THE
THIRD MIND (2020) The Third Mind
Primo avviso ai naviganti: chi
nell’attuale progetto realizzato da Dave
Alvin si
aspetta la consueta esplosiva miscela di rock-country-blues-roots cui
ci ha (ben) abituato l’ex Blasters, se lo dimentichi. Ma se ne
faccia (secondo avviso) una splendida ragione, perché l’album
omonimo dei The Third Mind non è un capolavoro solo perché composto
di cover e soprattutto collocato mezzo secolo dopo l’epoca d’oro
della musica realizzata, quella psichedelica
della libera improvvisazione su canovacci vuoi folk vuoi blues della
generazione hippie della seconda metà dei ’60. Lo spunto ad Alvin
viene dalla biografia di Miles Davis, dalla quale apprende che il
mitico jazzista aveva composto, editato e pubblicato alcuni
capolavori “raccogliendo grandi musicisti in uno studio, scegliendo
una chiave ed un groove
e poi registrando tutto dal vivo per diversi giorni”. Da lì l’idea
di realizzare un album con la stessa metodica. L’accolita di grandi
musicisti, per uno del suo spessore, è cosa semplice, e la genesi di
un supergruppo underground (non nomi altisonanti, ma turnisti che
chiunque vorrebbe in studio) è cosa fatta: la band è composta da
Dave Alvin (chitarra e voce), David
Immergluck
(chitarre, fantastico), Michael Jerome (batteria), Victor
Krummenacher (basso), cui si affiancano come ospiti Jesse Sykes,
D.J. Bonebrake e Jack Rudy. La scaletta non può che ispirarsi al
periodo di massima libertà della musica rock, quello del
power-flower.
Niente jazz né Miles Davis, eccetto l’ispirazione iniziale. Si
parte con una sognante Journey
In Satchidananda di
Alice Coltrane, si prosegue con lo splendido The
Dolphins di Fred
Neil (Alvin al canto), seguono Claudia
Cardinale
(strumentale in orbita Peter
Green, unico
brano composto dalla band), Morning
Dew (autografato
dalla canadese Bonnie Dobson ma immortalato dai Grateful
Dead e
centinaia di altri, e qui cantato da Jesse Sykes), una spettacolare
versione di East-West
(in origine della Paul
Butterfield Blues Band),
ed una chiusura di impronta psych-hard rock (Reverberation,
di Rocky Erykson). Brani lunghi, dilatati, elettrici, atmosfera
lisergica, musicisti in stato di grazia, consapevolmente indifferenti
al fatto di proporre musica al di fuori dei binari correnti. The
Third Mind è uno
di quei dischi fuori tempo nonostante non siano fuori tempo massimo e
si riferiscano ad un tempo ben preciso, che probabilmente rimarrà
isolato perchè fotografa un hic
et nunc temporale,
umano ed artistico di grazia raramente recidivante. Se ne stiano alla
larga gli ascoltatori per i quali la musica è cominciata negli anni
’80, o se ne facciano un trip
pensando a quando i loro genitori avevano i capelli lunghi.
Voto
Microby: 8.5
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