martedì 25 settembre 2012

BOB DYLAN (2012) Tempest

Continua il viaggio di Dylan tra i differenti stili musicali dell’America del secolo scorso. Promettente l’inizio col primo singolo, Duquesne Whistle, un folk-swing che starebbe bene nei films di Woody Allen. E poi la voce, mai così bella, sempre meno ipernasale ed invece più piena, calda, rauca, quasi waitsiana; da promuovere insieme alla buona qualità della scrittura. Entusiasmo che si stempera nella svogliatezza generale dell’esecuzione: ciascun brano muore come nasce, senza mai un cambio di passo, di ritmo, una variazione del tema musicale, un breve assolo, uno sforzo mentale per trovare una chiusura adeguata alle canzoni, che finiscono tutte in dissolvenza. Ascoltare Narrow Way, Early Roman Kings, Tin Angel e la lunghissima title track (che da sole fanno 35 minuti!) ed anelare ad un pizzico di fantasia come fosse una boccata d’ossigeno equivale ad una sofferenza cui ci si sottrae facilmente skippando le canzoni al secondo ascolto. Per non parlare dei blues, che sarebbero statici anche per Muddy Waters. A che serve una backing band eccellente se la costringi ad un mero accompagnamento scolastico? Senza leggere/comprendere i testi, è come pretendere che un americano possa apprezzare Radici di Guccini: probabilmente lo troverebbe noioso, ripetitivo, musicalmente povero, e di sicuro skipperebbe (bestemmia!) La locomotiva. Noia che traspare poco nella prima parte, fatta di canzoni più varie e brevi, e che si merita un 7.5, ma che ti abbraccia inesorabile durante i lunghi/ssimi e monocordi brani della seconda parte, da 6.5. In conclusione un lavoro di transizione, che sembra (nonostante nella realtà non lo sia) fondato su scarti degli ultimi 4-5 albums, da Time Out of Mind (1997) in poi.

Preferite: Duquesne Whistle, Pay In Blood, Soon After Midnight

Voto Microby: 7/10

1 commento:

lucaf ha detto...

Commento di LucaF
Che Bob Dylan sia sempre più indigesto è sicuramente una realtà. Soprattutto quando nei concerti si lancia nel voluto massacro dei suoi brani più celebri e con quella voce incatramata ti devasta i timpani (vedasi ultimi concerti a Padova e Milano con Mark Knopfler). Ed anche i dischi, per lo meno quelli dell'ultimo decennio, da Love & Theft in poi, sono la rappresentazione di questo never ending tour. Stavolta però, devo dire, questo disco mi è piaciuto, anzi penso sia il suo migliore album degli ultimi 15 anni. Anche il brano "Tempest" mi fa ricordare "Hurricane" per il suo ritmo incalzante e ossessivamente triste, pur non avendone la rabbia. Come giustamente sottolinei "Moon after midnight" è il brano più accattivante e più classicamente dylaniano anche se l'influenza blues è chiara (sembra di sentire il tocco di Howlin Wolf), ma trovo belle anche Narrow Way e Pay in Blood (mi ricorda gli Stones). Credo sia uno di quei dischi in cui non bisogna fermarsi a 1-2 ascolti ma che bisogna assimilare perdendoci del tempo.

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