venerdì 29 marzo 2013

MINIRECENSIONI: Atoms For Peace, Jim James, Eric Clapton, Robyn Hitchcock, Unknown Mortal Orchestra

  • ATOMS FOR PEACE (2013) AMOK
  • Tanto rumore per nulla: il supergruppo Yorke, Godrich, Flea, Waronker, Refosco non va oltre una copia di The Eraser, l’esordio da solista di Thom Yorke nel 2006, già di per sè non un capolavoro. Battiti elettronici freddi, dubstep nevrotico, composizioni piatte, e la voce del leader dei Radiohead che funge da strumento aggiunto ma non emoziona. A conferma che i Radiohead sono un gruppo che va oltre Yorke, ma anche che la sperimentazione si è arenata dopo Kid A e Amnesiac, 12 anni fa. Perché il medesimo tema è stato svolto molto meglio da Four Tet, Orbital, Stereolab, ma soprattutto da Brian Eno e David Byrne 30 anni fa e dal kraut/space rock 40 anni fa! 6.8/10

  • JIM JAMES (2013) Regions of Light And Sound of God
  • Il leader degli americani My Morning Jackets all’esordio da solista non tradisce la poliedricità della band-madre, ma lo fa meglio, suonando tutti gli strumenti e soprattutto riuscendo ad amalgamare con abilità (difetto invece dei MMJ) pop, psichedelia, rock, jazz, elettronica, oriente, soul. Manca l’”americana”, prima ispirazione della band di Louisville, ma non se ne sente l’esigenza. Bel lavoro, a tratti geniale. 7.9/10
  • ERIC CLAPTON (2013) Old Sock
  • Il titolo “vecchio calzino” si addice molto al 20° album in studio del 67enne grande chitarrista inglese, che non dovendo più dimostrare nulla si prende il piacere di interpretare 12 brani che ama rileggendoli con la varietà di stili (tutti americani) che ha in carniere: reggae, soul, pop, blues, rock, country, crooner. E lo fa con classe sopraffina, anche se talvolta zuccherosa, in un disco di entertainment solare e spensierato dalla prima all’ultima nota. 7.5/10
  • ROBYN HITCHCOCK (2013) Love From London
  • Già leader dei grandi Soft Boys nei ’70, l’inglese a 60 anni è autore in 32 anni di una ventina di albums da solista dall’elevata media qualitativa, a volte acustici altre elettrici, ma sempre fedeli ad un jangle-pop dalla vena psichedelica leggera ed ironica, visionaria e surreale, ideale anello di congiunzione tra John Lennon e Syd Barrett. LFL non è tra i suoi capolavori, ma conferma un’ispirazione refrattaria ad ogni crisi. 7.4/10
  • UNKNOWN MORTAL ORCHESTRA (2013) II
  • Il trio di Portland alla seconda prova passa dalle promesse alle conferme della neo-psichedelia, con un album variopinto anche se a tratti dispersivo, che sa tuttavia essere sia sognante che scuotente. Come dei Flaming Lips più naif, o dei Grizzly Bear meno cerebrali, o un Devendra Banhart elettrico, con la radice dei Beatles psichedelici e dell’acid-rock californiano dei sixties. 7.6/10

domenica 24 marzo 2013

The Dark Side of The Moon: 40 anni!

Chiedo scusa agli amici Bloggers ma non parlo di novità, recensioni o classifiche ma faccio un ritorno al passato; adoro leggere i vostri post ed è raro che sia io a scrivere, ma ho voglia di condividere con voi il fatto che oggi compie 40 anni "The Dark Side of the Moon", l'album che è spesso considerato un punto di svolta nella storia della musica rock.
Non ho molto da aggiungere a quanto si è già detto e scritto su di esso in questi 40 anni: resta solo la considerazione da gran parte della critica come l'insuperato capolavoro dei Pink Floyd e uno dei migliori album di tutti i tempi.
Sono molto legata a questo album grazie anche a mio padre, sempre alla ricerca di nuove sperimentazioni musicali, che lo riuscì ad acquistare come LP di importazione perchè ancora non commercializzato in Italia.
La copertina era lucida e all'interno della confezione pieghevole si trovavano due poster che ovviamente hanno campeggiato in camera mia per anni: uno, tutto di colore blu-azzurro, con immagini del gruppo in concerto con le lettere sparse a formare la scritta "Pink Floyd", l'altro tutto a tinte rosse arancioni (era una fotografia agli infrarossi) delle Piramidi di Giza;

Oggi il sito ufficiale dei Pink Floyd invita a far parte di un evento di riproduzione globale per celebrare il 40° anniversario di "The Dark Side of the Moon"....in attesa del lato oscuro della luna.

