MOTORPSYCHO (2016) Here Be
Monsters
In una discografia assai ricca (non solo
quantitativamente) nella quale la mitica band di Trondheim (Norvegia)
ha sparigliato più volte le carte dedicandosi, sempre con qualità
più che buona, a generi diversissimi tra loro e riuscendo ad
amalgamarli in modo a volte geniale (metal, hardcore, psichedelia,
jazz, rock, classica, country, avantgarde rumoristica, e soprattutto
progressive), non poche risultano le pubblicazioni a
contratto/progetto. E' il caso anche di Here
Be Monsters, composto in occasione del
giubileo della fondazione del Norwegian Technical Museum. Stavolta il
tiro è rock, e tutto spostato dalle parti del prog
inglese dei '70 con abbondanti contaminazioni dei coevi
Canterbury-sound e psichedelia acida westcoastiana.
Ottima la resa qualitativa, per un lavoro che verrà tuttavia
apprezzato solo da chi ama i generi citati, le dilatate progressioni
della chitarra elettrica in brani lunghi (la magmatica Big
Black Dog è una suite di 17'43"), la
meticolosa intersecazione delle belle armonie vocali e degli spunti
acustici/onirici con la rabbia architettonicamente controllata di
chitarre elettriche e sezione ritmica. Per chi già li conosce, è
l'ennesima conferma del loro valore, avulso da ogni logica di
mercato.
Voto Microby: 7.6
Preferite: Lacuna/Sunrise,
I.M.S., Running With Scissors
BEN HARPER & The Innocent
Criminals (2016) Call It What It Is
Dopo alcuni albums concepiti ed eseguiti più col
mestiere che con il talento, il ritorno alla collaborazione con i
fidi The Innocent Criminals
ha fatto sperare in una rinascita della creatività del dotato
singer-songwriter americano. L'incipit When
Sex Was Dirty invece preoccupa non poco:
paccottiglia rock nello stile dei più pacchiani Status Quo. Che ci
azzecchi con il resto della scaletta è un mistero, dal momento che
dal secondo brano fino al termine il nostro infila come di consueto
blues, reggae, rock, ballads, soul, folk
che, pur senza far gridare al miracolo, sono di buona fattura. Il suo
miglior lavoro da una decina di anni a questa parte, e la conferma
che la band con cui si esprime meglio (e con maggior varietà di
stili) è quella attuale (e degli esordi), non i caotici Relentless
7.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Finding
Our Way, Dance Like Fire, Call It What It Is
WOODS (2016) City Sun Eater In
The River of Light
Che siano i Woods o il progetto collaterale Real Estate,
il leader Jeremy Earl non cambia di molto le coordinate: un
jangle-guitar-pop
cristallino, molto vintage,
con più di un rimando al folk-pop
psichedelico e
lievemente acido
della California di fine anni '60 (nonostante il quintetto venga da
Brooklyn). Con una novità non di poco conto: l'arrangiamento di
alcuni brani con fiati e ritmiche di chiara influenza ethio-jazz,
ben calibrati ed adatti al contesto. Resta il solito difetto di base:
fresca la confezione, ottimi gli arrangiamenti, ma la scrittura tende
ad essere monocorde, tanto da confondere un brano (o un album) con
l'altro. Un'isola di fuga (positiva) sixties.
Voto Microby: 7.3
Preferite: Can't
See At All, Sun City Creeps, Politics of Free
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