martedì 30 dicembre 2014
Brani del 2014 (random) da ricordare: JOHN GORKA - BRIGHT SIDE OF DOWN
Cantautore americano autore di uno dei migliori dischi folk dell'anno.
Brani del 2014 (random) da ricordare: MARIANNE FAITHFULL - FALLING BACK
Scritta da Marianne Faithfull ed Anna Calvi.
Brani del 2014 (random) da ricordare: CASA MURILO - DRIVE
Tanto per farci compagnia in questi giorni di ferie, un po' di brani alla rinfusa, meritevoli di ascolto e ricordo, tendenzialmente indie.
Il primo che propongo è di questa band norvegese di indie-pop. Strano non sia diventato un tormentone.
Il primo che propongo è di questa band norvegese di indie-pop. Strano non sia diventato un tormentone.
Brani del 2014 (random) da ricordare: SOPHIE ZELMANI - MAJA'S SONG
Vi rimando alla recensione di Microby. Disco senza dubbio tra i migliori dell'anno.
Brani del 2014 (random) da ricordare: ELI YOUNG BAND - DRUNK LAST NIGHT
Band di sano country texano; questo è il primo singolo tratto dall'album 10.000 Towns.
Obiettivo per il 2015: entrare nella Ohio State University Marching Band
I loro half-time show sono una roba che non ci si crede; questo a tema hollywoodiano è incredibile.
mercoledì 24 dicembre 2014
Le migliori canzoni di Natale di tutti i tempi
Non so da voi, ma a casa mia nei giorni di Natale mia moglie prende il sopravvento sull'appleTV e spara canzoni natalizie a raffica. Per questo motivo ma soprattutto per divertimento mi sono stilato una lista delle 10 migliori canzoni di sempre. Non ho voluto fare l'originale ma ho semplicemente messo giù, in ordine sparso, quelle che credo, nella storia della musica degli ultimi 100 anni siano effettivamente le migliori per celebrare le feste. Buon Natale a tutti!
James Taylor - In the bleak midwinter (2004)
E' la trasposizione musicale di un testo di fine '800, messo in musica per la prima volta nel 1904 (!) e recuperato dal nostro JT a 100 anni di distanza.
Boyz II Men - Silent Night (1993)
Bellissima versione "a cappella" di questa canzone gospel.
Nat King Cole - The Christmas Song (1961)
Potrebbe sembrare un po' arrogante chiamarla "The Christmas Song", ma non c'è dubbio che questo brano, con quella magnifica voce poi, sia il meglio in assoluto.
Elvis Presley - Blue Christmas (1957)
Tra tutte le cover natalizie del Re, questa è la migliore del mucchio.
John Lennon - Happy Xmas (War is Over) (1972)
Probabilmente una delle più conosciute e riconoscibili canzoni natalizie, l'unica che veramente dà il messaggio giusto di pace, armonia e fratellanza.
Pogues - Fairytale of New York (1987)
Votata più volte come la miglior canzone natalizia di Irlanda, descrive una sorta di sogno ad occhi aperti di un immigrato irlandese ubriaco e rinchiuso in una cella di New York. Non poteva che farla Shane McGowan.
Chris Rea - Driving Home for Christmas (1986)
Ispirata e scritta da Rea mentre si trovava bloccato nel traffico natalizio sulla strada del ritorno a casa.
Frank Sinatra - Santa Claus is Coming to Town (1957)
Era impossibile non mettere il grande Frank o il suo amico Bing Crosby tra gli interpreti natalizi. La mia preferita tra i classici è questa, scritta originariamente nel 1932, e poi coverizzata praticamente da tutti i musicisti fino ad oggi.
James Taylor - In the bleak midwinter (2004)
E' la trasposizione musicale di un testo di fine '800, messo in musica per la prima volta nel 1904 (!) e recuperato dal nostro JT a 100 anni di distanza.
Eartha Kitt - Santa Baby (1957)
Ne esistono anche versioni di Marylin Monroe, Macy Grey e Natalie Merchant, anche se la migliore è senza dubbio quella di Miss Piggy dei Muppets.