http://darkside40.pinkfloyd.com/


R.I.P. Peter Banks

La digressione sul prog mi costringe a rendere omaggio a Peter Banks, uno dei fondatori degli Yes, venuto a mancare il 7 marzo scorso. Peter Banks è stato il primo chitarrista del gruppo, che lasciò nel 1971, venendo sostituito da Steve Howe, protagonista poi della grande epopea della band. Banks suonava in un precedente gruppo (The Syn) insieme a Chris Squire, e proprio grazie a lui si unì a Ion Anderson, Bill Bruford e Toni Kaye a formare il gruppo il cui nome venne inventato proprio da Peter Banks stesso. Rimase in formazione solo per un paio di album, "Yes" e "Time and a Word": due album per la verità non proprio memorabili (da ricordare solo il brano che dà il titolo al secondo album, tuttora saltuariamente suonato ai loro concerti). Finito il secondo lavoro, Peter Banks, deluso dal livello musicale dello stesso, osò criticare Ion Anderson e finì per essere estromesso dal gruppo, inaugurando la caratteristica umana principale della band: la pugnalata alle spalle...


sabato 23 marzo 2013

STEVEN WILSON (2013) The Raven That Refused To Sing (and Other Stories)

Considerato da molti il Robert Fripp della sua generazione, per via non solo della grande abilità chitarristica, ma anche della poliedricità di interessi musicali (con netta predilezione per il progressive), l’attenzione maniacale ad arrangiamenti e produzione, la conduzione egemone ma illuminata del gruppo, la fondazione/partecipazione di/a diverse bands con espressione musicale differente, dall’art-rock/ambient dei No-Man all’avantgarde dei Bass Communion, dal pop elegante dei Blackfield in coppia con la star israeliana Aviv Geffen al death metal degli svedesi Opeth, dalla creatura-madre dei Porcupine Tree, senz’altro per qualità e continuità la migliore prog band post-’70 ma anche pregevole fabbrica di pop elegante e raffinato, ai lavori a proprio nome nei quali alterna cantautorato colto, sperimentazione, space-rock e prog.
L’ultima (e migliore) fatica da solista, sullo sforzo di 6 lunghi brani,  è appunto di marca progressive, segnatamente di derivazione King Crimson nelle aperture melodiche caratterizzate da una liquida chitarra frippiana e da flauto/batteria alla McDonald & Giles, ma non mancano passaggi maestosi alla Yes/Genesis, influenze jazz-rock di scuola Brand X, e perfino incisi strumentali che ricordano il nostrano Banco del Mutuo Soccorso.
Come al solito si apprezza un eccellente lavoro di produzione formale nonché la pregevole tecnica strumentale di ogni singolo musicista (con nota di merito per i fiati di Theo Travis), al soldo dell’illuminata dittatura di Wilson che però, malgrado le sue dichiarazioni di segno opposto, non riesce a smarcarsi dal prog déjà vu dei seventies.

Preferite: Drive Home, The Pin Drop, The Watchmaker

Voto Microby: 7.5/10

sabato 16 marzo 2013

JOHN GRANT (2013) Pale Green Ghosts

Chi ha amato le raffinate trame indie-pop degli Czars penserà di aver scaricato un fake ascoltando l’incipit del secondo album solista dell’ex leader della band di Denver. Ma anche chi ha apprezzato l’esordio di Grant, al fianco degli alternative-rock texani Midlake, sarà scioccato dalle prime 2 tracce di Pale Green Ghosts, elettroniche e gommose come il pop anni ’80, quasi si trattasse di un disco dei Depeche Mode o dei Bronski Beat. Poi però il nostro infila alcune perle cantautorali acustiche, guidate dalla sua bella voce baritonale e condite da testi al vetriolo, e sembra ridare pace a chi (me compreso) da lui si aspettava esattamente questo. Per essere di nuovo spiazzato da altri ritmi sintetici e plastificati che si alternano a splendide ballads sino alla fine. Senza integrazione: o dozzinale pop elettronico, talvolta francamente tamarro, o canzoni da spellarsi le mani. Perché se la scrittura è sempre da 8, gli arrangiamenti sono schizofrenici dal 4 all’8, probabilmente perché la produzione è passata dal Colorado all’Islanda, nelle mani di Biggi Veira, leader della locale band di elettro-pop GusGus. Insomma, scientemente spiazzante, come d’altra parte canta beffardamente Grant nel brano migliore del lotto, GMF: “I am the greatest motherfucker that you ever gonna meet”.
Credo gioverebbe una scelta di campo precisa, perché in un paio di brani elettronici (la title track e You Don’t Have To) Grant dimostra di poter reggere la parte meglio per esempio del Sigur Ros Jonsi, ed al pari dell’ultimo Nick Cave. Ma solo un paio, perché in altri (Sensitive New Age Guy e Black Belt per esempio) deborda nel kitsch. Oppure conservi la classicità atemporale delle ballads, come ha già dimostrato di fare con classe superiore in 15 anni di Czars, o insista nell’approccio romantico di Glacier, che conclude il lavoro con piano ed orchestra tchaikowskiani.
Si può rimandare uno studente a settembre con un 7 in pagella? Sì, quando non si tratta di profitto ma di condotta.

