martedì 9 agosto 2016

FANTASTIC NEGRITO, BLACK MOUNTAIN, THE AVETT BROTHERS


FANTASTIC NEGRITO (2016) The Last Days of Oakland



In arte Fantastic Negrito, nella vita Xavier Dphrepaulezz, di padre somalo-caraibico e madre statunitense, ha goduto della sua prima esposizione italiana in qualità di sorprendente opener della recente tournèe di Chris Cornell. In realtà la sua discografia conta un esordio, acerbo e passato del tutto inosservato, nel 1995 sotto il nome Xavier. La maturità attuale stupisce perché, se la matrice del suo interesse resta prepotentemente blues, il lavoro per modernizzarlo lo affianca al più bravo (per ora) Gary Clark Jr., con un’importante ibridazione col soul, il R&B, l’hip-hop, il rock, il funky, perfino il folk e qualche spunto elettronico (anche il primo Prince tra le influenze). Ma con una fantasia trasversale alle canzoni, cambi di ritmo improvvisi, crasi tra musica bianca e nera, notevole perizia tecnica, pura gioia di suonare che rimandano spesso al genio scomparso più radiofonico, il Frank Zappa strictly-commercial.
Voto Microby: 7.8
Preferite: Scary Woman, About A Bird, Hump Thru The Winter


BLACK MOUNTAIN (2016) IV

Il collettivo canadese non ha mai proposto nulla di nuovo sul mercato musicale. Eppure piacciono trasversalmente a critici snob, vecchi fricchettoni e giovani hipsters. Perché è innegabile la capacità di Stephen McBean e sodali di interpretare meglio di chiunque altro un amalgama, sulla carta improponibile, di hard-rock, prog, stoner, kraut- e space-rock, psych-folk, blues acido e rock vintage. Senza mai andare in confusione e perdere il bandolo della matassa. McBean stesso ha dichiarato influenze che vanno dal prog alla new wave, dai Tangerine Dream a David Bowie (aggiungeremmo almeno Black Sabbath, Led Zeppelin e Jefferson Airplane). Una contaminazione che, a conti fatti, potremmo riassumere in “psichedelia”. Ma dopo dieci anni di attività discografica voglio confidare in una futura evoluzione stilistica, e al presente continuo a preferire il monolitico In The Future (2008) e il suo successore più accessibile Wilderness Heart (2010).
Voto Microby: 7.4
Preferite: Defector, You Can Dream, Space To Bakersfield



THE AVETT BROTHERS (2016) True Sadness


Non ho mai condiviso l'entusiasmo di molta critica (soprattutto italiana) nei confronti dei fratelli del North Carolina. Anche a proposito dell'ultima fatica, non basta presentarsi con una copertina che richiama palesemente i Clash di Give 'em Enough Rope, introdurre l'album con una batteria che scimmiotta i Queen di We Will Rock You, buttare qua e là spunti di elettronica e di drum machine per essere considerati dei rivoluzionari della musica tradizionale americana bianca. Che invece a mio parere non va oltre un folk-rock di maniera, con qualche trovata più furba che geniale ma anche, riconosciamolo, una non comune facilità nello scrivere belle melodie. Ma, alla fine, non (mi) convincono.
Voto Microby: 6.8
Preferite: Mama I Don't Believe, Smithsonian, Satan Pulls The Strings











 
 

1 commento:

lucaf ha detto...

Gli Avett Brothers, originari della North Carolina, fanno un country-rock con forti influenze bluegrass e folk, più generalmente vicino al rock che non al genere roots-americana. Le loro caratteristiche peculiari sono le armonie vocali, stile Jayhawks, Simon & Garfunkel, Mumford & Sons o Blue Rodeo. Il gusto della contaminazione e della reinterpretazione ne ha sempre rafforzato l’identità ma stavolta ho l’impressione abbiano esagerato: i sintetizzatori elettronici cosa ci azzeccano? Raramente sbagliano un disco ma stavolta la penso assolutamente come Microby: siamo su livelli parecchio inferiore ai precedenti. Da ricordare solo “Mama, I Don't Believe”, una ballata country-rock anni ’70, con influenze Dylaniane e Youngiane. Voto: ☆☆

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