Otis Redding - White Christmas (1967)
La meno tradizionale tra le versioni di questo brano, che Redding trasfigura fino a farla diventare un brano profondamente soul, puramente Redding.
Bellissima versione "a cappella" di questa canzone gospel.
lunedì 22 dicembre 2014
SONS OF BILL, CYMBALS EAT GUITARS, STRAND OF OAKS
SONS OF BILL (2014) Love And Logic
I
tre figli (Sam, James e Abe) di Bill Wilson, docente di filosofia
e letteratura a Charlottesville, Università della Virginia, hanno
aperto le danze nel 2006 ed ora sono al quarto sforzo come quintetto,
sempre nei binari di un’americana
che raccoglie i semi gettati da Gram Parsons e The Band, sviluppati
dal country-rock più
o meno mainstream di The Eagles, CSN&Y, Dwight Yoakam, Steve
Earle, e filtrati dopo l’uragano punk da una parte con
l’alt-country di
Uncle Tupelo, Wilco, Son Volt, dall’altra con i nuovi suoni legati
alle tradizioni di R.E.M., The Jayhawks, Band of Horses. I Sons of
Bill lo fanno senza sorprendere per originalità, ma riuscendo a
fondere tutti i nomi citati e quasi 50 anni di americana
in un album molto ben scritto, sia nei testi che nelle melodie (in
particolare le ballads), ed altrettanto bene arrangiato e suonato.
Voto
Microby: 7.9
Preferite:
Lost In The Cosmos,
Light A Light,
Higher Than Mine
CYMBALS
EAT GUITARS (2014) Lose
Al
terzo album il quartetto di New York dà ancora un senso al genere
indie pop-rock: perché
altro non si potrebbe definire un lavoro lontano dal mainstream ma
che ha in sé le caratteristiche pre-successo del rock
epico-drammatico degli Smashing Pumpkins,
della scrittura sghemba dei Pavement,
della rabbia dei Clash,
della freschezza pop di Shins
e Modest Mouse. Le
punte di diamante sono il leader Joseph D’Agostino, dalla voce
potente e nasale sospesa tra Billy Corgan, Conor Oberst e David
Surkamp (Pavlov’s Dog), ed il chitarrista Matt Cohen, ottimo sia
alla ritmica che negli acidi assoli. Lose
è “solo” un buon disco perché registrato nel 2014; 20 anni fa
sarebbe stato un grande album. Stranamente oggi, nel panorama rock
globalizzato, suona se non attuale, almeno originale.
Voto
Microby: 7.8
Preferite:
Jackson, Child
Bride, Warning
STRAND
OF OAKS (2014) Heal
L’humus
d’origine fa ben sperare, dal momento che Timothy Showalter, alias
Strand of Oaks, è dedito ad un’ americana-rock
simile a quella di The
War on Drugs,
Phosphorescent, Okkervill River.
Poi si parte: batteria fracassona, tastiere sintetiche e gommose tra
prog ’70 e pop ’80, chitarra elettrica grattugiata e drammatica
alla Crazy Horse, cori
da stadio, arrangiamenti approssimativi e kitsch. Pare annunciata una
stroncatura senza appelli. Ed invece in mezzo a tanta confusione si
palpa sincerità e rabbia, depressione e lotta, impulsività e foga,
ed il quarto lavoro dell’americano piace, pur nell’improbabile
connubio tra synth-pop e distorsioni elettriche. Un tributo a Jason
Molina (JM) ci
facilita il compito: il nostro sembra in effetti una versione
elettrica e disperata dell’artista americano recentemente
scomparso.
