domenica 29 aprile 2018

Recensioni al volo: Eels, Jim Cuddy

EELS - The Deconstruction (2018)

Distruggere per ricostruire: ecco il nuovo progetto di Mark Oliver Everett che, come di consueto, oscilla tra armonie spensierate e arrangiamenti tormentati, brani intimisti ed esplosioni elettrico-orchestrali. Un occhio al passato con le tastiere spettrali e polverose che rimandano a Beautiful Freak ed Electro-Shock Blues, “decostruite” secondo lo stile degli arrangiamenti di Tomorrow Morning.
Un album più acustico che elettrico con piccole meraviglie malinconiche espressione dell’innata natura introversa di Everett, forse un pelo al di sotto di quanto ci si possa aspettare dal suo genio (o di quanto ci si potesse attendere dopo 4 anni di silenzio), ma sempre ricco di emozioni e di gioielli espressivi. Da ascoltare: Rusty Pipes, Bone Dry, Sweet Scorched Earth. Voto: 1/2




JIM CUDDY - Constellation (2018)


Co-leader, insieme a Greg Keelor, dei Blue Rodeo, band canadese dallo stile country-rock classico con rimandi west-coast tradizionale, ha pubblicato questo buon disco singolo, in cui la sua vocalità calda ricorda quella di Richie Furay (Poco), Dan Fogelberg o Don Henley.  Nonostante i suoi 62 anni la voce è sempre cristallina e profonda e impreziosisce le classiche ballate piano-chitarra acustica-violino, mix di roots e pop, simili ai primi Eagles. Buon lavoro. Da ascoltare: Beauty and rage. Voto:

giovedì 26 aprile 2018

THE DECEMBERISTS, GWENNO


THE DECEMBERISTS (2018) I'll Be Your Girl



Colin Meloy e sodali ci hanno da sempre abituato a belle proposte musicali che dalle radici solidamente folk-rock prendevano a braccetto il pop intelligente (all'orizzonte i grandi Leisure Society), con un paio di interessanti album "fuori tema" verso i lidi progressive. La qualità è sempre stata una garanzia. Ora la svolta verso un pop più radiofonico: non che sia mai mancata l'orecchiabilità alle canzoni del quintetto di Portland, quindi quello che si evidenzia è un approccio diverso a strumenti e suoni, ora più sintetici, dacchè la scrittura è assolutamente invariata ed al solito di buon/ottimo livello. Concordo con Simone Dotto (Il mucchio selvaggio magazine, 2018) che "quella che gli interessati presentano come una 'svolta per continuare ad evolvere' si riduce ad un uso scolastico dei synth". Per fortuna i nuovi arrangiamenti risultano poco adatti al contesto (ed al limite del pacchiano) solo in tre degli undici episodi in scaletta (il singolo Scattered, la debole Everything Is Awful e la brutta All We Die Young). Per 8/11 si può godere e confidare che la band in futuro calibri meglio gli arrangiamenti, perchè il pop di qualità è comunque nelle corde del genietto Meloy.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Once In My Life, Cutting Stone, Rusalka Rusalka/The White Rushes


GWENNO (2018) Le Kov
L'ex The Pipettes Gwenno Saunders ritorna in proprio ma il risultato finale non giustifica la scelta: il motivo di principale interesse sta infatti nella decisione di utilizzare il dialetto cornico (tra le radici dell’odierna lingua gallese) invece che l'inglese. Ovviamente i testi sono incomprensibili (Le Kov significa “il luogo della memoria”), ma in sè il cornico è sufficientemente musicale, e si evita così la cacofonia solo per il gusto del "fàmolo strano". Il punto debole è tuttavia la scelta stilistica con la quale vengono rivestiti brani di scrittura pop: qui non si va oltre le atmosfere di Enya ed Alan Parsons Project, senza l'onirica leggerezza della prima nè il tiro pop dei secondi, con qualche rimando ai Royksopp più melodici. Nulla di brutto, ma tutto non oltre il carino, eccetto l'appiccicosamente orecchiabile singolo Tir Ha Mor. Rimandata.
Voto Microby: 6.7
Preferite: Tir Ha Mor, Hi a Skoellyas Liv a Dhagrow, Daromnes y'n Howl