Preferite: GMF, Glacier, Pale Green Ghosts

Voto Microby: 7/10


lunedì 11 marzo 2013

Minirecensioni: David Bowie, Everything Everything

David Bowie - The Next Day (2013)
Con la solita diffidenza di chi deve ascoltare una delle cosiddette colonne del rock, ormai in silenzio da circa 10 anni, e dopo una serie di album tutt'altro che memorabili, anche se a loro modo interessanti, mi sono dedicato per qualche giorno (un pò di rispetto per i vecchi...) all'ultimo lavoro del Thin White Duke. Devo dire di esserne stato piacevolmente sorpreso: un disco rock, creativo, audace e coinvolgente di cui, in realtà era lecito dubitarne lo spessore, ma che, invece, convince per vitalità e ispirazione. Non tutti i pezzi sono di eguale qualità ma la title-track, Love Is Lost, The stars are out tonight, il primo singolo Where are we now, sono di assoluto valore e meritano di essere inclusi tra le cose migliori da lui scritte.  Voto ★★★
Everything Everything - Arc (2013)
Non ho molta dimestichezza con il genere indie-pop velato di elettronica ma questo album lo devo proprio segnalare perchè estremamente interessante. Gruppo di Manchester, al secondo album, sono degli eccellenti costruttori di collage polifonici intrisi di espressività e colore, con una miriade di melodie, riffs, stili, sempre sospesi tra eccentricità e sostanza. Imperdibile per i patiti degli Stereolab, dei Radiohead di Ok Computer o, più modernamente dei The National o degli Alt-J; sono i Gentle Giant del 21° secolo. Voto ★★★

sabato 9 marzo 2013

Josh Rouse - Julie come out of the rain (live)

Questo per solleticarvi a sentire il nuovo lavoro di Josh Rouse "The happiness waltz" registrato a Valencia dove ormai vive dal 2005.
Per questo disco ritrova Brad Jones il produttore di 1972 e Nashville forse i suoi dischi più apprezzati. Peraltro nei suoi 15 anni di carriera con 10 album all'attivo Rouse ha mantenuto sempre una qualità compositiva costante caratterizzata da atmosfere folk-pop calde e di grande piacevolezza all'ascolto.
L'impressione che complessivamente mi ha fatto questo disco è di grande dolcezza e serenità: qualcosa da ascoltare sul divano in un pomeriggio di un weekend di primavera.

MINIRECENSIONI: Night Beds, Ben Harper & Charlie Musselwhite, Local Natives, Wooden Wand

  • NIGHT BEDS (2013) Country Sleep
  • L’esordio su lunga distanza (per modo di dire: 34’ totali) del progetto dell’americano Winston Yellen ha sede a Nashville ma non ha alcun rapporto con la scena country locale: è piuttosto un indie-folk-rock gentile embricato con un chamber-pop raffinato, sinuoso, delicato ma mai sonnacchioso, a base di plettri, archi e percussioni, tutto rigorosamente acustico. Figlio (molto dotato) di Bon Iver ma anche di Fleet Foxes e The Leisure Society. 7.5/10

  • BEN HARPER & CHARLIE MUSSELWHITE (2013) Get Up!
  • Da qualche album Ben Harper sta compiendo il percorso inverso di ogni bluesman: dopo aver trovato già all’esordio una sua via personale e subito riconoscibile alla musica black, ed averla perfezionata nella prima manciata di albums, da un po’ va alla ricerca delle radici rurali del blues, del soul, del gospel, che sia esso acustico o elettrico. Stavolta lo fa con l’ausilio del 78enne mitico armonicista bianco Musselwhite, ma partorisce solo un compitino ben fatto, senza guizzi né lampi di genio. Get up, Ben! 7/10
  • LOCAL NATIVES (2013) Hummingbird
  • Il gruppo californiano dopo il successo dell’esordio nel 2009 ha rischiato lo scioglimento, ed alla seconda prova transita con minor grinta, forse a causa della produzione di Aaron Dessner dei National. Il loro indie-pop si fa melodrammatico, con “vuoti” esistenzialisti e “pieni” ridondanti, la voce è spesso in falsetto e ne risulta uno strano mix tra dream-pop e costruzioni alla Grizzly Bear. Per ora ricordano dei Temper Trap meno elettronici o dei Band of Horses meno elettrici, tuttavia inferiori ad entrambi. 7/10
  • WOODEN WAND (2013) Blood Oaths Of The New Blues
  •  Newyorkese di nascita ma nomade per vocazione, James Jackson Toth aka Wooden Wand ancora giovane ha già un centinaio (!) di lavori, ufficiali e non, a nome proprio o sotto vari moniker, ed un’altrettanto vasta varietà di stili. L’attuale potrebbe definirsi un alt.country venato di psycho-folk, elettroacustico ed ombroso, meditabondo, autunnale, per un album essenziale: semplici accordi, che si tratti di chitarra o tastiere non c’è un arpeggio o un assolo, alla ricerca delle radici dell’America bianca, sul genere Songs:Ohia/Magnolia Electric Co./Walkabouts/Willard Grant Conspiracy. Sconsigliato ai depressi. 7/10

