FANTASTIC NEGRITO (2016) The
Last Days of Oakland
In
arte Fantastic Negrito,
nella vita Xavier Dphrepaulezz, di padre somalo-caraibico e madre
statunitense, ha goduto della sua prima esposizione italiana in
qualità di sorprendente opener della recente tournèe di Chris
Cornell. In realtà la sua discografia conta un esordio, acerbo e
passato del tutto inosservato, nel 1995 sotto il nome Xavier. La
maturità attuale stupisce perché, se la matrice del suo interesse
resta prepotentemente blues,
il lavoro per modernizzarlo lo affianca al più bravo (per ora) Gary
Clark Jr., con un’importante
ibridazione col soul,
il R&B,
l’hip-hop, il
rock, il funky,
perfino il folk e qualche spunto elettronico (anche il primo Prince
tra le influenze). Ma con una fantasia trasversale alle canzoni,
cambi di ritmo improvvisi, crasi tra musica bianca e nera, notevole
perizia tecnica, pura gioia di suonare che rimandano spesso al genio
scomparso più radiofonico, il Frank Zappa
strictly-commercial.
Voto
Microby: 7.8
Preferite:
Scary
Woman, About A Bird, Hump Thru The Winter
BLACK
MOUNTAIN (2016) IV
Il
collettivo canadese non ha mai proposto nulla di nuovo sul mercato
musicale. Eppure piacciono trasversalmente a critici snob, vecchi
fricchettoni e giovani hipsters. Perché è innegabile la capacità
di Stephen McBean e sodali di interpretare meglio di chiunque altro
un amalgama, sulla carta improponibile, di hard-rock,
prog, stoner, kraut- e space-rock, psych-folk, blues acido e rock
vintage. Senza mai andare in confusione e
perdere il bandolo della matassa. McBean stesso ha dichiarato
influenze che vanno dal prog alla new wave, dai Tangerine Dream a
David Bowie (aggiungeremmo almeno Black Sabbath, Led Zeppelin e
Jefferson Airplane). Una contaminazione che, a conti fatti, potremmo
riassumere in “psichedelia”.
Ma dopo dieci anni di attività discografica voglio confidare in una
futura evoluzione stilistica, e al presente continuo a preferire il
monolitico In The Future
(2008) e il suo successore più accessibile Wilderness
Heart (2010).
Voto
Microby: 7.4
Preferite:
Defector,
You Can Dream, Space To Bakersfield
THE AVETT BROTHERS (2016) True
Sadness
Non ho mai condiviso l'entusiasmo di molta critica
(soprattutto italiana) nei confronti dei fratelli del North Carolina.
Anche a proposito dell'ultima fatica, non basta presentarsi con una
copertina che richiama palesemente i Clash di Give
'em Enough Rope, introdurre l'album con una
batteria che scimmiotta i Queen di We Will
Rock You, buttare qua e là spunti di
elettronica e di drum machine per essere considerati dei
rivoluzionari della musica tradizionale americana bianca. Che invece
a mio parere non va oltre un folk-rock
di maniera, con qualche trovata più furba che geniale ma anche,
riconosciamolo, una non comune facilità nello scrivere belle
melodie. Ma, alla fine, non (mi) convincono.
Voto Microby: 6.8
Preferite: Mama
I Don't Believe, Smithsonian, Satan Pulls The Strings
1 commento:
Gli Avett Brothers, originari della North Carolina, fanno un country-rock con forti influenze bluegrass e folk, più generalmente vicino al rock che non al genere roots-americana. Le loro caratteristiche peculiari sono le armonie vocali, stile Jayhawks, Simon & Garfunkel, Mumford & Sons o Blue Rodeo. Il gusto della contaminazione e della reinterpretazione ne ha sempre rafforzato l’identità ma stavolta ho l’impressione abbiano esagerato: i sintetizzatori elettronici cosa ci azzeccano? Raramente sbagliano un disco ma stavolta la penso assolutamente come Microby: siamo su livelli parecchio inferiore ai precedenti. Da ricordare solo “Mama, I Don't Believe”, una ballata country-rock anni ’70, con influenze Dylaniane e Youngiane. Voto: ☆☆
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