 

mercoledì 18 aprile 2018

STARCRAWLER, DJANGO DJANGO


STARCRAWLER (2018) Starcrawler

“Just another band from L.A.” avrebbe titolato Frank Zappa. C’era proprio bisogno di una band che all’esordio nel 2018 frulla (molto bene) The Runaways, The Stooges, The New York Dolls, The Heartbreakers (quelli di Johnny Thunders), Gun Club e Pixies? Circondati da un hype più che palpabile (la diciannovenne Arrow De Wilde, frontwoman e vocalist supportata dal classico trio chitarra-basso-batteria, è figlia di musicisti e modella per Teen Vogue, e la copertina del loro album ritrae la figlia di 10 anni di Beck in foggia grandguignolesca: d’altra parte la band è nota per i suoi live acts selvaggi in cui la cantante fa parecchio uso di sangue finto, alla guisa di un idolo ed altro riferimento musicale della band, Ozzy Osbourne con i suoi Black Sabbath), l’attenzione mediatica pare più che meritata dal momento che l’endorsement trasversale ed eclettico –tra gli altri-- di Dave Grohl, Elton John e Ryan Adams (che per inciso produce l’album) è figlio di sincero apprezzamento dei suddetti musicisti, conquistati da qualità ed energia del gruppo. Dieci canzoni per 28 minuti totali (tanto quanto l’album di debutto dei Ramones), riff di chitarra immediati ed orecchiabili tuttavia distanti dal punk-pop di Green Day-Offspring-Blink 182, piuttosto disegnati su un indie-rock che riesce a non disperdere l’urgenza del linguaggio punk e a ridurre al minimo i belletti del glam-rock. In anni di assoluto predominio di tastiere programmate, beats elettronici, samples e drum machine, DJ alla consolle che hanno detronizzato rockstar con la Fender, un ritorno alla forza primitiva del rock è salutare, e di another band from L.A. alla Starcrawler, se non la necessità, se ne sentiva proprio la nostalgia.
Voto Microby: 7.5

Preferite: I Love L.A., Full of Pride, Let Her Be

DJANGO DJANGO (2018) Marble Skies
L’art-pop intelligente emerso una decina di anni fa nella terra di Albione non è riuscito a mantenere le sue promesse: tra i capofila, non lo ha fatto con gli Everything Everything, fattisi via via più dozzinali, né con la punta di diamante Alt-J, incapaci di proporre convincenti nuove idee dopo l’esaltante esordio, e non sembra riuscire a concretizzarle nemmeno con la band scozzese Django Django. Mai nulla meno che discreto, per carità, ma anche la band capitanata dal batterista David MacLean si sta rifugiando in un electropop dal bel gusto melodico, con armonie vocali zuccherine e catchy, senza tuttavia caratteristiche di originalità: meno spazio alle chitarre e più a ritmica e tastiere in odore anni ’80, come se gli XTC più pop avessero stretto un patto con gli Orchestral Manoeuvres In The Dark, o i Duran Duran con i Pet Shop Boys. Le medesime considerazioni valgono anche per l’ultimo album (Little Dark Age) di un altro gruppo ai tempi molto promettente sull’altra sponda dell’oceano, i MGMT: tutto molto piacevole, divertente ed anche ballabile, ma purtroppo risaputo.
Voto Microby: 7.2
Preferite: Marble Skies, Further, Tic Tac Toe




 

