lunedì 18 luglio 2016

Michael Kiwanuka - Love and Hate

MICHAEL KIWANUKA - Love and Hate (2016)
Al secondo album, 4 anni dopo il fulminante debutto “Home Again”, disco dell’anno del nostro blog nel 2012, MK si affida alla produzione di Danger Mouse, autentico Re Mida musicale degli ultimi anni. Senza influenzarne la potenza espressiva, la sua nuova produzione ne esalta l’impronta R&B in chiave quasi psichedelica, quasi come se Bill Withers andasse a lezione da Van Morrison o se i Pink Floyd suonassero per Marvin Gaye. La sua chitarra acustica e la sua voce espressiva ne fanno la reincarnazione, in meglio, di Isaac Hayes; la ritmica blues ed i cori lievemente gospel modulati dalla genialità degli arrangiamenti fanno di questo disco l’espressione più compiuta del soul del futuro. Sicuramente uno dei migliori dischi di soul-blues degli ultimi 10 anni. Da ascoltare: Black Man in a White World, One More Night, Love & Hate. Voto: ☆☆☆☆1/2

1 commento:

microby ha detto...

Noi del blog avevamo conosciuto questo talento grazie alla tua entusiastica recensione dell'album d'esordio nel 2012. Rispetto alle tue osservazioni di allora MK si è spogliato ulteriormente delle radici folk, sia africane che bianche, dedicandosi totalmente al soul. Con calcolo e costruzione certosina ma senza rinunciare alla passione. La lunga Cold Little Heart, incipit dell'ultimo lavoro del londinese di famiglia ugandese, ricorda i Pink Floyd di Shine On You Crazy Diamond come fossero al servizio di Marvin Gaye, e Place I Belong sembra Come Together dei Beatles (di penna John Lennon, altro aggancio sia alla musica bianca d'impegno sociale che alle tematiche umane-politiche-ecologiche di What's Goin' On di Gaye, di gran lunga il soulman cui Kiwanuka ha attualmente rivolto il suo interesse artistico). Deciso passo avanti dal punto di vista musicale rispetto all'esordio, rispetto al quale manca l'effetto sorpresa e un singolo che spacchi, ma mostra più maturità e soprattutto coesione d'intenti. Non ancora un capolavoro a mio avviso, perchè nonostante suoni diverso rispetto a tutto il retro-soul imperante (rivolto smaccatamente alla triade James Brown, Otis Redding, Sam Cooke, ed Aretha Franklin tra le femmine) facendo propria la lezione (sia musicale che lirica) di Marvin Gaye, resta comunque ancorato agli anni '70, credo rinunciando (più che non riuscendo) per il momento alla fusione con la black music dei '90 (impossibile in tal senso ignorare l'hip hop dei ghetti), più che al sincretismo con il pop bianco di discendenza beatlesiana, già ora percepibile sottotraccia grazie al fatto di essere afro-inglese e non afro-americano. In ogni caso un ottimo album, il migliore finora quest'anno, che necessita di più ascolti per essere apprezzato appieno. Nota a margine: faccio fatica a tollerare i coretti insistiti come quelli della title track.
Voto Microby: 8.2
Preferite: The Falling, Rule The World, One More Night

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