anno alla Royal Albert Hall a Londra i 70 anni e con essi dichiarata la fine delle esibizioni dal vivo, Slowhand continua invece la produzione discografica. Peccato che, libero dalla programmazione di tours e dalla necessità di confrontarsi con il mercato, anzi che deliziarci con anema e core proponga invece un compitino facile-facile per uno della sua classe: una successione di blues di mestiere, ma piuttosto anemici, intercalata dalle ballads in stile JJ Cale che appartengono geneticamente appunto allo scomparso troubadour americano piuttosto che al chitarrista inglese. La stessa mitica chitarra non infiamma mai i cuori, che vengono scaldati giusto se si hanno 70 anni, una poltrona davanti al caminetto, un bicchiere di whisky in mano e nessun problema ad arrivare a fine mese. Sì, carino, ma nulla a che vedere, anche escludendo i classici degli esordi, col blues sanguigno di "From The Cradle" (1994) o con la semplice varietà di "Clapton" (2010), nè con la briosa produzione pop di cui il nostro è capace. Si può dare di più.
Voto Microby: 7
Preferite: Can't Let You Do It, Spiral, I Dreamed I Saw St. Augustine









 

 

mercoledì 1 giugno 2016

Recensioni: Mary Chapin Carpenter, The Westies

MARY CHAPIN CARPENTER - The Things That We Are Made Of (2016)
La morte di John Jennings. a lungo a lei legato sentimentalmente nonché direttore musicale, produttore e chitarrista nei suoi lavori, ha, come spesso capita, rinnovato l’ispirazione artistica di MCC, dopo il micidiale (in negativo) album retrospettivo orchestrale “Songs from the Movie” del 2014. Al 14° album di una carriera ricca di successi country-folk (4 Grammy consecutivi tra il 1992 ed il 1995 e l’album del 1992 “Come On Come On” che ha venduto più di 4 milioni di copie), MCC recupera il suo sound acustico e deliziosamente melodico. Gli arpeggi aggraziati, le ritmiche soft, la sua voce melliflua sono gli ingredienti tradizionali di ogni suo album e forse ne rappresentano anche, alla lunga, il suo limite. Un buon lavoro per farsi un’idea della sua musica ma sicuramente Ashes and Roses del 2012 era un’altra cosa. Da ascoltare: Something Tamed Something Wild ☆☆☆1/2


THE WESTIES - Six on the out (2016)

Michael McDermott  è l’ennesimo talento musicale non riconosciuto: negli anni ’90 dopo due album splendidi (620 W. Surf e Getshemane) e con recensioni entusiastiche il sostanziale fallimento nelle vendite lo consegnò a droga ed alcool ed al conseguente isolamento dal mondo artistico. Uscito dal tunnel dopo avere conosciuto (in Italia) e sposato la country-singer Heather Horton, proprio insieme a lei McDermott pubblica il secondo lavoro del progetto The Westies, ad un anno dal precedente “West Side Stories”. In questo lavoro le consuete ispirate atmosfere folk del cantautore di Chicago sono abbondantemente contaminate da musicalità border ed influenze celtiche rockeggianti. I riferimenti sono Springsteen, Dylan (quello più graffiante), Elliott Murphy e Waterboys. Album molto interessante, pieno di splendide ballate, che lo conferma di nuovo uno dei migliori cantautori in circolazione. Da ascoltare: The Gang's All Here, Everything Is All I Want for You, Henry McCarty. Voto: ☆☆☆☆

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