Genere: Soul-pop, White soul, Singer-songwriter
Simili: Ryan Adams, John Mayer, Raul Midon,
James Blunt
Voto Microby: 6.8
Preferite: Dreamland, Hold You, How You Run?
Ne è passato di tempo da quando Lee Alexander, il bassista di
Norah Jones che lo aveva apprezzato come opening
act del tour della star americana, produsse l’esordio di Ryan Anthony
Massaro aka Amos Lee, sollevandolo
così definitivamente dall’impiego come maestro elementare dopo una laurea in
inglese presso la South Carolina University. Il cantautore nato a Philadelphia
nel 1977 non è mai diventato una star del mercato discografico, ma ha riscosso
una iniziale discreta popolarità grazie a passaggi delle sue canzoni intime e
romantiche in serie televisive come Doctor
House e Grey’s Anatomy, e ha
sempre goduto della stima della critica e dell’apprezzamento di uno zoccolo
duro di fans (il nostro blog aveva nel 2008 tributato il titolo di miglior
disco dell’anno al suo Last Days At The
Lodge). Dal 2004 titolare di una decina di album (Mission Bell nel 2011 e soprattutto Spirit nel 2018 i miei preferiti), pubblica ora Dreamland dopo un silenzio di quattro
anni. La qualità di scrittura di melodie e testi di categoria superiore è
rimasta intatta rispetto all’eccellente carniere finora esibito dall’artista
americano. Sorprende pertanto che il suo cantautorato che dal laid-back
country-folk-soul l’ha progressivamente portato ad un soul/R&B
d’autore (Bob Dylan meet Al
Green/Bill Withers) venga ora contaminato da arrangiamenti vicini al pop-soul
mainstream, con l’utilizzo di
strumenti dozzinali (synth, vocoder, drum machine) che si spera diano il
meritato (finora) successo commerciale al nostro, ma che sollevano più di una
perplessità nei fans di sempre. Accantonate le influenze folk e gospel, ed
abbandonati gli accenti jazzy e bluesy, Amos Lee pare ora più sulle tracce
dell’ultimo John Mayer o del Ryan Adams più pop. Mi auguro che Dreamland rappresenti un episodio
isolato: al momento è quello più prescindibile della ricca discografia del
nostro.
1 commento:
Assolutamente d'accordo. Un disco prevalentemente pop: il che non è necessariamente da stigmatizzare, per amor del cielo. E' proprio la qualità che manca, ma qualche sbandata la si perdona sempre. Ad maiora!
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