lunedì 9 aprile 2018

EVERYTHING IS RECORDED


EVERYTHING IS RECORDED (2018) Everything Is Recorded by Richard Russell

Ricordate quando i nostri genitori, che si commuovevano ai vibrati di Nilla Pizza e Claudio Villa, ci consideravano dei barbari di fronte alla nostra esaltazione per gli assoli di Ritchie Blackmore e le urla allucinate di Ummagumma? Che ci piaccia o no, il nuovo millennio ha comportato una simile contrapposizione tra la nostra musica e quella dei nostri figli. Nella sua chiusura di fine anno Luca ha recitato il de profundis per la musica rock, in realtà archiviata a genere storico con stilemi ed organizzazione musicale ben precisi, pur nei suoi proteiformi sottogeneri. Se la figura della rockstar è stata sostituita dal produttore/DJ, la chitarra elettrica dal programming, le linee melodiche dai samples, la tecnica strumentale dall’ingegnere del suono… beh… che disco dobbiamo ascoltare noi neòfiti del suono dei millennials per capire che aria tira? Ecco qui pronto all’uso un bignamino che fotografa perfettamente il modo attuale di fare musica (commerciale ma di qualità: diciamo ben distinta dall’easy listening alla Lady Gaga, Shaquira & Co, ma anche dai generi jazz, blues, folk, pop-rock e dintorni). E’ sufficiente che un megaproduttore come Richard Russell, patron e artefice dei suoni (si badi bene: ora si parla di suoni, non di canzoni) della più importante etichetta indipendente mondiale, la XL, ed architetto degli arrangiamenti di molte stars più o meno alternative (The Prodigy, M.I.A., Ibeyi, Damon Albarn, Jamie XX, il ritorno di Gil Scott-Heron e Bobby Womack tra gli altri) decida di pubblicare un disco a proprio nome: i suoni si recuperano negli archivi (on line ma anche mentali, quindi occorre certamente sensibilità melodica) e nel gusto del momento (hype o paraculaggine, si scelga il sostantivo più appropriato), ed i musicisti necessari (soprattutto i vocalists) vengono pagati a comparsata (o ripagano precedenti favori). Tra questi ultimi Russell assolda le Ibeyi, Sampha, Kamasi Washington, Giggs, perfino Peter Gabriel (al piano). Il risultato è classificabile come indie electronic, o alternative R&B, o new nu-soul, ma le carte in tavola non cambiano: per chi come me è cresciuto musicalmente tra i ’60 e l’inizio degli ’80, si tratta di suoni levigatissimi, ritmati anche quando morbidi, costruiti senza un difetto, esaltati da uno stereo professionale, che stimolano ammirazione più che coinvolgimento, ed in tal senso adatti ad un ascolto cerebralmente approfondito o, all’opposto, ad un sottofondo musicale distratto ma sinuoso e moderno, che nell’attitudine ricorda la new age più deteriore (chi ha detto Montecarlo Nights?) ad uso e consumo degli yuppies negli anni ’80, per sostenere un aperitivo pre-cucco. Piacerà moltissimo a chi apprezza l’hip-hop più leggero e la musica black à la page (tutto quello che passa tra Beyoncè, Kelela, Kendrick Lamar, Kelis, Solange, Frank Ocean, Dizzee Rascal, Janelle Monàe…). Si tratterà invece di puro studio e curiosità soddisfatta sulla musica dei millennials per chi è cresciuto a pane e trio chitarra-basso-batteria: se si giudicherà col cervello sarà riconosciuto e forse ammirato il marchio dei tempi; se prevarrà il cuore, si farà fatica ad arrivare alla fine del disco. Provare per credere. PS: umilmente ed intelligentemente l’autore ha dato il titolo appropriato all’album, a suggello di questo modo di fare musica.
Voto Microby: 7.2

Preferite: Mountains of Gold, Show Love, Cane

mercoledì 4 aprile 2018

CAR SEAT HEADREST


CAR SEAT HEADREST (2018) Twin Fantasy

Se a 25 anni hai già pubblicato 11 album sulla piattaforma Bandcamp significa che sei un megalomane oppure un genio, in entrambi i casi uno che ha molte cose da dire. Non necessariamente interessanti o valide. Il fatto è che quelle avanzate da Will Toledo, unico titolare dietro al moniker Car Seat Headrest (ragione sociale scelta in base al fatto che Toledo è uso registrare le parti vocali seduto “comodamente” all’interno dell’abitacolo della sua auto), sono proposte davvero intriganti. Esploso all’attenzione generale nel 2016 con Teens of Denial (mio album indie-rock dell’anno), curiosamente nonostante una penna prolificissima ci propone quest’anno il remake di un album-culto tra gli adepti, quel Twin Fantasy che nel 2011 aveva pubblicato on line suonando tutto da solo, e di per sé già buono. Perfezionista come molti artisti ed insoddisfatto del risultato finale del 2011, ora si avvale di una band di professionisti e, pur non stravolgendo il cuore delle canzoni, ce le presenta più a fuoco, rifinite, taglienti, anche tecnicamente meglio registrate. Si fa insomma preferire al lavoro originale (moda? Ricordo che recentemente anche Lucinda Williams e Stone Temple Pilots hanno rivisitato degli album propri). Attitudine grunge (alcuni passaggi del disco ricordano i Nirvana di Nevermind), malessere emo, radici musicali nei ’90, arpeggi cristallini e grattugiate di chitarra elettrica, riff orecchiabili ma anche brani dilatati oltre i 10’, il tutto pervaso da un alone di romanticismo post-adolescenziale. Sui poggiatesta dei sedili dell’auto di Will Toledo si può contare ora e scommettere per il futuro. Per quanto senso avrà, visto che ora è nella scuderia Matador (non proprio un’etichetta indipendente…), Twin Fantasy è già ora mio album indie-rock dell’anno.
Voto Microby: 8
Preferite: My Boy (Twin Fantasy), Sober To Death, Beach Life-In-Death

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