venerdì 14 settembre 2012

Bill Fay - Life is People (2012)

Nel periodo fine anni'60 e inizio anni '70 è stato uno dei tanti cantautori etichettati come "il Bob Dylan inglese": il disco "Time of the Last Persecution", lavoro dai richiami spirituali e religiosi, pubblicato nel 1971, ne aveva segnato l'animo se è vero, come è vero, che in oltre 40 anni era sparito nell'oblio.  In questo periodo ha vissuto al nord di Londra facendo un pò di tutto: giardiniere, raccoglitore di frutta, addetto alla pulizia, operaio in un supermercato. In tutti questi anni ha comunque continuato a suonare e scrivere musica ma senza mai azzardarsi a ritentare la strada di una nuova rinascita musicale: merito di un giovane americano, Joshua Henry, produttore musicale cresciuto nel mito dei vinili dei due album trasmessigli dal padre, averlo convinto a circondarsi dei vecchi compagni di musica e riprovare ancora a farne qualcosa di concreto. Intercettato da Jeff Tweedy (Wilco), che ne ha entusiasticamente sponsorizzato il lavoro, ecco, dopo 41 anni,  il suo terzo album, senza ombra di dubbio uno delle rivelazioni dell'anno.  Il disco si apre con una ballata dylaniana ("There is a Valley") e si sviluppa poi attraverso temi classicheggianti alla Leonard Cohen ("Never ending happening"), il walzer ipnotico e dolcissimo "Healing Day" con quell'organo e quegli archi che ti strappano le lacrime, la stupenda semplicità di "This World" (con la partecipazione dello stesso Jeff Tweedy) ed il bluesrock alla Clapton di "Empires".  Un disco superbo. Chopin redivivo. Voto ★★★★1/2

2 commenti:

microby ha detto...

A proposito del ritorno sulle scene di Bill Fay (di cui confesso che non conoscevo neppure l'esistenza) concordo a metà con te, Luca, ma anche con Stefano che ne è entusiasta così come molti critici musicali (ergo: avete ragione voi). I miei appunti sono i seguenti: la cifra artistica di Bill Fay è indubbiamente alta, sostenuta da belle canzoni autografe e da una voce ricca di pathos, che esalta liriche disilluse e amare ("faccio lo spazzino nella vostra città dei sogni; raccolgo bicchieri di carta tra le limousines"), tuttavia la cifra stilistica paga pegno al progressive folk cantautorale ’70 (vedi "Big Painter" e "City of Dreams")e pecca talvolta in arrangiamenti retorici, soprattutto nell’utilizzo degli archi, spesso ridondanti ("Empires"), eccessivi ("Cosmic Concerto") o zuccherosi ("The Healing Day"). Difetti questi ultimi già appannaggio di un eppur grande d'antan del cantautorato scozzese, Dougie MacLean. Meglio, in sede di produzione, aveva fatto Rick Rubin con il recupero di Johnny Cash per gli American Recordings, operazione che richiama l'attuale (non fosse altro che per la voce tremula, saggia ed altamente evocativa dei 2 cantautori sulle sponde opposte dell'oceano). Indubbiamente di valore i rimandi seventies di Bill Fay al cantautorato di classe (in primis Allan Taylor) ed al progressive folk (vedi Nigel Mazlyn Jones), ai lavori dei quali a mio modesto parere occorre rivolgersi per ascoltare un vero capolavoro. Con questo, "Life Is People" non entrerà nella mia top ten 2012 ma si becca un bel 7.8/10, con menzione di merito per la commovente "The Never Ending Happening".

Stefano ha detto...

Le opinioni di Roby sono sempre argomentatissime, analitiche e documentate. Gli contesto solo il fatto che pagare pegno al progfolk dei '70's mi sembra più una nota di merito che di demerito. Per me è un discone. Consiglio l'ascolto dei due precedenti.

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