SONS OF BILL (2014) Love And Logic
I
tre figli (Sam, James e Abe) di Bill Wilson, docente di filosofia
e letteratura a Charlottesville, Università della Virginia, hanno
aperto le danze nel 2006 ed ora sono al quarto sforzo come quintetto,
sempre nei binari di un’americana
che raccoglie i semi gettati da Gram Parsons e The Band, sviluppati
dal country-rock più
o meno mainstream di The Eagles, CSN&Y, Dwight Yoakam, Steve
Earle, e filtrati dopo l’uragano punk da una parte con
l’alt-country di
Uncle Tupelo, Wilco, Son Volt, dall’altra con i nuovi suoni legati
alle tradizioni di R.E.M., The Jayhawks, Band of Horses. I Sons of
Bill lo fanno senza sorprendere per originalità, ma riuscendo a
fondere tutti i nomi citati e quasi 50 anni di americana
in un album molto ben scritto, sia nei testi che nelle melodie (in
particolare le ballads), ed altrettanto bene arrangiato e suonato.
Voto
Microby: 7.9
Preferite:
Lost In The Cosmos,
Light A Light,
Higher Than Mine
CYMBALS
EAT GUITARS (2014) Lose
Al
terzo album il quartetto di New York dà ancora un senso al genere
indie pop-rock: perché
altro non si potrebbe definire un lavoro lontano dal mainstream ma
che ha in sé le caratteristiche pre-successo del rock
epico-drammatico degli Smashing Pumpkins,
della scrittura sghemba dei Pavement,
della rabbia dei Clash,
della freschezza pop di Shins
e Modest Mouse. Le
punte di diamante sono il leader Joseph D’Agostino, dalla voce
potente e nasale sospesa tra Billy Corgan, Conor Oberst e David
Surkamp (Pavlov’s Dog), ed il chitarrista Matt Cohen, ottimo sia
alla ritmica che negli acidi assoli. Lose
è “solo” un buon disco perché registrato nel 2014; 20 anni fa
sarebbe stato un grande album. Stranamente oggi, nel panorama rock
globalizzato, suona se non attuale, almeno originale.
Voto
Microby: 7.8
Preferite:
Jackson, Child
Bride, Warning
STRAND
OF OAKS (2014) Heal
L’humus
d’origine fa ben sperare, dal momento che Timothy Showalter, alias
Strand of Oaks, è dedito ad un’ americana-rock
simile a quella di The
War on Drugs,
Phosphorescent, Okkervill River.
Poi si parte: batteria fracassona, tastiere sintetiche e gommose tra
prog ’70 e pop ’80, chitarra elettrica grattugiata e drammatica
alla Crazy Horse, cori
da stadio, arrangiamenti approssimativi e kitsch. Pare annunciata una
stroncatura senza appelli. Ed invece in mezzo a tanta confusione si
palpa sincerità e rabbia, depressione e lotta, impulsività e foga,
ed il quarto lavoro dell’americano piace, pur nell’improbabile
connubio tra synth-pop e distorsioni elettriche. Un tributo a Jason
Molina (JM) ci
facilita il compito: il nostro sembra in effetti una versione
elettrica e disperata dell’artista americano recentemente
scomparso.
Voto
Microby: 7.5
Preferite:
JM, Goshen ’97, Same Emotions
Nessun commento:
Posta un commento