martedì 5 marzo 2013

EELS (2013) Wonderful, Glorious

Al 10° album sotto la sigla delle “anguille”, il californiano Mark Oliver Everett in arte “E” lascia più spazio alla scrittura ed all’espressione musicale della (eccellente) band (in questo senso paragonabile ad In Rainbows dei Radiohead), e vi giunge dopo aver chiuso la trilogia concettuale/malinconica pubblicata con buoni ma monocordi risultati artistici tra il 2009 e il 2010 (Hombre Lobo/End Times/Tomorrow Morning). L’ultimo album costituirebbe, se si accetta la separazione temporale di una decina di anni, un’ ideale trilogia con gli sforzi più rock ma anche più eterogenei e vivaci del gruppo, ovverossia Souljacker del 2001 e Shootenanny! del 2003 , e li affianca se non migliora anche dal punto di vista qualitativo. La solita voce filtrata, il jingle-jangle chitarristico riverberato, l’organetto di matrice blues, la consueta sporcizia digitale, in una varietà di temi (riusciti, con l’eccezione dell’intrusa e pacchiana Peach Blossom) inusuale per il gruppo, che da 5-6 albums sembrava destinato ad una pur nobile senescenza parkinsoniana, ecolalica e bradicinetica. E invece, nell’assoluta originalità del progetto-Eels, si animano i fantasmi di Tom Waits, Daniel Johnston, Howlin’ Wolf e Beck.
Non all’altezza dei 2 capolavori dell’esordio (Beautiful Freak del 1996 ed Electro-Shock Blues del 1998), ma appena un gradino sotto.
La Deluxe Edition, come ci ha ormai abituato Mr.E, abbina un secondo CD con 13 brani tra inediti e live.

Preferite: Wonderful, Glorious ; The Turnaround ; I Am Building A Shrine

Voto Microby: 8/10

domenica 3 marzo 2013

Altre recensioni al volo: I Am Kloot, Nick Cave, Antje Duvekot

I Am Kloot - Let it all in (2013)
Uno dei primi dischi usciti nel 2013, questo del trio di Manchester, e non ha deluso le aspettative. Un lavoro di profonda poesia e raffinatezza, prodotto dal loro grande fan Guy Garvey (leader degli Elbow), che si muove nel folkpop e nella psichedelia, richiamando talvolta gli estri di Tom Waits,  o i controtempi dei Joy Division. Un album forte e coerente. Voto ★★★1/2
Nick Cave - Push the Sky Away (2013)
Ormai è diventato un tuttologo: oltre a comporre musica, scrive e recita a teatro, scrive poesie e romanzi, dà interviste alle riviste fighe, partecipa a programmi TV (ricordo la partecipazione al varietà di Fiorello), si sposa una megamodella (quella della copertina). Il suo progetto parallelo (Grinderman) è servito proprio a far ricordare che è soprattutto un grande musicista ma ormai sembrava prigioniero del suo personaggio. In effetti l'inizio del lavoro non è dei più incoraggianti ma invece quei due brani, Jublilee Street e Mermaid, così decadenti e nebbiosi, eppure così fascinosi e eleganti, ci fanno riconciliare con la sua poetica musicale. Magari non è abbastanza per farcelo considerare un disco imprendibile ma la classe c'è sempre. Voto ★★★1/2
Antje Duvekot - New Siberia (2012)
Nativa di Heidelberg e trasferitasi poi a Boston, rappresenta in pieno la scena folk moderna: testi poetici e armonie musicali, che vanno decisamente al di là della canzone folk di tradizione.  Il suo stile ricorda quello di Jonatha Brooke o di Patti Griffin: una voce splendidamente morbida e piacevoli arrangiamenti che spaziano dal folk-rock al country-pop acustico. Sicuramente una delle scoperte del 2012, fuori tempo massimo per le nomination folk ma indubbiamente tra i primi 5 album di genere dell'anno appena trascorso. Voto ★★★

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