lunedì 22 dicembre 2014

SONS OF BILL, CYMBALS EAT GUITARS, STRAND OF OAKS


SONS OF BILL (2014) Love And Logic
I tre figli (Sam, James e Abe) di Bill Wilson, docente di filosofia e letteratura a Charlottesville, Università della Virginia, hanno aperto le danze nel 2006 ed ora sono al quarto sforzo come quintetto, sempre nei binari di un’americana che raccoglie i semi gettati da Gram Parsons e The Band, sviluppati dal country-rock più o meno mainstream di The Eagles, CSN&Y, Dwight Yoakam, Steve Earle, e filtrati dopo l’uragano punk da una parte con l’alt-country di Uncle Tupelo, Wilco, Son Volt, dall’altra con i nuovi suoni legati alle tradizioni di R.E.M., The Jayhawks, Band of Horses. I Sons of Bill lo fanno senza sorprendere per originalità, ma riuscendo a fondere tutti i nomi citati e quasi 50 anni di americana in un album molto ben scritto, sia nei testi che nelle melodie (in particolare le ballads), ed altrettanto bene arrangiato e suonato.
Voto Microby: 7.9
Preferite: Lost In The Cosmos, Light A Light, Higher Than Mine
 
CYMBALS EAT GUITARS (2014) Lose
Al terzo album il quartetto di New York dà ancora un senso al genere indie pop-rock: perché altro non si potrebbe definire un lavoro lontano dal mainstream ma che ha in sé le caratteristiche pre-successo del rock epico-drammatico degli Smashing Pumpkins, della scrittura sghemba dei Pavement, della rabbia dei Clash, della freschezza pop di Shins e Modest Mouse. Le punte di diamante sono il leader Joseph D’Agostino, dalla voce potente e nasale sospesa tra Billy Corgan, Conor Oberst e David Surkamp (Pavlov’s Dog), ed il chitarrista Matt Cohen, ottimo sia alla ritmica che negli acidi assoli. Lose è “solo” un buon disco perché registrato nel 2014; 20 anni fa sarebbe stato un grande album. Stranamente oggi, nel panorama rock globalizzato, suona se non attuale, almeno originale.
Voto Microby: 7.8
Preferite: Jackson, Child Bride, Warning
 
STRAND OF OAKS (2014) Heal
L’humus d’origine fa ben sperare, dal momento che Timothy Showalter, alias Strand of Oaks, è dedito ad un’ americana-rock simile a quella di The War on Drugs, Phosphorescent, Okkervill River. Poi si parte: batteria fracassona, tastiere sintetiche e gommose tra prog ’70 e pop ’80, chitarra elettrica grattugiata e drammatica alla Crazy Horse, cori da stadio, arrangiamenti approssimativi e kitsch. Pare annunciata una stroncatura senza appelli. Ed invece in mezzo a tanta confusione si palpa sincerità e rabbia, depressione e lotta, impulsività e foga, ed il quarto lavoro dell’americano piace, pur nell’improbabile connubio tra synth-pop e distorsioni elettriche. Un tributo a Jason Molina (JM) ci facilita il compito: il nostro sembra in effetti una versione elettrica e disperata dell’artista americano recentemente scomparso.
Voto Microby: 7.5
Preferite: JM, Goshen ’97, Same Emotions


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