AGNES OBEL
(2020) Myopia
Chi ama il chamber-pop avrà di che rallegrarsi:
è tornata la regina del genere. Non particolarmente prolifica (l’attuale è il
quarto album in un decennio), la danese non ha mai spostato il baricentro
musicale da melodie a seconda dei dischi più pop (nell’accezione 4AD del
termine, quindi onirica, misteriosa, austera, colta e non certo pop-olare) o
più cameristiche classicheggianti (come accade in Myopia, non a caso pubblicato dalla Deutsche Grammophon). Gli
strumenti utilizzati sono al solito quelli consueti della musica da camera
(viola, violoncello, violino, pianoforte), con delicati contrappunti
elettronici e percussivi, e l’eterea voce della Obel quale strumento aggiunto.
Tre brani solo strumentali intersecano sette composizioni che evocano la Enya
meno commerciale, i Dead Can Dance più ariosi, la Penguin Cafè più raccolta, la
Kate Bush più intima ed il Michael Nyman più commestibile, per un lavoro che
ancora una volta soddisfa i palati più fini (ebbene sì, è musica di nicchia adatta
all’intimità ed alla meditazione, ed assai poco alle corse in auto) tanto
quanto è lontano dal mainstream radiofonico imperante. L’ennesimo centro di
un’artista defilata ma preziosa.
Preferite: Broken Sleep, Island of
Doom, Myopia
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