martedì 22 febbraio 2022

EELS (2022) Extreme Witchcraft


 Genere: Indie-rock, Alternative pop

Simili: Elvis Costello & The Imposters, PJ Harvey, Cake, The Dandy Warhols, Beck

Voto Microby: 7.2

Preferite: Good Night On Earth, Stumbling Bee, What It Isn’t, Grandfather Clock Strikes Twelve

Così come per il recentissimo The Boy Named If, ultima fatica di Elvis Costello, non è probabilmente un caso che Extreme Witchcraft, l’album appena pubblicato da Mark Oliver Everett e sodali, sia emerso da due anni di pandemia grazie alla sporcizia e all’urgenza del garage-rock anzichè con l’intimità di canzoni raccolte in melodie cristalline (specialità della casa per entrambi). Costello lo ha fatto ricorrendo alla collaborazione della sua band notoriamente meno elegante e più rumorosa, The Imposters, laddove Mr. E cercando di nuovo la produzione di John Parish, chitarrista e produttore storico di PJ Harvey e già dietro la consolle di Souljacker (2001), l’album più noise-rock degli Eels. Spesso gli Eels sono stati descritti come un’originale miscela del primo Beck e del secondo Tom Waits, ed anche in Extreme Witchcraft la voce cartavetrata/filtrata di E e la contenuta presenza di campionatori, drum machine e toys music richiama i due mèntori, pur in un lavoro decisamente guitar-oriented. Ma non vi è traccia della magia compositiva folky e poppy e della voluptas dolendi dei dischi migliori dei nostri. Ora ordinariamente arrabbiati in un lavoro che è stato etichettato come “happy break-up record” (Mr. E è al secondo divorzio), una novità per un autore di solito applaudito per la sua capacità di scandagliare introspettivamente i lati oscuri della vita. Pur con la carenza di brani memorabili, Extreme Witchcraft non è beninteso un brutto disco: gli Eels non sono mai scesi sotto la linea del discreto. Ma, così come per Costello, l’ultimo album pur col suo energico ritorno al rock’n’roll è da catalogare tra i prescindibili della ricca discografia di entrambi. Chi si accostasse per la prima volta alla (one man) band californiana recuperi piuttosto Beautiful Freak, il capolavoro indie-pop con cui debuttò nel 1996.  

1 commento:

lucaf ha detto...

Mah, sono d'accordo con te: un lavoro senz'altro prescindibile. Ho trovato nel disco una sicura involuzione (certamente momentanea) come sempre accade dopo una serie ininterrotta di lavori di buon livello. Energico sì, ma poco originale. Unico brano a mio parere meritevole "Grandfather Clock Strikes Twelve"...

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