giovedì 14 luglio 2016

MOTORPSYCHO, BEN HARPER, WOODS


MOTORPSYCHO (2016) Here Be Monsters




In una discografia assai ricca (non solo quantitativamente) nella quale la mitica band di Trondheim (Norvegia) ha sparigliato più volte le carte dedicandosi, sempre con qualità più che buona, a generi diversissimi tra loro e riuscendo ad amalgamarli in modo a volte geniale (metal, hardcore, psichedelia, jazz, rock, classica, country, avantgarde rumoristica, e soprattutto progressive), non poche risultano le pubblicazioni a contratto/progetto. E' il caso anche di Here Be Monsters, composto in occasione del giubileo della fondazione del Norwegian Technical Museum. Stavolta il tiro è rock, e tutto spostato dalle parti del prog inglese dei '70 con abbondanti contaminazioni dei coevi Canterbury-sound e psichedelia acida westcoastiana. Ottima la resa qualitativa, per un lavoro che verrà tuttavia apprezzato solo da chi ama i generi citati, le dilatate progressioni della chitarra elettrica in brani lunghi (la magmatica Big Black Dog è una suite di 17'43"), la meticolosa intersecazione delle belle armonie vocali e degli spunti acustici/onirici con la rabbia architettonicamente controllata di chitarre elettriche e sezione ritmica. Per chi già li conosce, è l'ennesima conferma del loro valore, avulso da ogni logica di mercato.
Voto Microby: 7.6
Preferite: Lacuna/Sunrise, I.M.S., Running With Scissors



BEN HARPER & The Innocent Criminals (2016) Call It What It Is


Dopo alcuni albums concepiti ed eseguiti più col mestiere che con il talento, il ritorno alla collaborazione con i fidi The Innocent Criminals ha fatto sperare in una rinascita della creatività del dotato singer-songwriter americano. L'incipit When Sex Was Dirty invece preoccupa non poco: paccottiglia rock nello stile dei più pacchiani Status Quo. Che ci azzecchi con il resto della scaletta è un mistero, dal momento che dal secondo brano fino al termine il nostro infila come di consueto blues, reggae, rock, ballads, soul, folk che, pur senza far gridare al miracolo, sono di buona fattura. Il suo miglior lavoro da una decina di anni a questa parte, e la conferma che la band con cui si esprime meglio (e con maggior varietà di stili) è quella attuale (e degli esordi), non i caotici Relentless 7.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Finding Our Way, Dance Like Fire, Call It What It Is



WOODS (2016) City Sun Eater In The River of Light


Che siano i Woods o il progetto collaterale Real Estate, il leader Jeremy Earl non cambia di molto le coordinate: un jangle-guitar-pop cristallino, molto vintage, con più di un rimando al folk-pop psichedelico e lievemente acido della California di fine anni '60 (nonostante il quintetto venga da Brooklyn). Con una novità non di poco conto: l'arrangiamento di alcuni brani con fiati e ritmiche di chiara influenza ethio-jazz, ben calibrati ed adatti al contesto. Resta il solito difetto di base: fresca la confezione, ottimi gli arrangiamenti, ma la scrittura tende ad essere monocorde, tanto da confondere un brano (o un album) con l'altro. Un'isola di fuga (positiva) sixties.
Voto Microby: 7.3
Preferite: Can't See At All, Sun City Creeps, Politics of Free



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