Voto
Microby: 7.5
Preferite:
JM, Goshen ’97, Same Emotions
Polly Paulusma - The Small Feat of my Reverie (2014)
POLLY PAULUSMA - The Small Feat of My Reverie (2014)
Una sorta di integrazione del precedente lavoro del 2012 (“Leaves from the Family Tree) l’album contiene 16 brani, comprese versioni alternative (acustiche) e demo di quell’album e alcuni pezzi inediti. Si tratta di un album interessante proprio per questo motivo: dà traccia del processo creativo che porta ad un lavoro finito, come fosse uno schizzo a carboncino prima di un quadro o un modello di bronzo prima di una scultura. Voto: ☆☆☆☆
lunedì 15 dicembre 2014
RIVAL SONS, CHRISTOPHER OWENS, STEVE ROTHERY
RIVAL SONS (2014) Great Western Valkyrie
Quarto album per la band californiana capitanata dal
frontman Jay Buchanan, in possesso di una voce potente ed
adrenalinica che ha già prodotto paragoni con quella di Robert
Plant. Le eccellenti doti tecniche del chitarrista Scott Holiday e
del batterista Michael Miley, unite al fatto che la musica proposta è
completamente calata nel lustro a cavallo tra i '60 ed i '70, e si
nutre di rock, hard-blues e
psichedelia ha
sollevato da una parte critiche di derivativismo, dall'altra (più
corposa) un forte apprezzamento per un retro-rock tecnicamente
eccellente ma insieme energico, sincero, appassionato, muscolare ma
dal songwriting pregevole: attualmente il miglior vintage-rock in
circolazione, un must per chi ha amato Led
Zeppelin, Doors, Cream.
Voto Microby: 8.2
Preferite: Electric Man, Good
Luck, Play The Fool
CHRISTOPHER
OWENS (2014) New Testament
Al
secondo sforzo da solista dopo la militanza nel duo indie-pop Girls,
l’americano abbandona il concept del primo album ma non le
atmosfere anni ’70, con le quali ricama i tre generi che hanno
permeato la sua vita, privata oltre che artistica: pop,
country, gospel. Lo fa con riuscita
integrazione dei tre stili, col garbo e l’eleganza che gli
appartengono, con arrangiamenti morbidi ed avvolgenti, ma col limite
di una voce modulata e gentile che non gli permette variazioni di
intensità delle canzoni. Forse per tale motivo i brani migliori
hanno passo lento ed impronta gospel. Assai piacevole per l’ascolto
in coppia, meno coinvolgente per una festa tra amici.
Voto
Microby: 7.6
Preferite:
It Comes Back To
You, My Troubled Heart, Oh My Love
STEVE ROTHERY (2014) The Ghosts of Pripyat
Per
il chitarrista dei Marillion
(sia era- Fish che -Hogarth) lo spunto ad incidere il primo disco da
solista viene dall’invito a partecipare nel 2013 ad un festival
della chitarra a Plovdiv (Bulgaria). Nel debutto presenta sette brani
strumentali di marca progressive,
ma che a differenza dei Marillion gravitano più in area Pink Floyd
(periodo Wish You Were Here)
che Genesis, e ancor più seguono la scia dei Porcupine
Tree prog (peraltro ospite nel disco Steven
Wilson, oltre a Steve Hackett). Nessuna nuova proposta, ma eccellenti
linee melodiche prive dei barocchismi seventies, col valore aggiunto
di più di una chitarra (acustica ed elettrica) da lode.
Voto
Microby: 7.5
Preferite:
Morpheus, Kendris,
The Ghosts of Pripyat
sabato 6 dicembre 2014
MARK LANEGAN BAND, STEVEN WILSON, PINK FLOYD
MARK
LANEGAN BAND (2014) Phantom Radio
Per
metà degli ascoltatori Blues Funeral,
del 2012, era stato un album riuscito, perfino eccellente col suo
sound hard-elettronico scuro ed anni ’80. Personalmente stavo con
l’altra metà, che lo considerava confuso, pasticciato, stanco e
finto-arrabbiato. Ora che la critica sta stroncando l’attuale
Phantom Radio,
considerandolo figlio mal concepito di quel sound, mi trovo di nuovo
nel ruolo di bastian contrario: finalmente calato senza indugi nel
suono eighties, l’ex frontman degli Screaming Trees partorisce il
suo disco più pop-rock
ed orecchiabile, che sarebbe stato considerato un gioiello di
dark-pop nel 1984 ma che 30 anni dopo scontenta sia gli amanti del
revivalismo synth-pop ’80 (ai quali Phantom
Radio non risulterà né allegro nè
danzabile), sia i puristi che probabilmente speravano in
un’accelerata hard-blues elettronica. Ma qui siamo di fronte a
belle canzoni interpretate da una voce al solito magnificamente
sinistra. Si può perdonare un eccesso di tastiere sintetiche negli
arrangiamenti.
