martedì 23 settembre 2014

ALT-J, NICOLE ATKINS, JOHN HIATT


ALT-J (2014) This Is All Yours
Molte le (personali) attese nei confronti del secondo album del quartetto (ora trio) pop britannico, dopo che l’esordio An Awesome Wave era stato mio disco dell’anno nel 2012. I ragazzi dimostrano ancora una classe superiore rispetto alla media, pur rimescolando le carte rispetto a quanto fatto finora. Già l’incipit (Intro, appunto) del nuovo lavoro esprime originalità assoluta, mischiando melodie pop a cappella con ritmi sincopati, dub e voce filtrata; ai primi ascolti si solleva qualche perplessità, ma ne occorrono parecchi perché l’album piaccia definitivamente, convincendo anche se con qualche ombra. Sarà che ora manca l’effetto-sorpresa, ma rispetto al debutto vi è meno immediatezza pop e coesione tra i brani, nonostante la release rappresenti un concept. Certo quanto proposto è unico, per scrittura, soluzioni melodiche ed arrangiamenti, rispetto a quanto si ascolta in giro. Che i tre genietti stiano inventando il prog 2.0? Aspettiamo il terzo disco per confermare i nostri nell’Olimpo, ma già ora sono semidei.
Voto Microby: 8
Preferite: Nara, Bloodflood Pt. II, Intro
NICOLE ATKINS (2014) Slow Phaser
Terzo album per l’americana: bella presenza, voce potente e versatile, scrittura brillante, territori battuti quelli di un pop catchy, radiofonico. Non le manca nulla per l’assalto alle classifiche. Forse due caratteristiche lo impediscono (per ora): musicalmente, la varietà dei generi (sembra uno strano ibrido tra Nelly Furtado, le Bangles e Shivaree, con richiami al pop-country più mainstream anni ’70, vedi Linda Ronstadt e Karla Bonoff; ma non mancano cori alla Jesus Christ Superstar e un synth da Genesis ’80 post-Gabriel), che la rende poco catalogabile, quindi di difficile scelta per le radio di settore. Seconda: i testi non proprio politically correct (My god is a holy shit / my god is a son of bitch, per dirne una…). Ma in auto si ascolta che è un piacere, e la varietà, freschezza, orecchiabilità dei brani stimola il repeat
Voto Microby: 7.6
Preferite: Who Killed The Moonlight, Cool People, The Worst Hangover

JOHN HIATT (2014) Terms of My Surrender
Il blues ha sempre fatto parte del background del grande singer-songwriter di Indianapolis, ma mai come in quest’ultimo album è stato l’humus centrale del lavoro. I puristi delle 12 battute lo troveranno solo marginale, ma chi segue Hiatt lo percepirà in ogni piega rock, folk, gospel, in una forma rurale che ricorda un gruppo di amici che si trova per suonare insieme. Spontaneità e produzione asciutta rappresentano insieme il pregio ed il limite del disco, che si fa apprezzare senza entusiasmare. In una discografia in cui abbondano i lavori eccellenti, l’attuale appare prescindibile.
Voto Microby: 7.2
Preferite: Long Time Comin’, Old People, Nothin’ I Love


1 commento:

lucaf ha detto...

ALT J - E' vero manca un po' la sorpresa del primo album ma anche questo è su ottimi livelli: ho trovato bellissime anche "Warm Foothills" (sarà perché è calda e piena di cuore, e mi ricorda Fleet Foxes o Bon Iver) e "Left Hand Free". Voto: ☆☆☆1/2

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