domenica 9 maggio 2021

Recensione. Greta Van Fleet - The Battle at Garden's Gate (2021)

 GRETA VAN FLEET - The Battle At Garden’s Gate (2021)



Genere: Rock-Blues, Hard-Rock, Psichedelia

Influenze: Led Zeppelin, Rush, Black Crowes


Non sottolineo nulla di nuovo rimarcando l’estrema somiglianza ai Led Zeppelin di questi americani del Michigan, al terzo lavoro dopo un EP del 2017 ed al celebrato (e discusso) Anthem of the Peaceful Army del 2018. Questa loro caratteristica peraltro non è da buttare via, assolutamente, soprattutto in un periodo in cui non è molto popolare proporre il classic-rock mentre i colleghi coetanei sono per lo più nel giro rap, trip-hop e amenità varie. Anche in questo lavoro l’influenza del dirigibile si sente ancora, magari in maniera meno evidente (anche se la voce “plantiana” rimane sempre a ricordarcela), ma qua e là abbiamo anche “l’ingresso” di sonorità di stampo quasi californiano e psichedelico (The Barbarians, Light My Love). Heat Above inizia con un intro quasi prog che sfocia in una power ballad elettroacustica dallo stile del disco precedente; la successiva My Way, Soon è un brano decisamente più rock mentre Broken Bells è una languida ballata il cui attacco (ma anche l’assolo finale) ricorda chiaramente Stairway To Heaven. Il rock-blues di Built By Nations è forse la più zeppeliniana di tutto il disco, un solido rock-blues che fa il paio con Age Of Machine caratterizzata da un bell’intro di chitarra e sezione ritmica, dal suono anni 70 così come The Weight of Dreams, mentre la lenta Tears Of Rain invade ancora i territori prog-rock nei dintorni dei Rush. Derivativi e divisivi, ma di ottimo impatto. Si tratta di un buon disco di sano rock, consistente e creativo. Niente preconcetti, please. Da ascoltare: Heat Above, Broken Bells, Built By Nations.

Voto: 1/2




1 commento:

microby ha detto...

Di solito non ho pregiudizi nei confronti della musica derivativa (altrimenti per quanto riguarda la musica pop-rock dovremmo fare tabula rasa di tutta quella pubblicata nel nuovo millennio), anche se mi vado a cercare prevalentemente quella di ispirazione '60-'70, cioè quella che ha plasmato la mia adolescenza. E con i Greta Van Fleet sono in comfort zone: ispirazione smaccatamente zeppeliniana, voce a metà strada tra Robert Plant e Jon Anderson (anche se penso sia più adatta alle escursioni prog del cantante degli Yes piuttosto che alla pasta rock-blues cui la maggior qualità sui timbri medi e bassi del cantante degli Zeppelin dona più eterocromia e spessore), esecuzione tecnica buona (non eccellente) e migliorata con gli anni. Perciò la ballatona Broken Bells resta splendida nonostante sia quasi un plagio di Stairway To Heaven, e se all'arpeggio acustico iniziale di Tears of Rain ti aspetti Mick Jagger che attacca Angie non ti sorprendi ma sorridi. Il problema maggiore è che al terzo album il combo del Michigan sembra non avere più niente di (relativamente) nuovo da proporre se non ribadire quanto già espresso più efficacemente nell'EP di esordio From The Fires (2017). L'album d'esordio Anthem of The Peaceful Army (2018) suggeriva escursioni prog che starebbero bene nelle corde dei nostri, ma globalmente la qualità complessiva del progetto sta calando. A questo ultimo The Battle at Garden's Gate non riesco a dare più che una sufficienza piena (6.7), solo grazie a (risapute) soluzioni sonore che profumano di adolescenza (la mia, non quella dei millennials). Le mie canzoni preferite sposano le tue.

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