Voto
Microby: 7.5
Preferite:
Harvest Home, The
Killing Season, Floor of The Ocean
STEVEN
WILSON (2014) Cover Version
Il
prolifico leader di (tra gli altri) Porcupine
Tree, Blackfield, No-Man anche da solista
calca territori molto diversi tra loro, dal prog al metal, dal
cantautorato acustico all’avantgarde. Come da titolo, nell’ultimo
sforzo propone 6 cover (di Alanis Morissette, Abba, The Cure, Momus,
Prince, Donovan) ed altrettanti brani autografi, gli uni e gli altri
già pubblicati come side A e B di CD singles tra il 2003 ed il 2010.
Arrangiamenti prevalentemente acustici basati su chitarra e piano,
con tocchi discreti di elettronica di scuola Eno, e rinforzi di
chitarra elettrica di scuola Fripp o Gilmour. Le cover suonano
originali ma coese al resto del lavoro, che risulta apprezzabile ma
di livello inferiore. L’impressione è (come per Joe Bonamassa in
contesto rock-blues) che se il geniale artista inglese non
disperdesse energie ed idee in mille progetti collaterali, potrebbe
deliziarci con un capolavoro. Ma il momento è ancora rimandato.
Voto
Microby: 7.5
Preferite:
The Guitar Lesson, The Day Before You Came,
Four Trees Down
PINK
FLOYD (2014) The Endless River
Quel
che resta dei Pink Floyd (il chitarrista David Gilmour ed il
batterista Nick Mason) decide di pubblicare il materiale (18 brani di
cui 16 strumentali, spesso bozzetti o spunti musicali che è
difficile considerare compiuti) scartato durante (o composto a latere
del)le sessions di The Division Bell
(1994), quindi con la partecipazione del tastierista Rick Wright, ora
scomparso. Non si va oltre l’operazione nostalgia, dal momento che
le canzoni proposte (già non accettate per la pubblicazione dai
discografici in illo tempore)
non aggiungono nulla alla storia dei nostri, pur ricordandoci un
suono immediatamente riconoscibile e la liricità della chitarra di
Gilmour, vero protagonista del progetto. Come scontato, e come per il
ritorno degli U2 pochi mesi fa, un ottimo prodotto che tuttavia ci
ricorda che l’arte è un’altra cosa (e, almeno per i Pink Floyd,
appartiene al passato).
Voto
Microby: 7
Preferite:
Anisina, Allons-Y 1-2, Sum
Recensioni Italia: Cristina Donà, Sergio Cammariere, Denovo, Mario Venuti
CRISTINA DONA’ - Così vicini (2014)
Penso davvero sia una delle migliori cantautrici italiane in attività anche se mai riuscita ad arrivare al successo (purtroppo) nonostante gli eccellenti lavori pubblicati in questi anni. Musicalità ricca di personalità e di talento, a tratti dolce ed a tratti spigolosa quasi come una PJ Harvey o una Ani DiFranco nostrana. Anche in questo disco, come nel precedente, magnifico, “Torno a casa a piedi” le geniali soluzioni melodiche non appaiono mai scontate e sono intrise di uno stupendo retrogusto indie. Dieci brani ricchi di serenità e grande ispirazione. I migliori: Così Vicini, Il senso delle Cose.NB Stasera in concerto a Brescia alla latteria Molloy.
Voto: ☆☆☆☆
SERGIO CAMMARIERE - Mano nella mano (2014)
Ogni uscita di SG è sempre un grande piacere per lo spirito: il suo piano jazzy contaminato con sonorità latine e caraibiche è sinonimo di eleganza e raffinatezza. La sua musica è da ascoltare con un buon bicchiere di single malt lasciandosi prendere dall’emozione dei suoi ritmi bossanova e dalla raffinatezza dei suoi arrangiamenti. Musica che trabocca di sfumature e colori, atmosfere nostalgiche da piano bar d’antàn, una sorta di ibrido tra Ivano Fossati, Fabio Concato e Burt Bacharach (oddio forse sto esagerando…). Un disco quasi perfetto, sognante, passionale, nostalgico, romantico. I brani migliori: Le incertezze di marzo, Quel tipo strano, Così solare. Voto: ☆☆☆☆
DENOVO - Kamikaze Bohemien (2014)
Dodici brani che risalgono agli anni ’80, quasi del tutto inediti (solo tre furono usati in un EP ma in un’altra versione), rinvenuti dal vecchio manager del gruppo in uno studio di registrazione e rimixati senza aggiungere sovraincisioni di sorta. La cosa è abbastanza incredibile visto che il disco suona assolutamente come nuovo e giunge a festeggiare il 30° anniversario della fondazione della band catanese. Da allora Luca Madonia e Mario Venuti hanno avuto buone carriere soliste ma chi, come il sottoscritto, apprezzava il loro pop-rock fresco e piacevole (ora lo chiameremmo indie-rock) non poteva non gradire questa sorpresa. il brano migliore: Ipnosi. Voto: ☆☆☆
MARIO VENUTI - Il tramonto dell’occidente (2014)
Dopo la collaborazione per il 30° anniversario dei Denoto, il suo ex leader ha pubblicato il suo ottavo album con la collaborazione ideativa di Francesco Bianconi dei Baustelle. Il pericolo di chiudersi nella leziosità (anche se geniale) dei Baustelle era sempre dietro l’angolo ma la consueta concretezza melodica di MV ha fortunatamente permeato le varie tracce dell’album. Peccato per non essere stato in grado di essere convincente per tutto il disco, nonostante l’aiuto di ospiti illustri come Battiato, Alice (“Tutto appare”) e Giusy Ferreri (che continua nel disperato tentativo di liberarsi dal suo peccato originale di XFactor) e il suo lodevole tentativo di tributo agli Wilco (“Ciao American Dream” è la cover di “Ashes of american flag”). I brani migliori: Ventre della Città, Il banco di Disisa. Voto: ☆☆☆
giovedì 4 dicembre 2014
20,000 Days on Earth
Per festeggiare il suo ventimillesimo complegiorno (pari a quasi 55 anni) Nick Cave si è fatto confezionare dagli artisti Iain Forsyth e Jane Pollard questa chicca autobiografica, forse un po' iper-ego-trofica, ma certamente un must-see assoluto per i fan più incalliti del nostro e fortemente consigliato a tutti gli appassionati di rock.
Una delle scene iniziali è una finta, ma non troppo, seduta col suo (vero) psicanalista. Un enunciato didascalico di cosa sarà il resto del documentario: l'essenza della rock star dal più profondo dell'io.
Nick Cave è uno dei più significativi artisti contemporanei e questo contributo mostra perché. Scrivere musica (o romanzi) è darsi una descrizione, a volte spiegazione, del mondo che lui guarda come osservatore esterno. Suonare la musica dal vivo sul palco è trasformarsi in ciò che lui desidera essere, e quindi partecipare al mondo da protagonista. Un caso di schizofrenia che si sublima nella produzione artistica.
Tra le chicche, a parte la fotografia e alcuni fantastici estratti dei concerti di Sidney e Londra dall'ultimo tour, il dialogo con l'attore Ray Winstone durante il quale Cave espone la sua visione della rock star, che dev'essere caratterizzata da una fissità quasi immutabile, come Dio.
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